Varie, 13 febbraio 2002
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Beart Emmanuelle
• Saint Tropez (Francia) 14 agosto 1965. Attrice. Da noi nota soprattutto per Un cuore in Inverno (Sautet). Altri film: Nelly e Monsieur Arnaud (Sautet), Mission Impossible (De Palma). Compositore il padre Guy, interprete per Godard la madre. Ha ottenuto il Cesar riservato ai talenti emergenti nell’84, grazie al film di Jean-Pierre Dougnac Un amour interdit e, da quel momento, ha lavorato con gli autori più importanti del cinema francese. «Un’immagine di bellezza ideale, angelica dal collo in su […] Le sue forme accontentano i canoni di bellezza che oggi sembrano piacere di più ai francesi: quelli mediterranei di Monica Bellucci. Con il nasino all’insù e l’espressione altera di chi è nato a Saint Tropez e vive a Parigi. […] È stata la prima donna francese a ricevere la nomina di ambasciatrice dell’Unicef. Missioni e viaggi in Mauritania, Mali, Vietnam e Thailandia. Campagne per i bambini del Terzo mondo e contro la prostituzione infantile. È stata l’unica, almeno fra le più famose, a dispiacersi del declino del partito comunista. Qualche anno fa, si fece portar via dalla polizia durante l’occupazione della chiesa di Saint Bernard, simbolo della protesta dei sans papiers, gli immigrati senza documenti e permesso di lavoro. Nel 2002 ha criticato la sinistra e spiegato la sconfitta elettorale con il “distacco dalle masse popolari”. Ha preannunciato un impegno politico militante, l’iscrizione ad un partito, la discesa in campo. In visita a Parigi, il presidente brasiliano Lula, nuova star e nuova speranza della sinistra mondiale, oltre alle autorità, ha voluto vedere soltanto lei» (Massimo Nava, “Corriere della Sera” 12/5/2003). «Sono cresciuta in campagna tra alberi e animali, senza sogni di gloria. Sono capitata nel cinema per caso e continuo per amore. Il lavoro non è al centro della mia vita. I miei figli, nove e cinque anni, sono molto più importanti […] Secondo me la sessualità è solo un modo di espressione come qualunque altro. Forse io l’ho utilizzata un po’ troppo, il pubblico talvolta l’ha presa come una provocazione, ma se era utile al personaggio non mi dispiace […] A teatro ogni tanto mi mettevo su un lato del palco e mentre gli altri recitavano il dramma - era Strindberg - io ammiccavo al pubblico con occhiate, piccoli gesti e lo facevo ridere. E andando avanti nel tempo ho una visione molto più allegra della vita. Lo humour è il modo migliore per uscire dai drammi piccoli o grandi di ogni giorno» (“la Repubblica” 14/4/2002). «Personalmente non possiedo la sicurezza della Bellucci che ammette, senza tanti giri di parole: sì, io sono bella. Bellezza è il bagliore che si riesce a tirare fuori dal gioco di luci e ombre interno a ciascuno di noi» (Luigi Pasquinelli, “Il Messaggero” 9/4/2002). «Viene voglia di guardarla e riguardarla, per scoprire negli occhi azzurri sgranati dietro gli occhiali, nel fisico minuto e scattante, il segreto di un fascino che sul grande schermo s’accende e si esalta: “Ho un temperamento forte, mio padre e mia madre mi hanno fatta in questo modo. Sarà perchè nelle mie vene scorre sangue russo e greco e così si crea una strana miscela […] Quando mi chiedono che cosa faccio per conservare il mio aspetto fisico non so mai che cosa rispondere. Bevo, fumo... in realtà credo che l’aspetto dipenda da qualcosa che si ha dentro, io non faccio nulla per costruirlo. Forse non riesco a crescere, ad apparire più adulta. In effetti, se ci fate caso, noterete che quasi sempre negli attori permane una nota infantile […] I miei bambini mi criticano un sacco e mi preferirebbero con un look più adulto, possibilmente vestita da signora”» (Fulvia Caprara, “La Stampa” 20/3/2002). «Icona della sensualità alla francese, esempio perfetto di bellezza pensante dove al corpo sinuoso si accompagnano intelligenza, curiosità, impegno [...] una storia personale densa di uomini e di dolori, un’attenzione sempre viva ai problemi del sociale. E’ soddisfatta dei suoi traguardi? “Non conosco la parola soddisfazione, il significato mi sfugge a tal punto che certe volte vado a ritrovarlo sul vocabolario. Ma quello che mi spinge a lavorare è proprio questa continua insoddisfazione: ogni volta che accetto un ruolo è come se facessi le valigie per andare altrove perché lì dove sono non sto bene del tutto. D’altra parte non posso lamentarmi: in quale vita se non in quella di un’attrice può succedere di essere, nell’arco di pochi mesi, prima un fantasma e poi una prostituta? [...] Non amo i progetti che non corrispondono al desiderio intenso, profondo, di raccontare una storia. Non mi piacciono le proposte pensate in base a criteri commerciali o pubblicitari. Non condivido, per esempio, il modo con cui si fa la tv, partendo dalla convinzione che certe cose bisogna farle perché piacciono al pubblico, tra l’altro in base a valutazioni che, molto spesso, sono tutte sbagliate” [...]» (Fulvia Caprara, “La Stampa” 19/1/2004).