Varie, 13 febbraio 2002
BASSOLINO
BASSOLINO Antonio Afragola (Napoli) 20 marzo 1947. Politico. Pd (Pci, Pds, Ds). Ex governatore della Campania (2000-2010), ex sindaco di Napoli (1993-2000), ministro del Lavoro nel D’Alema I (1998-1999) • «Ambizioso, incline al doppio incarico, con forti aspirazioni di governo (è stato ministro del Lavoro ma senza lasciare la poltrona municipale) e di governatore, come hanno dimostrato i tentativi di essere primo cittadino e presidente della Regione, per molti napoletani è un vero viceré […] Qualcuno ricorda che, appena eletto, si muoveva a disagio nel nuovo mondo che stava comincando a beatificarlo, quello della borghesia colta napoletana che nascondeva l’argenteria per apparire austera quando lo invitava a casa (poi si capì che a lui l’argenteria piaceva), e delle famiglie nobili dai grandi cognomi che per lui significavano poco. Nel 1994 ci mise un po’ a imparare il nome del funzionario che a Palazzo Chigi si occupava dell’organizzazione dei G7: era un Visconti di Modrone. All’inizio il sindaco lo chiamava Mondragone, finché la segretaria non gli passò al telefono l’omonimo comune. Allora passò al semplice Visconti e si ritrovò a parlare con il commissario Luciano Visconti del distretto di San Ferdinando. Acqua passata. Oggi il Tony Blair from Afragola è un elegantone ”marinellizzato” (dal nome del negozio Marinella, fornitore ufficiale di Carlo d’Inghilterra e Claudio Velardi, consigliere di D’Alema), molto vanitoso (racconta che a Milano gli chiedono l’autografo, cita spesso Bill e Hilly e si pavoneggia con gli articoli esteri che lo riguardano) e determinato nella gestione del potere […] Superstizioso, fa sapere di non prendere nessun impegno importante il 17 del mese; e di tagliarsi i capelli, più curati di quelli di Mario Merola, solo di venerdì e solo alle 19 dal barbiere Antonio a Posillipo (perché così fece alla vigilia della sua elezione). Non nasconde nemmeno il suo terrore nei confronti delle automobili. Il sindaco della città nota in tutto il mondo per i suoi problemi di traffico non ha mai guidato e non sa cosa significhi avere il problema del parcheggio» (Denise Pardo, ”L’Espresso” 9/3/2000). «Ha scelto come slogan ”passo dopo passo” e sempre lo ripete. il suo tormentone, un logo propiziatorio, al punto che, assistendo al film Il collezionista di ossa, i napoletani, come a teatro, hanno lungamente applaudito l’eroe nero che sentenzia incolpevole: ”Ci riusciremo, passo dopo passo” [...] Terrorizzato dal malocchio, sfrega cornetti rossi, è convinto che accendini e cerini gli portino male e dunque usa solo fiammiferi di legno per le sue Winston, e ogni 19 settembre bacia la teca di San Gennaro con uno schiocco superstizioso, vibrante ed esagerato, e ha costretto pure il console americano: ”Kiss it, kiss it and we’ll drive away the Taliban” (’Bacia, e ci sbarazziamo del talebano”)» (Francesco Merlo, ”Corriere della Sera” 1/11/2001). «[...] «Questa è in breve la storia di Antonio Bassolino e dei bassoliniani. Sono entrati giovanissimi nel partito dei senatori e fondatori: i Chiaromonte, gli Amendola, i Napolitano; indiscutibili ma con un apparato modesto. I giovani della cordata di Bassolino sono diversi, più colti, più cinici. Bassolino, che è arrivato da Avellino, punta ai posti direttivi, diventa il padrone della commissione operaia e poi della segreteria regionale. Dice uno che lo ha conosciuto allora: ”Era un comunista vero, uno di quelli che ci credono, ma di un cinismo estremo, il cinismo necessario per diventare un leader, capace di prendere una strada e di svoltare senza mettere la freccia”. Il partito avrebbe preferito una personalità rappresentativa come Valenzi, ma Bassolino non aspettava le simpatie del partito, aveva una marcia in più, era un capo. Lo capì Mauro Calise che fu suo consigliere e ne curava l’immagine. ”Non è il programma che conta”, diceva Calice, ”ma l’immagine di Antonio”. Aveva ragione: nella Napoli umiliata dal potere laurino e dalla rete democristiana, Bassolino era il nuovo, specie per la Napoli laica di sinistra. La Napoli progressista, riformista, che aspettava da sempre la sua occasione e che la colse con entusiasmo. L’impossibile d’improvviso era a portata di mano, quello che fu chiamato il ”risorgimento napoletano” coinvolgeva tutti, i grandi intellettuali borghesi come i Barraco e i Marotta, come le avanguardie operaie dell’Italsider, i professori universitari, come i sindacalisti e gli imprenditori moderni. Bassolino è il sindaco deciso e coraggioso di questa Napoli miracolata che si prova a cambiare. Mancano i mezzi del trasporto pubblico, le officine sono piene di autobus scassati? Bassolino va in America e compra trecento autobus. E c’è Bagnoli che risponde alle richieste del giovane capo arrivato dalla commissione operaia. Vengono da ogni parte del mondo a vedere il miracolo del comunismo napoletano, anche dal Giappone. Tutto si muove, si apre, il sindaco chiama in giunta ottimi collaboratori come Vezio De Lucia e l’urbanista Camerlinghi; e come in ogni rivoluzione che si rispetti si bada ai simboli, alla nuova aria che deve circolare in città, al Teatro San Carlo che deve diventare il salotto buono della società emergente, il segretario dei tessili e la sua compagna alla prima del Lago dei cigni, quello della Federbraccianti con l’abito nuovo in una poltrona di prima fila: le solite illusioni delle società che cambiano, ma che al momento ti danno coraggio, ti sembrano acquisite per sempre. Quella Napoli appare unica e meravigliosa, l’anziana compagna Vera Lombardi accolta dal sindaco nel foyer e lui galante dice: ”Sei la prima vera signora che viene in questo teatro”. La compagna Lombardi sotto i lampadari scintillanti, fra la boiserie raffinata! Si riempiono gli alberghi, si moltiplicano congressi e mostre, partono cento iniziative. Non mancano in questa inebriante euforia quelli che restano con i piedi per terra, e che magari si fanno da parte. L’economista Ada Becchi Collidà vicesindaco abbandona, ma la rivoluzione moltiplica le sue creature, si occupa anche, come le vere rivoluzioni, di cambiare il linguaggio, i nomi. L’assessorato ai Servizi sociali diventa l’assessorato alla Dignità. C’è molta aria fritta nel ”risorgimento napoletano’” ma c’è anche del nuovo, una buona edilizia popolare, nuove scuole, un minimo di pulizia delle strade. Il primo mandato di Bassolino è comunque positivo. Poi la mossa sbagliata, la seduzione del grande potere: l’uomo del cambiamento di Napoli lascia la sua città e la sua grande impresa, va a Roma a fare il ministro del Lavoro nel gabinetto D’Alema. Perché si è lasciato giocare da D’Alema che ha interrotto la sua salita al cielo? stato lui a voler giocare la carta della politica nazionale? O non poteva dire no al primo governo diretto da un comunista? Comunque capisce che quella è la sua morte politica e torna a Napoli dove la fortuna è ancora con lui e lo fa eleggere a governatore della Campania. E come governatore fa di nuovo bene, conosce i problemi dell’agricoltura e dell’acqua che manca e si muove bene nella Comunità europea, ha capito che gli eurocrati nutrono grandi ambizioni, vogliono fare anche loro il miracolo nel Mezzogiorno, più soldi chiedi e più te ne danno. Ma anche con i soldi dell’Europa Napoli resta schiacciata da mille disgrazie e l’euforia dei primi anni se n’è andata. La gestione del potere, osserva Lamberti, è stata capace di corrompere anche la sinistra di lotta. Diventata sinistra di governo si è fatta irretire dalla quotidianità dell’amministrazione, dall’occupazione delle posizioni alias delle poltrone, dalle gare di appalto, dall’acquisto d’immobili. I segnali dell’avvenuto cedimento sono diventati così numerosi da creare una normalità dell’illegale. Il dato più sconfortante è che i partiti hanno completamente perso il controllo della pubblica moralità e permesso che la politica tornasse a essere ”una cosa sporca”. Ha vinto o perso la sua partita Bassolino? Vincerla certamente non poteva, a perderla con onore c’è quasi riuscito. Ha giocato molto, gioca molto nella sua vicenda il carattere. Bassolino è un uomo onesto ma pronto ai compromessi della politica, con la giustificazione o l’aggravante di essere un napoletano individualista convinto che se un intrallazzo lo fa lui sarà a fin di bene e riuscirà a controllarlo [...]» (Giorgio Bocca, ”la Repubblica” 12/1/2006).