Varie, 13 febbraio 2002
BERGONZONI
BERGONZONI Alessandro Bologna 21 luglio 1958. Autore. Attore. Comico. Figlio di un industriale. «Giocoliere delle parole, creatore di fulminanti e surreali non-sense a partire dalla provocatoria volontà di spiegare il meno possibile, porta sulla scena il suo primo vero e proprio spettacolo nel 1986, quando rappresenta a Roma La saliera e l’Ape Piera per la regia di Claudio Calabrò. Le sue precedenti prove, Sceneggiata, Chi cabaret fa per tre, La regina del Nautilus risultano dei contenitori di situazioni tra loro diversissime, piuttosto che testi in possesso di una specifica coerenza. L’amore per ”il nuovo, l’astruso, l’originale e il curioso”, la volontà di sorprendere attraverso una profluvie di giochi d’artificio verbali che ricordano quelli dei fratelli Marx o del Burchiello, la destabilizzante sottrazione di qualunque saldo ancoraggio sono i tratti distintivi anche degli spettacoli successivi, tutti monologhi diretti da Calabrò» (a.g., Dizionario dello Spettacolo del ”900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Baldini&Castoldi 1998). «Un comico sociale. Sente la necessità di scrivere, di favorire la solidarietà, di ”pensare largo e grosso”, e si pronuncia agilmente su qualunque tema artistico, umano e civile. Usando, ma non sempre, i suoi paradossi linguistici. […] ”Un quadro di Hopper può, nel suo moto intimo e sensuale, raccontare lo spirito con cui non ci si deve accontentare della vita contemporanea, e non ci si deve appagare dei consensi di chi ti vuole comprare. E dal canto suo l’arte comica deve indurre non solo a denunciare ma anche a ricreare” […] ”Noi artisti, che (come tutti) da bambini eravamo sgridati per mancanza di sincerità, abbiamo il privilegio e il dovere di essere bugiardi. Altrimenti non esisterebbero le Città invisibili di Calvino o Macondo di Marquez”. […] ”La televisione andrebbe guardata senza essere accesa”» (Rodolfo Di Gianmarco, ”la Repubblica” 3/4/2002). «’Se devo vivere come un muro, crepo”. [...] Di quest’uomo che non vuol essere muro, attore-autore teatrale, scrittore astratto, surreale, funambolico, ossessivo Umberto Eco ha detto: ”Se non facessi il lavoro che faccio, avrei fatto quello che fa lui”. [...] ha smesso di andare in tv (’non la so fare”) e rifiuta di fare pubblicità a detersivi e pomodori [...] ama le corse d’automobile ([...] per il compleanno costrinse i suoi migliori amici a girare con lui su una Ferrari, a Imola) ma ha paura dell’aereo acconsente [...] laureato in giurisprudenza, tesi sui Patti lateranensi (’mi fecero giurare che non avrei mai esercitato”), che da studente in Tribunale s’innamorò di una donna cancelliere, ha fatto il servizio civile da accompagnatore di ciechi (’la pena di morte fa pena”, scrive) [...] ”Dipingo dietro i quadri che faceva per hobby mio padre. Non ho mai lavorato, come lui voleva, nella nostra azienda ma così ora stiamo facendo un’opera insieme”. [...] ”Le domande si alzano prima di me, mi chiamano, io le vado ad ascoltare. La mia è una scrittura immediata, improvvisa. Arriva, si affaccia”. [...] dove avviene questo travolgente processo creativo. ”Di notte, al cesso”, risponde. Apre una porta: sulla vasca da bagno ci sono pile di ritagli di quotidiani, accanto al gabinetto una scrivania disegnata, in misura, da un amico architetto. Ispirazione: ”Un asse del water piuttosto che vedere e ricevere quello che sta vedendo arrivare, preferirebbe essere l’asse Roma Berlino” [...]» (Chiara Beria d’Argentine, ”La Stampa” 22/8/2005).