Varie, 13 febbraio 2002
BENNI
BENNI Stefano Bologna 12 agosto 1947. Giornalista. Umorista. Scrittore. Poeta. Ha pubblicato una ventina di libri molti dei quali sono stati tra i grandi best-seller degli ultimi anni: da Il bar sotto il mare (1987) a La compagnia dei Celestini (1992) a Bar Sport e Bar Sport Duemila (dal 1997, la prima edizione era uscita vent’anni prima). Ha collaborato con giornali e riviste (’L’Espresso”, ”Cuore”, ”il manifesto”, ”Linus”), ma ora si dedica soltanto alla scrittura • «Non va in televisione, non scrive sui giornali, non ha nemmeno il sito internet. Non sarà mica un fantasma? Invece esiste, eccome. lo scrittore più evanescente e inafferrabile. Ma anche il più feroce, il più brontolone, il narratore più suocera della Letteratura italiana. Ma è una splendida suocera: quella che tutti vorrebbero [...] Funziona, la rabbia dello schiumeggiante polemista [...] Un tempo, con gli under 20, cioè con il popolo dei suoi lettori, aveva un feeling. Oggi li chiama ”pecoroni”. [...] ”I critici italiani dopo vent’anni che scrivo e che i miei libri durano hanno atteggiamenti diversi: vanno dall’odio atavico alla fastidiosa sopportazione, dal sospettoso rispetto all’entusiasmo amicale. Devo dire che se talvolta io non diverto i critici, qualche volta loro divertono me» (Mirella Serri, ”L’Espresso” 27/4/2000). «Ha sempre venduto moltissimo (per ora tre milioni di copie) e ha una folla di fan giovani e non giovani, che hanno formato la loro visione della vita, hanno capito qualcosa del mondo e di sé, e hanno cominciato a percepire tutte le schifezze del presente con i suoi libri e i suoi articoli; ridendo senza contentezza, come si fa oggi, sia leggendo cose spiritose e intelligentemente amare, che guardando e ascoltando porcherie vergognose in televisione» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 26/10/2001). «E´ da sempre un bestsellerista ”contro”, che critica i critici ”tromboni”, ironizza sugli autori ”seri”, detesta i premi letterari. E´ un globale apocalittico, un irriducibile antipresenzialista mai tentato dalle vanità televisive. Ed è uno che oggi dipinge l´Italia come un regime sudamericano. [...] Uno scrittore non riconciliato e un fenomeno editoriale. [...] Ha fama di essere un personaggio inquieto, difficile, scontroso, e soprattutto di non amare le interviste. E´ vero, ma si rivela anche un signore affabile, un elegante affabulatore, al fondo molto dolce e legato ai suoi affetti. [...] ”Io preferisco gli eroi quotidiani senza armi, che anche nella sofferenza riescono a mantenere un difficile spazio di generosità verso gli altri. Che lottano perché si sentono parte di qualcosa che non è solo un esercito, una loggia, un´azienda. Del resto, nei miei libri, ho sempre fatto un discorso su questi guerrieri quotidiani: da Blues in sedici, un libro di poesia a cui sono particolarmente affezionato dove c´è un padre che si sacrifica per suo figlio, a Elianto dove c´è un bambino che lotta contro la malattia, a Saltatempo dove ci sono i semplici eroi della mia infanzia, i partigiani e le partigiane dei miei paesi, tormentati, dubbiosi, per niente felici di dover prendere in mano un fucile. [...] Il fatto che come autore duri nel tempo (mi chiamano giovane scrittore ormai da un trentennio!) ha fatto sì che qualche critico si sia occupato un po´ più seriamente del mio lavoro, ma a me continua a interessare il parere di tutti, il tempo della lettura è lento e severo, e ci vuole tempo per capire se un libro è arrivato al cuore dei lettori. Considero il critico letterario un lettore come gli altri: a volte appassionato e attento, altre volte superficiale e frettoloso. Forse le recensioni si dovrebbero fare dieci anni dopo l´uscita di un libro. [...] Sono stato e resto anche giornalista, e conosco le insidie dei ritmi e dei protocolli giornalistici, quando sei costretto a leggere un libro in una notte per pubblicare prima della concorrenza, e un libro interessa soltanto il giorno che esce in libreria. Una volta mandai violentemente a quel paese l´intervistatore di un tg che mi raggiunse trafelato con il microfono in mano e mi disse: non ho letto il suo libro, ma ha trenta secondi di tempo per spiegarlo ai telespettatori. Gli dissi che lui aveva trenta secondi per andare in un luogo che lascio alla fantasia di chi legge. Pensi se un cronista sportivo andasse da un allenatore e gli dicesse: non ho visto la partita, me la racconti lei in breve: l´Italia intera insorgerebbe, e invece per i libri c´è questo poco rispetto, questa fretta, questa sciatteria. [...] Sto riprendendo a scrivere per il Manifesto e Repubblica ma con calma: ho troppa adrenalina, mi vengono fuori solo parolacce, e in questo la televisione è molto più brava di me” [...]» (Luciana Sica, ”la Repubblica” 31/12/2003).