Varie, 13 febbraio 2002
BEGGIO Ivano
BEGGIO Ivano Scorzè (Venezia) 31 agosto 1944. Imprenditore. Patron dell’Aprilia. «La prima Aprilia ha visto la luce all’inizio del 1962, nel retrobottega della premiata ditta di papà Alberto, bici, cucine e le prime lavatrici in vendita davanti al municipio di Noale, pianura veneta a una trentina di chilometri da Venezia. Ivano, l’unico figlio maschio, 18 anni, ha le idee ben chiare: da due anni alla mattina va in Zoppas a imparare i segreti dei motori dei frigoriferi; nel pomeriggio, va in giro a montare cucine. Verso sera in bottega a sistemare telai di bici. Di tempo libero, insomma, ce n’è poco, ma lui ne trova comunque abbastanza per coltivare la sua unica passione: le moto. Ma quale moto? Un po’ per necessità (di soldi in casa ne girano pochi) un po’ per scelta (’allora – ricorda – le grandi aziende, Guzzi e Gilera, facevano sempre le stesse moto pesanti, bianche, nere o blu. Non c’era nulla per un giovane”), decide di far da solo, assieme a una dozzina di collaboratori destinati a diventare dirigenti della sua multinazionale. ”Era un cinquantino – dice – color oro e azzurro. Non avevo feeling per le bici, le abbandonai e presi a inseguire un futuro di moto da corse, di competizioni, di gloria”. Un sogno che, dopo le prime cadute, ripone nel cassetto per qualche anno, in attesa di mettere a punto, dall’inizio degli anni Settanta, i purosangue a due ruote da affidare ai suoi centauri. Un sacrificio obbligato, anche perché, scomparso papà Alberto, su di lui ricadono le responsabilità della famiglia che lo obbligano a lasciare la scuola prima del diploma. […] Vista con il senno di poi, la decisione di produrre una moto ”colorata” sembra un’idea scontata, banale. Ma, fino a quel momento, non ci aveva pensato nessuno.. E che dire di quella follia di metà anni Settanta? Allora c’era addirittura chi teorizzava il definitivo tramonto della moto e chi, scommettendo sul futuro delle due ruote, non aveva dubbi: contro i giganti giapponesi gli italiani non hanno alcuna speranza. Solo a Noale, in quegli anni, c’è un ”matto” che impegna tutti i suoi averi nell’avventura dell’Aprilia. Mentre i suoi colleghi si lamentano del costo del lavoro o della conflittualità, lui investe nella ricerca, nella progettazione, nelle idee. Il risultato? La fabbrica a rete ”olonica”. Di che si tratta? La casa madre tiene in azienda la ricerca, la progettazione, il marketing, il controllo di qualità e decentra tutto il resto. In questo modo l’imprenditore e la sua squadra possono concentrarsi sulla fantasia e l’innovazione al servizio dei clienti. E, naturalmente, dei campioni che vincono su Aprilia a ogni latitudine… Anche la scoperta della fabbrica a rete, ai tempi di Internet, sembra un’idea diffusa, quasi copiata dagli americani. Ma l’ingegner Beggio (laurea honoris causa a Pisa) ci è arrivato prima di tutti e in un settore, la meccanica ad alta tecnologia, ove nessuno riteneva possibile che si potesse mandare avanti una fabbrica con questi criteri. Invece ogni giorno si ripete il miracolo: più di cento tecnici al lavoro e lui, l’ingegner Ivano, a occuparsi della parte creativa e dei progetti. Come un grande artista rinascimentale nel cuore della sua bottega.. Dell’artista ha senz’altro la qualità di vedere nel futuro e anticipare gli umori del pubblico; dell’imprenditore, ha la virtù di saper padroneggiare i costi e mettere i sogni al servizio dell’azienda. Una fabbrica così, capace di macinare utili e titoli iridati, la vorrebbero in Borsa. Ogni tantro promette che la quotazione s’avvicina. Poi ci ripensa: il rischio è di passare più tempo con in banchieri che in officina» (Ugo Bertone, ”Specchio” 12/5/2001).