varie, 13 febbraio 2002
BARTOLI
BARTOLI Cecilia Roma 4 giugno 1966. Mezzosoprano. Vincitrice di quattro Grammy, gli Oscar della musica. Il suo cd su arie d´opera di Vivaldi ha venduto 800.000 copie, mentre il progetto Gluck Italian Arias è arrivato alle 600.000 copie, cifre d´eccezione per la classica. Ha conquistato la posizione di artista ”classica” più venduta degli ultimi dieci anni in Francia, Germania, Svizzera, Portogallo e Belgio, e a dispetto delle sue scelte sofisticate e iper-colte il suo nome ha fatto spesso irruzione nelle classifiche di vendite del pop • «La stella più glamorous della scena operistica. Un successo ”classico” senza precedenti. Il mezzosoprano di coloratura migliore del nostro tempo. Voce preziosa, flessibile, espressiva, inarrivabile. Musicista raffinata e essenza d’italianità al massimo livello. Definizioni ritagliate dai giornali inglesi (due pagine intere a lei dedicate dal ”Guardian”, un servizio monumentale sul ”Times”), dove le foto del suo bel volto mediterraneo e intenso campeggiano sovrane [...] Sempre più internazionale e meno italiana nei circuiti (’ma italiana resto nel cuore e negli affetti”). Sofisticata e popolare, ipercolta e commerciale, ha una storia d’eccezione, fatta di circa cinque milioni di dischi venduti nel mondo (record quasi pavarottiano), di premi prestigiosi a non finire (Grammy e altro) e di un popolo di fan capace di file lunghe cinque ore per ottenere un suo autografo (è accaduto al Carnegie Hall di New York). Il tutto è l’esito, inaspettato o surreale, di una carriera riflessa in scelte centellinate nel rigore: fenomeno a sé, senza confronti né modelli, ha il potere, più unico che raro, di imporre le sue scelte, spesso non facili e (sulla carta) persino ”impopolari”, sia alla sua casa discografica (se l’è garantita in esclusiva la Decca), sia ai teatri più importanti del mondo. Il suo Vivaldi Album, del 1999, tredici brani vivaldiani ignoti riesumati in un anno di ricerche, ha venduto mezzo milione di copie. Ed è stata lei (lo fece già col Metropolitan di New York) a decidere quando e come debuttare al Covent Garden, che da anni la reclamava invano. Non con la scelta prevedibile di un Mozart o di un Rossini, repertorio in cui eccelle e che segnò i suoi inizi. Ma con un’opera rara di Haydn”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 15/10/2001). Di chi è la colpa se non canta quasi mai in Italia? «Del verismo, che domina tutti i teatri, e della programmazione che si fa in ritardo. Ci vorrebbe più coraggio nelle scelte artistiche. Mi piacerebbe cantare nel mio Paese, non è vero che manca il pubblico per il mio repertorio, barocco e settecentesco. Io canto spesso a Zurigo, e lì arriva molta gente in auto e in pullman da Milano, da Roma... [...] Volevo fare la ballerina di flamenco. A Parigi mi chiamarono per sostituire Aprile Millo, c’era la tv, mi ascoltò Barenboim e da lì cominciò tutto. Fino a Karajan, che all’audizione non lo vedevo, sentivo solo la sua voce, parlava al microfono nella penombra della Festspielhaus di Salisburgo. Mi sembrava la voce di Dio. ”Ti voglio a Pasqua per la Messa in si minore di Bach”. Mi congedò così. Non ci fu tempo. Morì poco dopo» (Valerio Cappelli, ”Corriere della Sera” 12/7/2002). «Fenomeno ormai senza confronti nel suo campo, è una gemma anomala nel mondo della lirica, idolatrata come le star più mitiche di un tempo, grazie alla sua bravura inarrivabile, che esalta al massimo i melomani per la sua coloratura e i fuochi d´artificio vocali, e che seduce al tempo stesso un pubblico solitamente estraneo all´opera con l´espressività ammaliante di una voce che sa tradurre amori e struggimenti di secoli lontani in emozioni vivide, riconoscibili e attuali. insomma una diva vera, forse l´unica contemporanea (o l´ultima rimasta) nella lirica: la sola che ancora, nella crisi devastante del mercato della classica, riesce a imporre alle case discografiche le proprie scelte ”impopolari”, a vendere una quantità di dischi da classifica pop e a provocare un tifo da stadio ai suoi concerti. Regina di un successo planetario (’è il migliore prodotto di esportazione italiana dopo il risotto”, ha scritto ”Newsweek”), questa romana luminosa e ridente canta però molto di rado in patria: sia perché la sua voce, perfetta per Rossini e Mozart, con cui iniziò la sua carriera, predilige Haydn, Vivaldi e Gluck, mentre da noi si adora l´Ottocento; sia perché i suoi cachet astronomici sono difficilmente sopportabili dalle casse sempre più magre dei teatri italiani. [...] Compie spesso esplorazioni avventurose di repertori rari o poco frequentati. ”E ogni volta è un viaggio, un lavoro da detective musicale appassionante. I lavori di decifrazione dei manoscritti possono essere molto complessi, come accadde per il disco su Vivaldi. Nel caso di Salieri, insieme al musicologo Claudio Osele, ho lavorato sulle partiture autografe conservate dalla Biblioteca Nazionale di Vienna”. I suoi direttori prediletti? ”Harnoncourt, con cui collaboro tanto e a cui devo molto. Barenboim, con cui ho iniziato la carriera internazionale. Boulez, uomo d´impressionante fascino intellettuale. E Simon Rattle”. [...] Non ha mai pensato ad allontanarsi dal Settecento, magari per cantare musica del nostro tempo? ”Sto discutendo su un progetto con Hans Werner Henze: la sua musica mi piace molto. E comunque sono arrivata fino a Ravel. Ho voglia, certo, di territori nuovi, ma non mi stancherò mai di compositori come Händel e Mozart. Mondi dove non si smette di scoprire. [...] Il cosiddetto crossover non mi riguarda. Voglio portare il pubblico al di là dal ponte, farglielo attraversare. Over the bridge: guidarlo nel mio mondo. Se invece sono io ad attraversare il ponte, a snaturare me stessa in nome di un´operazione commerciale, l´esito sarà senza senso. la qualità che vince e fa il successo”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 20/10/2003).