b, 13 febbraio 2002
Tags : Luciano Berio
BERIO Luciano. Nato a Oneglia (Imperia) il 24 ottobre 1925, morto a Roma il 27 maggio 2003. Compositore
BERIO Luciano. Nato a Oneglia (Imperia) il 24 ottobre 1925, morto a Roma il 27 maggio 2003. Compositore. Studi a Milano, nel 1954 ha fondato e diretto con Bruno Maderna lo Studio di Fonologia Musicale della Rai di Milano. Ha insegnato a Darmstadt, alla Harvard University e alla Juilliard School di New York. Dal 1973 al 1980 ha diretto il dipartimento elettroacustico dell’Ircam di Parigi. Durante l’anno accademico 1993/94 ha occupato la cattedra di poetica Charles Elliot Norton presso la Harvard University. Ha scritto centinaia di composizioni. Tra i suoi lavori di teatro musicale: Passaggio (1972, con Edoardo Sanguineti), La vera storia (1981, con Italo Calvino), Un re in ascolto (1984, con Italo Calvino), Outis (1996, con Dario Dal Corno) (’L’Espresso” 27/12/2000). «Non solo un grande compositore – probabilmente il più grande e di certo il più eseguito del nostro tempo - ma anche un docente trascinante, un conferenziere illuminato e ironico e un organizzatore culturale avventuroso. Uomo di pensiero e dazione straordinario (per vigore intellettuale, determinazione, inventiva) [...] Plasmato alla prassi della musica, era cresciuto in una famiglia di musicisti: lo erano sia il nonno Adolfo che il padre Ernesto, ed è quest’ultimo a introdurre Luciano alla musica. Nel 1945 si trasferisce a Milano per iscriversi al Conservatorio, e vi resta a vivere fino ai primi anni ’60. il periodo in cui conosce Umberto Eco, con il quale lavora a un’ipotesi di Semiologia della Musica, e in cui fonda con Bruno Maderna alla Rai (nel ’54) lo Studio di Fonologia Musicale. Del loro gruppo fanno parte anche Luigi Rognoni, Roberto Leydi, Furio Colombo, Gino Negri, Enza Sampò, Vittorio Gregotti e Giangiacomo Feltrinelli, e in quegli stessi anni passano a Milano stranieri illustri come Cage e Boulez, Pousseur e Adorno, Stravinskij e Brecht: amicizie e contatti di cui si nutre il talento di Luciano. anche l´epoca in cui il suo nome figura in prima linea nella "Nuova Musica". Ma il giovane compositore è troppo spregiudicato e audace per non reagire in fretta ai dogmi delle avanguardie. Il suo è un approccio alla sperimentazione che subordina sempre le prospettive strutturali alla ricerca sulle qualità plastiche della materia sonora, come appare dai lavori elettronici sul rapporto suono-parola (Thema. Omaggio a Joyce, 1958; Visage, 1961) e nelle affascinanti esplorazioni della vocalità femminile (Epifanie, 1959-61, Sequenza n. 3 per voce, 1965, Circles, 1960), propiziate dalla fertile collaborazione col soprano Cathy Berberian, con cui resta sposato quindici anni, dal ’50 al ’66. Sempre più orientato verso dimensioni drammaturgiche (Allez-hop!, 1959; Passaggio, 1962; Laborintus II, 1965), approfondisce l´indagine nella musica intesa come suono, timbro e movimento. il lavoro alla base delle sue Sequenze per voce o strumento solista, composte in un lungo arco di tempo, dagli anni ’50 ad oggi. Uno degli aspetti centrali del lavoro di Berio nasce dalla sua vocazione interdisciplinare, che lo porta a interessarsi di letteratura ed etnomusicologia, linguistica e antropologia. E con la stessa ampiezza di sguardo affronta l´intero scibile musicale, dall´elettronica alle bande di paese e alle canzoni dei Beatles (suoi amici e estimatori), rivisitando i canti popolari (Folk Songs, 1964) e le grida dei venditori ambulanti (Cries of London, 1974), le tecniche arcaiche e i materiali classici. Atteggiamento che si riflette con pienezza in Sinfonia, del ’68, grandioso viaggio sinfonico-corale nella memoria musicale collettiva. La musica vocale assume sempre più importanza nella sua produzione anni ’70 e ’80, con lavori come A-Ronne (da Sanguineti) e Ofanim, per mezzosoprano, coro di voci bianche, strumenti ed elaborazioni elettroniche. Ma è soprattutto nel teatro, ripensato in forme che presuppongono e al tempo stesso negano la tradizione, che vive la sua genialità, con creazioni come Opera, del 1970, La vera storia, del 1978, e Un re in ascolto, del 1983 (entrambe su testo di Calvino), e ancora Outis, presentato al Festival di Salisburgo nel 1996. Quando va negli Stati Uniti, per insegnare alla Julliard School di New York (dal 1965 al ’71), gli ambienti musicali più integralisti lo accusano di essere un traditore, succube dell´imperialismo americano. Ma pur essendo uomo "geneticamente" di sinistra, l´anticonformista Berio ama l´America, di cui ammira l´intraprendenza, il culto della prassi e la ricchezza di iniziative musicali. Vi insegnerà ancora, in vari centri e università, tra cui Harvard, dove negli anni ’90 tiene un corso nella cattedra "The Northorn Lectures", la stessa che fu all´origine della Poetica della Musica di Stravinskij e delle Lezioni americane di Calvino. Intensa e preziosa la sua attività di organizzatore: si occupa, in diversi periodi, dell´Accademia Filarmonica Romana, del Maggio Musicale Fiorentino e dell´Orchestra Regionale Toscana. Dal 1974 al 1980 dirige l´Ircam di Parigi, l´istituto di ricerca musicale connesso al Beaubourg, e nell´87 fonda a Firenze Tempo Reale, collegato all´Ircam. Nel settembre 2000 accetta la presidenza dell´Accademia di Santa Cecilia di Roma, di cui il gruppo "L´Espresso-la Repubblica" è socio fondatore: internazionalizza e svecchia l´istituzione, la apre ad eventi culturali entusiasmanti (il ciclo Beethoven-Abbado con i Berliner, il Festival Pollini), vi introduce molta musica del nostro tempo. Ed è lui a sovrintendere al delicato passaggio dalla vecchia sede di Via della Conciliazione al nuovo Auditorio, progettato dal suo amico e conterraneo Renzo Piano. Cosmopolita per percorsi creativi ed esistenziali, da molti anni, pur continuando a viaggiare nel mondo, aveva stabilito la sua dimora a Radicondoli, nella campagna senese, in un casale al centro di una proprietà agricola dove si produceva un vino, Precalé, di cui l´indomito "maestro" andava fiero. Vi abitava con la terza moglie, la musicologa Talia Pecker, nata a Tel Aviv e di origine russa, madre dei suoi ultimi due figli (Berio ne ha avuti cinque), Daniel e Jonathan. Uomo furiosamente vitale (lo dimostra la tenacia con cui, negli ultimi anni, tenne testa a un male devastante, senza smettere mai di lavorare), Berio affascinava per l´intelligenza rapida e terribile, sempre libera e tagliente nei giudizi. Polemista acuto e rovente, prodigo di passioni e stimolato dalla lotta, credeva nella musica come motore di civiltà e progresso, e in nome di questa fede condusse innumerevoli battaglie, soprattutto per la riforma dei Conservatori e per l´inserimento della musica nella scuola dell´obbligo. Era un ciclone di energia e decisionismo, allergico ai superficiali e agli indolenti, agli adulatori e agli indecisi. Era un essere umano (non solo un artista) di quelli che non si fanno mai dimenticare» (Leonetta Bentivoglio, "la Repubblica" 28/5/2003). «La sua statura di musicista è stata enorme. Non per chi creda nella musica come piacevole, consolatoria manifestazione di suoni ma per chi vi cerchi l´organizzazione dei materiali. Ci sono edifici più belli di quelli di Le Corbusier, certo nessuno ha insegnato a costruire meglio. Così per Berio. La coerenza era il suo punto di partenza e l´obiettivo finale. Scorrendo le partiture inviate ai concorsi gli accadeva di respingere con insofferenza lavori che avevano anche tratti geniali ma abbandonati subito alla ricerca di altri tratti interessanti. La somma di particolari belli non diceva niente a Berio, mentre gli piacevano i lavori che partivano da materiali anche poco significanti ma che raggiungevano significazione grazie a un lavoro coerente. L´apparenza del bello saltuario non lo interessava, la dimostrazione del solido artigianato lo conquistava. Una volta disse che le strutture della musica sono più intelligenti delle persone che le realizzano. Intendeva dire che nelle strutture della musica rimane sempre qualche cosa di inesplorato che attende di essere ancora esplorato, che non esiste musica bellissima che non sia suscettibile di ulteriori sviluppi. In questo manifestava un atteggiamento non dissimile da quello di Boulez, l´altro grande protagonista della musica del ventesimo secolo. E lo ha dimostrato ripartendo da opere storicizzate, come quelle di Monteverdi, Boccherini, Schubert, Mahler. Ma lo ha dimostrato soprattutto riscrivendo i suoi stessi lavori per trasformarli in altri: ancora suscettibili di ulteriori trasformazioni. Non esiste la parola definitiva. "Il commento più proficuo alle sinfonie o alle opere è sempre stato un´altra sinfonia o un´altra opera". La ricerca della coerenza, tuttavia, non veniva perseguita senza trascurare il gusto dell´affabulazione. Ogni lavoro era pur sempre destinato al pubblico e doveva piacere. Esplicitazione immediata di tale regola era l´opera teatrale. Questa poteva costruire i suoi monumenti alla coerenza, ospitare al proprio interno, trasformate, strutture già presentate come autonome o semplici materiali provenienti da altri lavori ma nei momenti chiave arrivavano gli appuntamenti con le commozioni, l´emozione, la felicità, il dolore che il pubblico esige. Non diversamente si è comportato come direttore dell´Accademia di Santa Cecilia. Chi si aspettava una svolta radicale della programmazione in favore della musica contemporanea non considerava il senso dell´economia delle emozioni che Berio possedeva. Poco più di prima, ma scelta bene e con gli interpreti giusti, il resto era repertorio. Anche chi si aspettava lo sfruttamento integrale del suo catalogo è stato deluso» (Michelangelo Zurletti, "la Repubblica" 28/5/2003). «Il maggiore compositore del Novecento italiano. Il più bravo. Verrebbe da dire che lo dimostrano i fatti. Non v’è compositore italiano che sia conosciuto ovunque come è lui; il catalogo di nessun altro gode della quantità di esecuzioni di cui gode il suo. E se la Attualità è una categoria di cui è bene, talora, diffidare - ché di sommi Inattuali è piena la storia della musica - ciò ha valore relativo nel caso di Berio, perché la grandezza della sua musica non si è mai basata sulle mode linguistiche e poetiche del momento bensì sull’impegno artigianale, sul rigore del mestiere, che sono i veri fili rossi di una produzione per altri versi eterogenea e "onnivora". Forse altri hanno avuto maggiori aspirazioni ideali o intrapreso strade poeticamente più affascinanti; ma lui era il più bravo di tutti. E tale ossessione per la qualità del lavoro di bottega, oltre al provenire da una terra aspra come la Liguria, dà ragione anche della sua durezza di carattere e di giudizio: sapeva essere impietoso con il collega poco solido ma legato alle correnti "giuste", con il direttore d’orchestra in voga che non lo convinceva (si pensi al recente "licenziamento" di Chung a Roma), con il musicologo magari colto ma superficiale. [...] A Darmstadt, la mecca dei musicisti postbellici[...] non ci arrivò prestissimo, così come non aveva bruciato le tappe negli anni d’apprendistato, culminati nel ’51 con il diploma al Conservatorio di Milano sotto la guida di Ghedini. Raggiunse quella "mecca" per la prima volta nel ’56, senza mai adattarsi ai dogmi strutturalisti che vi si celebravano. Ma certamente condivise con quei colleghi, soprattutto con Maderna, Boulez, Pousseur e Stockhausen, l’aspirazione o, meglio, la necessità di sperimentare nuovi linguaggi, di scoprire il potenziale nascosto dentro qualsiasi forma sonora [...] Alla memoria scorrono immagini sonore di pezzi uno più bello dell’altro; scorrono esempi di vocalità straordinariamente caratterizzate, magari interpretate da Cathy Berberian, la cantante-attrice americana che fu sua sposa nel ’50; scorrono frammenti di esperienze musicali che stordiscono per il grado di invenzione sonora e di intelligenza formale. Resta una domanda: che sia scomparso, con Berio, lo Stravinskij italiano?» ("Corriere della Sera" 28/5/2003). «Nel mio teatro musicale ciò che si vede in scena e il fatto musicale sono sposati e questo implica una riconsiderazione del fatto narrativo. La musica o si ritrae o sovrasta l’elemento narrativo in un rapporto dinamico. Chi guarda deve quindi risolvere questo conflitto a modo suo. Anche lavorare con Italo Calvino o Edoardo Sanguineti è stato fonte di discussione e di conflitto [...] Tendo a essere molto severo con la musica leggera perché, tanto aiutata dal mercato, produce molti dilettanti. Però conosce punte di enorme qualità. Ci sono star del rock e della canzonetta che hanno grande consapevolezza della vastita della musica. Uno era Frank Zappa, che ho molto frequentato. Ma anche Paul McCartney e Miles Davis la sanno lunga. Mi piacciono le canzonette, sono parte della vita. Ho avuto allievi che poi hanno scelto quella strada con successo e bravura. E poi ci sono quelli che si danno un sacco di arie e invece si capisce, quando cantano e ballano, quanto siano inconsapevoli. Un esempio? Franco Battiato» (Sandra Petrignani, ”Panorama” 16/11/2000). «Protagonista unico e inconfondibile dell’arte musicale contemporanea [...] "Per me rimane affascinante scoprire come la melodia di un canto popolare francese sia poi diventata la parte del tenore di un vespro di Claudio Monteverdi": la musica per lui era questa continua deriva dell’invenzione e del gusto, una storia privata e sociale che sempre si trasforma. La sua stessa vicenda artistica nasce all’insegna di questa vorace voglia di mettersi in gioco, di esporsi, di rompere le consolidate convenzioni. La sua è la storia di uno che non si accontenta. Dopo aver iniziato gli studi musicali con il padre, segue al Conservatorio di Milano i corsi di composizione di Giorgio Federico Ghedini, al quale rimarrà sempre legato. E’ la metà del Novecento, il tempo dello scontro radicale tra "avanguardia" e "conservazione", delle scelte nette. In quegli anni mentre, anche per guadagnarsi da vivere, suona il piano bar e arrangia canzoni, fonda con Bruno Maderna lo Studio di Fonologia della Rai di Milano che diventa presto in grado di competere con le punte avanzate della ricerca mondiale sulla musica elettroacustica ed elettronica. Reinterpreta una serie di folk-songs della tradizione popolare europea e mediterranea e li affida alla voce di Cathy Barberian, che è stata sua moglie, mentre trova nei versi del tutto sperimentali di Edoardo Sanguineti la linfa per un nuovo rapporto tra parola e musica. La frequentazione, l’amicizia, la collaborazione creativa con Umberto Eco e Italo Calvino ribadiscono la sua totale compromissione con la modernità. Berio contribuisce così in modo decisivo a mantenere saldo il legame tra le forme della creazione musicale e le acquisizioni della cultura contemporanea, un rapporto che soprattutto in Italia, rischiava di sfilacciarsi. Fonda la rivista Incontri musicali, partecipa a molti dibattiti e polemiche: celebre quella, sul Contemporaneo con Fedele D’Amico. E’ l’inizio di un’amicizia fra due intellettuali che si troveranno uniti nella libertà con cui il loro sguardo riconsidera il passato e immagina il futuro. Severi i giudizi che Berio esprime sull’arrestratezza ideale delle maggiori istituzioni musicali italiane, a cominciare dai teatri d’opera. Discute a Londra con Paul McCarthy e scrive un saggio sulla musica rock, insegna alla Juilliard School di New York e dirige il dipartimento elettroacustico dell’Ircam di Parigi fondato da Pierre Boulez. Il New York Times gli chiede un articolo nel quale ipotizzare una sua stagione ideale per il Metropolitan e lui inizia proponendone la chiusura. Ma questo fervore non è mai astratto, soltanto utopico, anzi viene sempre innervato da una straordinaria concretezza del fare e del progettare. Quando il Maggio Musicale Fiorentino lo chiama a dirigere il suo festival, Berio lascia il proprio segno, ribadendo quanto interesse abbia per lui la rivisitazione della tradizione operistica e il suo confronto con le nuove tecnologie e con il punto di vista dei registi del nostro tempo. L’Università di Harvard lo invita a tenere un corso per la propria cattedra di poetica, un privilegio concesso, prima di lui a Igor Stravinskij; memorabile resta la lezione dedicata alle forme dell’opera e alla necessità per il compositore d’immaginare oggi modi nuovi per la coesistenza dei diversi elementi di questo spettacolo: "Testo, musica e scena - spiega Berio - si possono possedere l’un l’altro con apparente libertà in tanti modi diversi, potendo sviluppare a tratti una loro autonomia, un po’ come le voci compiutamente definite di una polifonia virtuale". Un’idea di teatro che innerva anche Cronaca del luogo andato in scena al festival di Salisburgo del 1999, su libretto della moglie Talia Pecker. E’ la conclusione di un decennio formidabile d’invenzioni, iniziato con Rendering, liberissima e fedele reinvenzione di una serie di schizzi lasciati incompiuti dell’ultimo Schubert. Trova qui un altissimo punto di definizione quell’arte della trascrizione che è sempre stata presente al suo orizzonte. Nel 1995 la Biennale Musica di Venezia gli consegna il Leone d’oro alla carriera, l’anno successivo riceve il Premium Imperiale dell’imperatore del Giappone. La serie delle sue Sequenze, composizioni dedicata ogniuna a un diverso strumento solista, si arricchisce di nuovi titoli, costituendo un manuale essenziale per ogni musicista che voglia approfondire tecnica e espressività. Eletto presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, è attratto dalla possibilità di utilizzare finalmente degli spazi nuovi, liberi dal peso di una tradizione già acquisita, tutti da inventare: l’auditorium disegnato a Roma da Renzo Piano. Il 21 aprile 2002 è lui a ricevere il Presidente Ciampi per l’inaugurazione delle due prime sale del complesso. Contemporaneamente non si stanca di denunciare i limiti dell’educazione musicale italiana, firma un appello perché l’insegnamento della musica diventi una materia obbligatoria sin dalla scuola elementare, avvia delle esperienze pilota in alcune classi. Per lui la musica aveva senso se sapeva coniugare il mestiere, la tecnica e l’utopia, il rigore e la libertà. E’ stato umile artigiano e artista sommo e ai suoi allievi consigliava di cominciare copiando: "Copiare è la forma più semplice di trascrizione, che era un importante esperienza di apprendimento. Il giovanissimo Mozart copiava qualsiasi cosa gli suggerisse il padre Leopold e più tardi ha trascritto il Messiah di Handel e ha copiato Bach". Luciano Berio è stato un artista consapevolmente libero d’inventare il futuro della musica» (Sandro Cappelletto, "La Stampa" 28/5/2003).