varie, 13 febbraio 2002
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Bausch Pina
• (Philippine Bausch) Solingen (Germania) 27 luglio 1940, Wuppertal (Germania) 30 giugno 2009. Ballerina. Coreografa • «Punto di riferimento di un nuovo linguaggio della danza e del teatro, ”una ricerca che non si ferma mai”, come dice lei stessa, ”e che ogni volta che si rimonta uno spettacolo pone nuove difficoltà, nuovi interrogativi. E ogni volta è un po’ come se dovesse nascere un figlio molto desiderato”» (Giulio Baffi, ”la Repubblica” 19/11/2002) • « difficile immaginare cosa sarebbe il teatro della danza dell’ultimo quarto di secolo senza la sua paradigmatica esperienza e creatività. Questa coreografa dall’inconfondibile silhouette nera e dall’effige esangue, sofferente, come in preda all’imminente consunzione ma in realtà da anni potente e energica capofila del genere Teatrodanza è riuscita a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza del nostro tempo, guadagnandosi non solo una schiera di imitatori ma anche un pubblico insospettabile: forse il pubblico più largo e nuovo che qualsiasi altro coreografo di oggi abbia attirato a sé […] L’immagine dell’adolescente e timidissima Pina che trascorre i suoi giorni sotto i tavoli del ristorante del padre e ne osserva, in desolata solitudine, gli avventori è la prima di un’agiografia che contempla pure lo sconforto della ballerina in erba dai piedi troppo lunghi (a dodici anni calzava già il 41) per calzare le scarpette a punta» (Dizionario dello Spettacolo del 900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Baldini&Castoldi 1998). «Una volta, in Grecia, sono andata a visitare alcune famiglie di zingari. Ci siamo seduti insieme e abbiamo parlato; a un certo punto tutti hanno cominciato a ballare e io dovevo partecipare. Avevo una gran paura e la sensazione di non esserne in grado. Allora è venuta da me una ragazzina, forse sui dodici anni, e mi ha pregato ripetutamente di danzare assieme a loro. Diceva: ”Dance, dance, otherwise we are lost”. ”Balla, balla, altrimenti siamo perduti”. [...] Danzare deve avere un fondamento diverso dalla pura tecnica e dalla routine. La tecnica è importante, ma è solo un presupposto. Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che fare. A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. [...] Si deve trovare un linguaggio - con parole, con immagini, movimenti, atmosfere - che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre. una conoscenza molto precisa. I nostri sentimenti, quelli di tutti di noi, sono molto precisi. però un processo molto, molto difficile da rendere visibile. Io so bene che si tratta di qualcosa con cui si deve essere molto cauti. Se si traduce troppo in fretta in parole, può scomparire o diventare banale. Ma ciò nonostante si tratta di una conoscenza molto precisa, che possediamo tutti, e la danza, la musica ecc. sono linguaggi molto esatti, con cui è possibile far intuire questa conoscenza. Non si tratta di arte, e neanche di una semplice capacità. Si tratta della vita, e dunque di trovare un linguaggio per la vita. E si tratta sempre lo ripeto, di qualcosa che non è ancora arte, ma che forse potrebbe diventarlo. Fin dall’infanzia la danza è stata per me un mezzo di espressione molto importante. Con la danza potevo esprimere tutte quelle emozioni che non sapevo dire a parole. Sono talmente tanti i differenti stati d’animo, tante le sfumature e le tonalità che si possono esprimere attraverso la danza. Ed è questo ciò che conta: si deve conservare la ricchezza, non limitarla, si devono rendere visibili e percepibili tutte le diverse sfumature. [...] Si impara che nulla può essere separato. Che tutto coesiste contemporaneamente e che tutto è importante e vale allo stesso modo. Che si deve avere un grande rispetto per tutti i diversi modi di vivere e di vedere la vita. Anche questo è un aspetto importante del nostro lavoro. Come compagnia, siamo un gruppo misto e variegato di persone: i danzatori vengono da ogni parte del mondo, da culture molto diverse tra loro. Ormai è diventata un grande reticolo, una gigantesca famiglia, con collegamenti dovunque, in tutte le culture. Il nostro lavoro non è vincolato da alcun confine, ma li attraversa tutti. come le nuvole, come il sole, come la musica. Se io fossi un uccello, sarei forse un uccello tedesco? [...] Negli spettacoli ognuno è totalmente se stesso: nessuno deve recitare. Durante il lavoro, cerco di condurre ciascuno a trovare da sé quel che cerco. Solo allora egli risulta convincente, perché è autentico. [...] Terra, acqua, foglie o sassi in scena creano una esperienza sensoriale del tutto particolare. Modificano i movimenti, disegnano tracce dei movimenti, producono determinati odori. La terra si attacca alla pelle, l’acqua penetra nei vestiti, li rende pesanti e produce dei rumori. I mattoni di un muro abbattuto rendono il camminare difficile e insicuro. Se si porta all’interno di un teatro qualcosa che normalmente sta al di fuori, ci si apre lo sguardo. Improvvisamente si vedono cose che si credeva di conoscere in modo del tutto nuovo - come se fosse la prima volta. I molti materiali che usiamo sono cose naturali, che normalmente non hanno a che fare con quel luogo. Esse ci irritano e ci invitano a guardare in un modo completamente diverso. Impegnano i nostri sensi e ci portano a non pensare più e a cominciare invece a percepire, a sentire. I danzatori non indossano calzamaglie o costumi stilizzati. Gli abiti sono in parte vestiti normali e in parte vestiti lussuosi e bellissimi. Naturalmente anche eleganti, estremamente eleganti, ma l’eleganza viene anche spezzata. Figure strane, a volte grottesche, che non si riesce a inquadrare direttamente. I colori per me sono importanti, estremamente importanti. Da un lato non ci si differenzia dalla vita normale, dall’altro però si mostra la grande ricchezza di forme e colori che da sempre è esistita. La stessa cosa vale per le musiche di vari paesi e diversi periodi. [...] Animali e fiori, tutte le cose che usiamo in scena, appartengono alla nostra vita quotidiana. Ci sono ad esempio dei coccodrilli o c’è una storia d’amore bella e triste con un ippopotamo. Con tutto questo si possono raccontare delle storie, là dove non si riesce con le parole. E nello stesso tempo si può mostrare qualcosa della solitudine, della necessità, della tenerezza. Per questo non occorrono spiegazioni o allusioni. Tutto è direttamente visibile. Ogni spettatore lo può vedere con il proprio corpo e con il cuore. Questa è la cosa meravigliosa della danza: il corpo è una realtà senza la quale niente è possibile, ma oltre la quale si deve anche saper andare» (’la Repubblica”, 20/11/2002).