Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

Berezovsky Boris

• Mosca (Russia) 23 gennaio 1946. Oligarca numero uno della Russia eltsiniana, magnate dei media, ”Rasputin del Cremlino”, il 25 marzo 2003 fu arrestato a Londra e rilasciato dopo poche ore grazie al pagamento di una cauzione pari a 100mila sterline. «Gode in patria di una reputazione diabolica: nella seconda metà degli Anni ”90, accumulato il più grande patrimonio privato del Paese, è diventato uno dei personaggi più influenti nella ”famiglia” di Boris Eltsin, un ”oligarca” di cui si diceva che mantenesse la figlia del presidente, Tatiana, e nominasse o licenziasse ministri. L’effervescente magnate non ha mai negato di essere di casa al Cremlino, ma il suo passaggio all’opposizione a Putin ha stroncato la sua fortuna. Dopo l’apertura di numerose inchieste con accuse di frode è stato costretto a rifugiarsi a Londra, minacciato di arresto in Russia, e gradualmente spogliato di pezzi del suo impero, che comprendeva petrolio, tv, giornali. Ha smesso di essere l’uomo più ricco della Russia ma è rimasto quello più informato. E le accuse che ha lanciato dal suo esilio volontario al padrone del Cremlino sono agghiaccianti: il magnate, noto per avere ottimi rapporti con i ceceni, afferma di avere le prove che diversi attentati attribuiti ai ribelli erano opera del potere, per permettere l’entrata in scena trionfale di Putin. Ha espresso lo stesso sospetto anche riguardo alla presa degli ostaggi nel teatro Dubrovka» (Anna Zafesova, ”La Stampa” 26/3/2003). «Uomo di grandi trame, inventò a Davos, in Svizzera, il patto dei ”sette uomini d’oro”, vale a dire di tutti coloro che avevano da temere finanziariamente un ritorno in Russia del passato […] Si è fatto cedere il 49 per cento del primo canale privatizzato della televisione di Stato, l’Ort. Una quota che gli ha concesso di essere di fatto il proprietario e l’editore unico della rete televisiva russa più ripetuta. […] L’Ort non si è trasformata soltanto nel principale organo di propaganda delle tesi della cosiddetta ”famiglia eltsiniana”, il gruppo che ha stabilito un nesso inestricabile tra politica e affari sotto l’accorta guida della figlia del presidente. Organo che si è rivelato particolarmente utile nell’estate del 1999 quando l’esplosione del cosiddetto Russiagate è sembrata travolgere l’intera ”famiglia”. Ha fatto di più: ha trasformato gli schermi televisivi in un potente strumento di manipolazione del consenso, o meglio di formazione predeterminata dell’opinione pubblica in un Paese considerato ancora assai immaturo sul piano della procedura democratica. […] Il suo capolavoro resta però l’invenzione dal nulla di un partito centrista, ”Unità”, che in poche settimane è diventato il primo gruppo parlamentare della Duma, trionfatore delle elezioni del dicembre del 1999 e base per la successiva ascesa al Cremlino di Putin» (Mauro Martini, ”diario” 15/6/2001). «Con Putin ci conosciamo dall’inizio degli anni ”80. E, confesso, ci sono stati momenti della nostra relazione che ricordo con piacere. Parlo del periodo in cui non pensava ancora di diventare un uomo politico. Mi venne presentato a San Pietroburgo. Ero lì con una delegazione della Daymler Benz per conto della mia Logovaz. Volodja era il vice di Sobchak, responsabile del Dipartimento per le relazioni economiche con l’estero. Gli chiesi di sostenere la nostra società a San Pietroburgo. Volevamo aprire un centro di assistenza auto. Putin fu di grande aiuto. Fu sorprendente. Gli dissi in molti modi che gliene sarei stato grato. E conoscevo molti modi per esserlo. Ma lui non mi fece mai intendere di voler ricavare qualche cosa per sé. Mi sorprese... […] Quando Sobcak perse le elezioni, Putin rifiutò l’offerta di Yakovlev di restare nello staff. Rimase qualche mese senza lavoro. Non era un comportamento da burocrate. Poi, ci rivedemmo a Mosca. Il Primo ministro era allora Primakov e Putin era diventato il direttore dell’FSB. All’epoca, ero un avversario di Primakov e, nonostante questo, il 22 febbraio 1998 accadde un fatto incredibile: era il compleanno di mia moglie. Sera tardi. Non avevo voglia di festeggiare. Sentii bussare alla porta di casa. Era Putin. Solo, senza scorta, con un mazzo di fiori e una bottiglia. Non era un caro amico e io non lo avevo invitato. Gli dissi: Ma perché ti prendi questo rischio? Primakov allora era molto potente. Putin mi rispose: ”L’ho fatto apposta per far sapere che sto con te” […] ”Fu Eltsin a scegliere Putin e ci fu, nel suo staff, chi gli presentò delle alternative. Io, sbagliando, ho sostenuto Putin. […] Tra Primakov e Putin non era una scelta tra il bene e il Male. La scelta era tra il Male Putin e l’Orribile Primakov. Oggi rifarei la stessa scelta. Perché sono convinto che Primakov al Cremlino avrebbe fatto le stesse cose di Putin. Quello che Putin oggi fa con la dubina, la mazza, Primakov lo avrebbe fatto con lo scalpello. Sarebbe stato peggio. La mazza fa male. E dunque tutti possono vedere gli errori di Putin […] Nella primavera del ”99, un gruppo di amici venne a Mosca dalla Cecenia. Mi annunciarono l’invasione del Daghestan, ma soprattutto mi misero in guardia: Boris, siamo pronti a combattere i russi sulla terra russa. L’estate sarà caldissima. Risposi che era un grave errore. In Russia, spiegai, soltanto il 10 per cento dei russi ormai sosteneva l’impegno militare. Aggiunsi: quella voglia i russi la ritroveranno se sarete voi ad aprire le ostilità […] La guerra cominciò in risposta alla catena di attentati a Mosca. Putin era direttore dell’Fsb […] Non sono in grado di dimostrare che siano stati ufficiali del Fsb ad organizzare gli attentati. Non ho informazioni certe. Ma non posso escluderlo. Perché ci sono degli indizi che impediscono di escluderlo. Primo: il momento. Si doveva votare ed esplodevano le bombe. Concluse le elezioni, fine degli attentati. Secondo: ancora oggi non è stato trovato un solo responsabile. Curioso. Dovrebbe essere la prima delle priorità […] Mosca mi manca. Putin ha detto che se ci rimetto piede finirò in galera. E siccome è una persona seria credo che lo farà. Uccidermi? Non posso escluderlo. Ma non credo che Putin abbia sufficiente potere per dare l’ordine. Neppure con un silenzioso cenno del capo. Guardiamo i fatti. La Cecenia dimostra che Putin è pronto ad assassinare un popolo, ad uccidere una nazione. Ma nessun fatto dimostra che Putin sia pronto ad uccidere un uomo solo. Capisco bene che è soltanto un piccolo passo quello che gli rimane da fare. Vedremo se avrà il coraggio» (c.b., g.d’a., ”la Repubblica” 12/7/2001). Vedi anche: Luigi Ippolito, ”Sette” n. 36/1998.