Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

Bernheim Antoine

• Parigi (Francia) 4 settembre 1924. Banchiere. Ex presidente delle Assicurazioni Generali (fino all’aprile 2010) • «[...] è il principale erede di Andrè Meyer, il banchiere francese fondatore della banca Lazard che mantenne per anni rapporti con Enrico Cuccia. Quando Meyer morì l’eredità di tutta la banca d’affari passò nelle mani di Bernheim che stabilì una relazione indissolubile con il fondatore di Mediobanca. Nel bel libro su Cuccia, Un siciliano a Milano, Fabio Tamburini ricorda che fu Cesare Merzagora a sottolineare la ”saldissima e inattaccabile amicizia che lega da decenni Cuccia con Bernheim», nel quadro di grossi affari comuni a tutte le latitudini, anche pericolose”, tra Mediobanca e Lazard. Il legame tra i due era talmente forte che il fondatore di Mediobanca, pure così restio a farsi vedere in pubblico [...] fu testimone di nozze della figlia di Bernheim, Martine, sposata con Napoleone Domenico Orsini, a sua volta figlio del principe Filippo. Certo, Antoine Bernheim non è mai stato morigerato come il suo defunto amico Enrico Cuccia. Il presidente delle Generali è amante del bridge, delle belle donne e della dolce vita parigina ma tutto ciò sempre nell’ambito di rapporti professionali all’insegna della massima cautela e del massimo riserbo. Con la morte di Enrico Cuccia e la crisi del ruolo centrale di Mediobanca, anche il potere di Antoine Bernheim si è ridotto rispetto ai decenni precedenti, quando nessuna operazione finanziaria importante sarebbe passata senza il suo assenso o quello di Cuccia. Anzi, c’è da dire che Bernheim, che aveva rotto con lo stesso Cuccia nel 1999, è tornato alla guida delle Generali nel 2002, grazie alla spinta dei finanzieri francesi guidati da Vincent Bollorè e sponsorizzati presso la presidenza del consiglio da Tarak Ben Ammar. in questo scorcio di nuovo millennio che si consolidano le relazioni tra Tarak Ben Ammar e il presidente delle Generali. Oggi le Generali sono una cosa molto diversa da quello che erano nell’epoca di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi, delfino di Cuccia ed ex amministratore delegato di Mediobanca, ma è pur sempre da lì che passano alcuni degli affari più importanti del capitalismo italiano» (Bruno Perini, ”il manifesto” 18/1/2006). «Ha trasformato Lazard in una grande banca internazionale. lui che ha permesso a Generali di diventare importante in Francia e in Germania. […] l’uomo più intelligente di Francia e negli ultimi 30 anni ha fatto i più grandi deal nel Paese. Ha fatto la fortuna di Bernard Arnault. Ha consigliato a François Pinault di comprare il gruppo Printemps e Redoute […] adora l’Italia, è più italiano che francese, sua figlia ha sposato un italiano”» (Vincent Bolloré a Giuliana Ferraino, ”Corriere della Sera” 6/5/2001). «Alievo del mitico André Meyer, per 40 anni partner influente della maison Lazard e da oltre 30 consigliere delle Generali […] A Trieste non hanno dimenticato l’assemblea dell’aprile ”99 quando il ”banchiere invisibile”, chiamato così per la devozione alla riservatezza, abbandonò il silenzio. Defenestrato da Mediobanca, urlò al ”tradimento”. Ma da allora molte cose sono cambiate. E a 78 anni Berhneim, che proprio nel ”99 ricordò a tutti di essere ”il consigliere di più lunga data in Generali”, torna sul trono per gestire, con i due amministratori delegati, una situazione che certo non si presenta facile. Probabilmente, per lui si tratta di una personale vittoria al tavolo di bridge (gioco nel quale è campione) triestino. […] ”Non sono un giovane che deve far carriera, ma un vecchio che la prolunga”» (S. Bo. ”Corriere della Sera” 13/9/2002). «[...] La sua maschera di uomo di (grande) potere prevede aria glaciale, scarsa propensione al riso, estraneità allo stile gioviale [...] dal 1967 è senior partner di Lazard, la principale banca d’affari francese, dal 1973 è nel consiglio di amministrazione delle Generali, di cui è stato presidente due volte, da sempre ha buoni rapporti con l’Italia: da Enrico Braggiotti (padre di Gerardo), fino a Giancarlo Elia Valori [...] La prima volta fu nominato presidente di Generali nel 1995, sull’asse Mediobanca-Lazard, e sotto la protezione di Enrico Cuccia. Nel 1999 venne giubilato dalla presidenza con un’azione feroce del duo Cuccia-Maranghi. La storia era andata più o meno così. Nel processo di riassetto del sistema finanziario alla fine degli anni 90, si cercava di stabilizzare l’azionariato di Mediobanca. Cuccia provò prima a fondere le tre Bin, banche di interesse nazionale, Credit, Comit e Banca di Roma, ma Alessandro Profumo capo del Credito italiano si oppose. Si cercò allora di chiudere un accordo tra le due superstiti, ma fu Comit a dire no. A quel punto Cuccia trovò una soluzione a sorpresa, e portò la Comit nella pancia di Banca Intesa. All’accordo con Giovanni Bazoli viene sacrificato Bernheim, che cedette il posto alla presidenza di Generali a un uomo del sistema bazoliano, Alfonso Desiata. ”Mi hanno trattato come un cameriere”, osservò Bernheim con un modo di dire così così, ma che rendeva l’idea. In realtà Cuccia lo liquidò non solo per far posto a Desiata, ma anche perché dal suo punto di vista lo considerava in odore di tradimento: giacché con il 5 per cento di Comit in pancia, Bernheim era uno di quelli che si era opposto alla fusione con Banca di Roma. Il finanziere francese tornò alla presidenza della compagnia di assicurazioni tre anni dopo, nel 2002, alla conclusione di un altro di quei furibondi scontri di potere che periodicamente agitano la vita delle Generali, la più grande istituzione finanziaria italiana: capitalizza circa 36 miliardi di euro e raccoglie quasi 60 miliardi di euro di premi. Nella sua pancia ci sono partecipazioni importanti considerate strategiche: il 7,2 per cento di Banca Intesa, il 4 per cento di Telecom, il 2,7 di Fiat, il 3,7 per cento di Rcs, il 9 per cento di Commerzbank, e l’8,7 per cento di Bnl naturalmente. A queste vanno aggiunte altre partecipazioni fatte con logica di investimento, da Terna, Enel, Snam, Autogrill e anche un interessante 1,3 per cento di Santander prima banca spagnola. Tutto questo complesso, ricco intreccio fa capo all’azionista di riferimento di Generali, cioè Mediobanca, che al momento detiene il 13,6 per cento della compagnia assicurativa. Per questo dal controllo di Mediobanca dipende una posizione interessante in Europa, anche perché da sempre Generali è l’obiettivo di due grandi gruppi assicurativi continentali, la francese Axa e la tedesca Allianz. L’avvento di Vincent Bolloré Dunque nel 2002 accadde che Vincent Bolloré, giovane finanziere molto legato a Bernheim, aveva cominciato a scalare Mediobanca (superò il 20 per cento), Antonio Fazio oppose una resistenza per arginare i francesi, alcune banche italiane si rafforzarono in Generali, temendo che dietro Bolloré ci fosse Axa. Alla fine dello scontro, Bolloré impose Bernheim alla presidenza, e Vincenzo Maranghi andò via da Mediobanca, dove arrivò anche Tarek Ben Ammar, uomo della cordata Bolloré, in ottimi rapporti anche con il sistema Fininvest. Ci fu chi nella stampa amica trattò il ritorno di Bernheim con la commozione tipica di questi momenti, con riguardo anche al ruolo di Bolloré – che gli esperti di profili professionali considerano una specie di Francesco Micheli bretone – il quale come un eroe un po’ western fece sapere di aver a lungo perseguito l’obiettivo di vendicare Antoine B., i torti subiti, l’ingiusto trattamento riservato dal terribile duo Cuccia- Maranghi al vecchio amico dei suoi genitori che l’aveva protetto, consigliato e aiutato a rimettere in sesto le attività familiari. Oggi con la gestione mediobanchesca non ha ruggini. Non con Alberto Nagel, un ragazzo ai tempi della defenestrazione, né con Gabriele Galateri che con lui ha vissuto la storica alleanza di casa Agnelli con Lazard. Inoltre i risultati sono dalla sua. Il bilancio delle Generali è passato da un rosso di 754 milioni di euro del 2002 a un attivo previsto per il 2005 di 1,7 miliardi. [...]» (’Il Foglio” 18/1/2006).