Varie, 13 febbraio 2002
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Barnard Christian
• Beaufort West (Sudafrica) 8 novembre 1922, Nicosia (Cipro) 2 settembre 2001. Chirurgo. «La Chiesa che gli piaceva era quella della Boerkerk, la chiesa dei coloni, dove officiava Dominie Rabie, e che aveva un grande campanile bianco: visto dalla sua casa di Donkin Street, sembrava più alto dei monti Nuweveld. La chiesa di suo padre, invece, aveva solo un misero tetto rosso che la faceva sembrare un granaio. Non c’erano campanili, e nemmeno campane. Stava distante dalla Boerkerk giusto il palazzo municipale. Ma suo padre, il reverendo Adam Barnard, era il missionario della gente povera, ”il prete dei negri”: aveva 7 mila fedeli di colore, che vivevano in condizioni di miseria. Il pastore Rabie leggeva i salmi ai 3400 europei di Beaufort West, Sud Africa, posando un panno sopra il leggio con la scritta: ”Il tuo verbo è la verità”. Il piccolo Christian Barnard vedeva quelle parole tutte le volte che accompagnava sua madre da Dominie Rabie, per suonare l’organo della Boerkerk e arrotondare lo stipendio di papà. Una volta disse che gli erano rimaste segnate in testa. Se le ricordò tutta la vita quelle domeniche. Era partito povero da Beaufort West, nel Sud Africa razzista dell’apartheid, figlio di una bella donna dallo sguardo severo e dell’umile reverendo Adam, che girava sempre con lo stesso abito nero sgualcito, lo stesso gilet, la cravatta sottile col nodo a farfalla, la Bibbia e il Libro degli Inni. Quelli che lo salutavano lo chiamavano solo signore, mai Padre o reverendo. Quando diventò famoso e ritornò a Beaufort West, un avvocato gli confessò: ”Pensa che io evitavo di stringere la mano a tuo padre. Sapevo che la stringeva ogni giorno a tanti negri”. Di quelle emarginazioni, conservò soprattutto la rivalsa del successo. Per inseguire la sua vita, non bisogna solo andare alla notte del 3 dicembre 1967 nel Groote Schur Hospital, quando trapiantò il cuore della povera Denise Darvall nel grande petto ansimante dell’ex pugile Louis Washkansky e cambiò la storia della medicina. E’ stato, come tanti altri uomini di successo, il figlio di un secolo dalle grandi contraddizioni, un medico che ha cresciuto insieme dentro di sé la spietata aridità dello scienziato e i poveri dubbi dell’umanista, che gli venivano dai racconti di suo padre, quando se lo portava sulla collina accanto alla diga e gli diceva: ”Le sconfitte insegnano più delle vittorie. Imparalo”. Ha cercato di salvare la gente trapiantando cuori, ed è morto per il suo cuore; ha avuto pietà e cinismo per i suoi pazienti; ha amato solo donne bellissime, s’è sposato tre volte e un suo figlio, André, ha tentato il suicidio dopo essere diventato medico come lui. La vita ha scherzato anche con lui. Alla fine, confessava: ”Il mio rimorso è che ho divorziato troppe volte. Pagano solo i figli”. Poi però aggiungeva: ”Non so stare senza una donna”. Da giovane volle iscriversi al partito comunista, da medico si rifiutò di prendere il cuore da un nero per un trapianto, e i suoi detrattori come Norman Shumaway, ex compagno di università, dissero di lui: ”E’ un grande opportunista della chirurgia”. Lui, invece, di sé diceva: ”L’ultima cosa che potete dire di me è che sono vanitoso”. Probabilmente, sbagliavano tutt’e due. E’ stato più medico che opportunista, ed era anche molto vanitoso. Studiò in Sud Africa e negli Usa sempre vincendo le borse di studio. Sua madre continuava a martellarlo: ”Mai secondi o terzi. Sempre primi”. Era primo a scuola e primo nello sport, il più bravo nei campionati di tennis. Sarebbe diventato anche il primo nel lavoro e con le donne. Dopo la laurea andò in America a specializzarsi: si esercitò per anni trapiantando cuori in cani. Tornò in Sud Africa e aprì un reparto cardiaco al Groote Schur di Città del Capo. Continuando a fare esperimenti: trapiantò due teste a un cane e ne fece un filmato per le lezioni universitarie. Il 3 dicembre del 1967 cambiò la storia della medicina. Trapiantò il cuore a Louis Washkansy, il paziente della 270. Il vecchio Wash, come lo chiamava lui, faceva il piazzista, era un uomo massiccio, diabetico, con i giorni contati. Gli parlò del trapianto: ”Vuoi rifletterci su?”. ”Neanche un secondo”, rispose lui. Barnard ricordò: ”Davanti a noi c’era uno che viveva con il cuore di un altro. Il primo al mondo. Ma non pensavamo di aver fatto qualcosa di straordinario: non avevamo informato la stampa, non avevamo fatto nulla, neppure una foto. E quando a notte fonda uscii dall’ospedale non c’era nessuno ad aspettarmi”. Il vecchio Wash morì 18 giorni dopo. Ma la strada era segnata. Dirk Van Zyl trapiantato nel ’71 da Barnard, vinse tutti i record di longevità e più di 20 anni dopo si presentava con lui alle conferenze. La sua operazione suscitò grande scandalo: per lui fu scelto un donatore meticcio, e a scuola i figli venivano sbeffeggiati perché il padre ”aveva il cuore di un negro”. Ma 4 anni prima, il figlio del ”prete dei neri” aveva rinunciato a quella scelta. Si era giustificato dicendo che temeva l’accusa ”di fare esperimenti su pazienti di colore”. I suoi detrattori sostenevano che era troppo ligio nel rispettare la segregazione. Ma la verità è che aveva imparato da mamma Maria: ”Mai secondi. Sempre primi”. E gli uomini così seminano molte invidie e molte calunnie. Dopo qualche anno, nell’83, un’artrite reumatoide lo costrinse ad abbandonare il bisturi. Da allora passò il tempo viaggiando per il mondo, a far conferenze e godersi la vita, fra l’Europa, molta Costa Azzurra, e la fattoria in Sud Africa. Ha avuto 3 mogli, una più bella dell’altra. L’ultima il giorno delle nozze aveva 23 anni, 52 meno di lui. Si separarono 2 anni dopo. Diceva che erano sempre le donne a lasciarlo: ”Il matrimonio è un lavoro. Non lo so fare bene come il medico”. Invece, quello di suo padre che era durato tutta la vita era stato una poesia, diceva. Un giorno, Adam aveva staccato una melagrana da un albero, l’aveva spaccata in due e aveva detto: ”Maria, così è aperto il mio cuore per te”. Sua madre aveva pianto: l’unica volta in vita sua» (’La Stampa”, 3/9/2001).