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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

BenJelloun Tahar

• Fès (Marocco) 1 dicembre 1944. Scrittore. «In tempi di scontri di civiltà evocati o negati, di meticciati aborriti o rivendicati, il marocchino di espressione francese Tahar Ben Jelloun è uno degli scrittori più amati della sinistra. Cittadino di Parigi ma anche di Tangeri, autore di romanzi talvolta riecheggianti la tradizione delle Mille e una notte ma anche di saggi di impegno civile come Il razzismo spiegato a mia figlia (Bompiani), Ben Jelloun possiede i requisiti del perfetto ”ponte tra due culture” e anche come tale gode – soprattutto in Occidente, meno tra i suoi conterranei – di un consenso quasi unanime. Spezzato [...] da Nuovi Argomenti, la rivista fondata nel 1953 da Moravia e Carocci, diretta tra gli altri da Pasolini, Sciascia e Siciliano. [...] Nuovi Argomenti critica Tahar Ben Jelloun e lo fa tacciandolo del più grave dei peccati per un intellettuale arabo: ”Orientalismo”. Orientalismo è il titolo del libro scritto nel 1978 dal palestinese-americano Edward Said, altro grande autore a cavallo tra due mondi caro alla sinistra, che accusò gli intellettuali occidentali di ingabbiare le multiformi culture orientali in formule stereotipate e romantiche, dove – per esempio – il mondo islamico evoca immediatamente mistero, violente passioni, dispotismo in politica. La stessa accusa viene mossa a Ben Jelloun su Nuovi Argomenti dalla studiosa di letteratura araba Silvia Lutzoni, che – riprendendo critiche già espresse da autori maghrebini come Ridha Bourkis – esamina alcuni passaggi dello scrittore di Creatura di sabbia. Da Il labirinto dei sentimenti: Isabel era una donna berbera ”di una bellezza luminosa e inquietante, una bellezza che fa male e scatena la violenza [...] La bellezza di quella donna era la sua grazia e la sua sventura, la sua fatica di vivere perché nessun uomo poteva resisterle né accettarla serenamente”. Commenta la Lutzoni: ”La donna berbera, bellissima e enigmatica, assume su di sé tutti i tratti di un luogo comune che la letteratura occidentale dell’Ottocento (da Flaubert a Chateaubriand, ndr) si era già peritata di tramandare, avallando un’idea dell’Oriente di lussi, misteri e carnalità così radicata e, insieme, perniciosa, tanti sono stati gli equivoci che ha proiettato sui già difficili rapporti tra due culture”. E ancora: ”Una costante che attraversa tutti i romanzi di Ben Jelloun è la gestione politicamente corretta dei sentimenti, spesso esibiti ed accarezzati, come mimando l’autenticità. Un’autenticità così gridata da costringerci, però, al sospetto. Come in questo passaggio da L’ultimo amico: ”Quando incontrai Soraya fu un colpo di fulmine, un piccolo terremoto, una tempesta nel cuore, una valanga di stelle e di luce’”. Analoghi luoghi comuni e pregiudizi Ben Jelloun applicherebbe quando affronta l’Occidente. Ancora da Il labirinto dei sentimenti: ”Preferisco parlarti di pizza e di Napoli. Che cosa sarebbe questa città senza le sue pizzerie? [...] Napoli vive rumorosamente, non conosce il silenzio, il silenzio deve farle paura, allora tutti gridano e urlano, questa è la vita, la vita a Napoli”. Il commento: ”Non possiamo nascondere il nostro imbarazzo. Tanto più se pensiamo a tutta una serie di scrittori partenopei – da Rea a Ortese, da Compagnone a La Capria – che hanno lavorato alla decostruzione del mito di Napoli”. Su Nuovi Argomenti troviamo pure un appunto sulla figura pubblica di Ben Jelloun: ” diventato un professionista della pace e del dialogo tra i popoli: un ambasciatore principe della Nazione araba, ogni volta che c’è da accorrere a qualche manifestazione internazionale, insomma là dove ci sia da pronunciare la parola giusta e corretta”. La presa di distanze è sorprendentemente dura, e non solo letteraria» (Stefano Montefiori, ”Corriere della Sera” 12/9/2005). «In Africa essere uno scrittore pubblicato in Occidente con successo vuol dire molte cose. Significa essere quasi un mito. Ma quando si vive in Europa, diventa una professione banale, non stupisce nessuno. Io sono originario del Marocco, vengo investito di varie missioni per il mio paese. Dal momento che racconto storie, pensano che debba trovare soluzioni anche per i problemi economici del paese e che debba parlare a nome di tutto il popolo. […] Vivo a Parigi perché scrivo in francese e mi sembra più naturale abitare nella città centro della cultura francofona. […] Al mattino scrivo dalle otto all’una su un quaderno con una penna stilografica. più facile trasportare i quadreni, quando mi sposto, occupano poco spazio. Non ho alcuna fiducia nei computer, cerco di evitare di adoperarli perché ho perso dei testi» (Alain Elkann, ”La Stampa” 9/7/2000). « sempre più difficile. Parigi è una città molto inquinata, troppo viziata dai turisti. bellissima, ma la vita quotidiana è difficile: un traffico intenso ogni ora del giorno, la polizia che vigila sempre, la gente è stressata e nervosa, non c’è gioia di vivere a Parigi!» (Alain Elkann, ”La Stampa” 26/10/2003).