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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

BELMONDO

BELMONDO Stefania Vinadio (Cuneo) 13 gennaio 1969. Sciatrice (fondo). Medaglia d’oro alle Olimpiadi 2002 di Salt Lake City nella 15 km a tecnica libera. Aveva già vinto l’oro, nella 30 km, alle Olimpiadi di Albertville 1992. Nove medaglie olimpiche, di cui due d´oro; 13 medaglie mondiali di cui 4 d’oro. Durante il Giro d’Italia 2002 ha annunciato il ritiro dall’attività agonistica: «’Ho vissuto emozioni intense, irripetibili, ma non ho mai vissuto una vita vera. La normalità di alzarsi la mattina e non avere l’assillo dell’allenamento. Dover pensare prima di tutto alla preparazione, come ho fatto per anni. Lo sci mi ha dato tante soddisfazioni, rifarei tutto, ma ora voglio il resto”. Il resto sono la famiglia, la voglia di stare con il marito, il lavoro. Lo sci, anche, ma senza impegno. E una sola paura: ”Essere dimenticata”. Addio agli sci, dunque. Quale il vero perché? ”Vedete, io mi sono sempre allenata. Lo sci mi piace ancora, è stato una parte così importante della mia esistenza. Ma sono due mesi che ci penso e ho valutato ogni cosa: ho vinto tutto quello che c’era da vincere, mondiali, olimpiadi. Mi manca solo la Coppa del mondo, ma non importa. Ho scoperto che faticavo a trovare motivazioni valide, non ho più la voglia di vincere. Forse se avessi insistito l’avrei anche trovata. Ma in questi ultimi tempi sono andata in giro senza risparmiarmi. E così ha prevalso, alla fine, la stanchezza che sento dentro. Vincere mi è costato una fatica enorme e sono 16 anni che lo faccio. il momento di cambiare”. Cosa farà adesso? ”Intanto sono nella Forestale, riprenderò il lavoro lì. Poi collaboro con il Toroc, il comitato delle Olimpiadi 2006. E spero di poter collaborare con l’organizzazione dei mondiali di Fiemme. C’è la casa, la famiglia, mio marito. Voglio essere libera di partire per una gita in moto senza dover pensare all’allenamento” [...] Sfiora appena la polemica doping: fra i motivi dell’abbandono c’è anche l’aver dovuto sempre lottare contro avversarie furbe e imbroglione, fino alle ultime olimpiadi di Salt Lake City. ”Anche quello ha contribuito alla mia decisione: è una questione che mi ha dato talmente fastidio che non voglio tornarci su. La lotta al doping, comunque, è una battaglia che continuerò. Andrò nelle scuole per spiegare ai ragazzi che io ho vinto con le mie sole forze, anche se sono piccola e minuta. Spiegherò che è importante non solo il fisico, ma anche la testa”» (Eugenio Capodacqua, ”la Repubblica” 31/5/2002). «La più acerrima delle rivali, la bella e conturbante Manuela Di Centa che le rubava sempre la scena, sette medaglie olimpiche Manuela sette Stefania, però tutti a sbavare per la Di Centa, così affascinante, così disinvolta nelle pubbliche relazioni mentre Stefania, dicevano tutti, è una brontolona, una che non accettava di perdere. [...] Stefania, allora, accusava a destra e a sinistra. Le avversarie che la battevano? ”Scorrette, disoneste”. Insinuava che la battevano perché ricorrevano a pratiche vietate, al doping. E se non era il doping erano i regolamenti a starle contro: ”Snaturano l´essenza dello sci di fondo, gli sprint e le partenze in linea fanno solo spettacolo...”. Piccola e fragile com’è, bastava un donnone russo o scandinavo a ributtarla nella pancia del plotone, alle ”mass start”... Stagioni di gioie e rancori, seminava veleno. Non aveva mai parole scontate, scolorite. Che fosse questa la sua terapia per guarire dalla sconfitta? Dieci anni fa era ancora una ragazza timida, e tuttavia gli occhi celesti malcelavano sguardi di un orgoglio smisurato: quanto lo si sarebbe saputo negli anni a venire. Ai Mondiali in val di Fiemme del 1991 catturò un insperato bronzo nella 15 chilometri classica: divenne la prima italiana a conquistare una medaglia nello sci nordico. L’anno dopo, l’oro di Albertville. La consacrazione di una splendida ed incredibile storia di sport. Aveva spezzato un tabù: quello che le donne italiane non potevano competere sulle nevi piatte dello sci nordico con le donne del Grande Freddo, fino allora incontrastate dominatrici di un territorio esclusivo, in virtù di pregiudizi geografici ed etnici. Lei, la piccola Stefania che viveva a Ponte Bernarda frazione di Pietraporzio nella Valle Stura, in provincia di Cuneo, aveva battuto russe, svedesi, norvegesi, finlandesi. Aveva dimostrato che si poteva. Bastava coltivare il talento ed imporsi una disciplina ferrea. Sono passati dieci anni: il mondo stesso è cambiato, c’è stato l’11 settembre. Lei no: è rimasta fedele ai valori tradizionali delle sue montagne di confine, dove la vita non è facile neanche se arriva il benessere, dove la condizione umana è legata ai posti, ai pochi amici, a quel che sei capace di fare. Dove lei la chiamano tutti Trapulin. Stefania-Trapulin ha inseguito con una cocciutaggine d’altri tempi il sogno di diventare la fondista italiana numero uno, titolo virtuale assegnato alla rivale Di Centa. Una sfida nella sfida che ha infiammato il pianeta del fondo come ai tempi succedeva per il ciclismo, quando o si stava con Bartali o si tifava per Coppi. Lei si è sempre sentita più vicina, nello spirito e nel temperamento, a Ginettaccio che non a Fausto. Ed infatti Bartali conquistò il suo secondo Tour de France dieci anni dopo il primo, e in mezzo c’era stata la Seconda Guerra Mondiale e l’avvento irresistibile di Coppi. Vicende parallele? L´immaginario dello sport si alimenta di questi dualismi, altrimenti che racconti ci sarebbero? [...] Stefania, nel frattempo, si è sposata. Con un meccanico d’auto, Davide Casagrande. Ora vive a Demonte, sempre in Valle Stura. Lui ha un’officina Fiat. Hanno adottato a distanza una bimbetta del Mozambico. Il successo non vuol dire tenere gli occhi chiusi sulle miserie del mondo» (’Corriere della Sera”, 10/2/2002).