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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

Baronio Roberto

• Manerbio (Brescia) 11 dicembre 1977. Calciatore. Dal 2010/2011 al Bologna. Ha giocato anche con Brescia, Vicenza, Reggina, Fiorentina, Perugia, Chievo, Udinese, Lazio. Campione europeo under 21 nel 2000, una presenza nella nazionale maggiore • «Ho perso mio padre a dieci anni, quando giocavo nella Voluntas. Si chiamava Angelo. L’anno dopo sono passato alle giovanili del Brescia e da casa mia, a Manerbio, facevo tutti i giorni trenta chilometri in treno appena finita la scuola. Avanti e indietro, allenamento e ritorno, casa stazione casa. Mi ripetevo che ce l’avrei fatta. In un periodo in cui mia madre era sola e mio fratello Giacomo militare, non era facile. […] E pensare che quando andavao – male – a scuola, mia madre si sentiva dire, tra sbuffi e consigli: ”Signora, capisco l’amore di suo figlio per il calcio, ma di Maradona ce n’è uno solo”. Insomma, potevo mollare, non l’ho fatto» (Matteo Dalla Vite, ”Guerin Sportivo” 26/7/2003) • «Se potessi tornare indietro non rifarei lo sbaglio di voler tornare a tutti i costi alla Lazio dopo la splendida stagione vissuta a Reggio Calabria. Avrei fatto meglio a restare in una squadra in cui avevo la possibilità di giocare piuttosto che andare in un club dove ero chiuso» (Giancarlo Tavan, ”La Gazzetta dello Sport” 30/7/2003) • «L’Italia la conosce bene, perché l’ha girata in lungo e in largo alla ricerca della propria identità. Brescia, Lazio, Vicenza, poi Reggina, Fiorentina, Perugia e Chievo, inframmezzate da altre due annate in biancoceleste: sei maglie in nove stagioni in serie A, mai due di seguito ad esultare sotto la stessa curva. Un vagabondo del calcio italiano, sempre con la valigia in mano, sempre pronto a lasciare la squadra vecchia per quella nuova nella speranza di trovare la definitiva consacrazione. [...] a 27 anni non ancora compiuti (spegnerà le candeline l’11 dicembre) in parecchi non avevano esitato a darlo per finito, inserendolo nella categoria dei ”troppo precocemente bocciati”, ex di belle speranze che hanno lasciato sfilare via il treno giusto. Invece lui, arrivato alla Lazio a soli 20 anni, dopo cinque apparizioni in A e un’unica stagione da protagonista a Brescia, ma in serie B, e poi dirottato a ”farsi le ossa” in giro per la penisola, ha saputo aspettare, soffrire, andare avanti nonostante le critiche e le etichette e uscire dal tunnel dei dimenticati a testa alta. ”Ho vissuto anni tribolati: prima la retrocessione con la Fiorentina, poi Perugia. Quello è stato il mio periodo peggiore, perché la società non mi faceva giocare senza che ci fosse alcun motivo. Il numero 13 che avevo scelto in omaggio a mio figlio, nato quel giorno, e che secondo il presidente Gaucci portava sfortuna, è stato solo un pretesto per farmi fuori. stato peggio che subire un brutto infortunio, perché non riuscivo a capacitarmi di quello che mi stava accadendo. Davvero non pensavo che nel mondo del calcio potessero succedere cose simili”. Quell’esperienza lo ha segnato, ma l’ha anche fatto crescere, maturare, insegnandogli che non bisogna mai arrendersi di fronte alle difficoltà: ”Ho continuato a credere in me stesso, anche quando con Del Neri non riuscivo a ingranare: io sono un centrocampista centrale capace di organizzare il gioco. Un regista basso, troppo per i gusti del tecnico. Per questo i primi tempi a Verona ho fatto fatica: non entravo nei meccanismi. Però sapevo di avere grandi potenzialità”. Così con l’impegno e l’umiltà di chi non vuole mai smettere di imparare, ha conquistato prima Del Neri e poi Beretta. ”Adesso sto bene fisicamente e mentalmente – dice ”, sento la fiducia dei compagni e dell’allenatore e questo mi aiuta a giocare meglio. Rimpianti? Qualcuno sì: magari se dopo Reggio Calabria fossi andato in una squadra in cui c’erano più possibilità di essere titolare invece di tornare alla Lazio... Però al Chievo ho trovato l’ambiente giusto per rinascere e alla fine credo sia andata bene così” [...]» (Fabiana Della Valle, ”La Gazzetta dello Sport” 5/10/2004).