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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

BERRY Halle Cleveland (Stati Uniti) 14 agosto 1968. Attrice. «Neo-diva più applaudita del momento, simbolo del riscatto delle donne di colore nell’universo hollywoodiano, arrivata alle vette del successo dopo aver vissuto una vita difficile

BERRY Halle Cleveland (Stati Uniti) 14 agosto 1968. Attrice. «Neo-diva più applaudita del momento, simbolo del riscatto delle donne di colore nell’universo hollywoodiano, arrivata alle vette del successo dopo aver vissuto una vita difficile. Quindi esattamente in linea con le regole del sogno americano» [1], ha «una pelle di velluto che ricorda la giovane Zeudi Araya, occhioni nocciola di gazzella e un fisico morbido e scattante destinato a restare impresso negli occhi del pubblico grazie soprattutto a due scene di Codice Swordfish: quella in cui sistema l’apparato di microfoni da spia lungo le gambe snelle, con addosso solo gli slip e un reggiseno di pizzo neri e l’altra in cui si abbronza in topless». [2] Figlia di un’infermiera bianca (bionda con gli occhi azzurri, di Liverpool) e di un portantino nero (un alcolizzato dell’Alabama) che ha lasciato la famiglia (composta anche dalla sorella) quando lei aveva 4 anni. Il nome (pronunciare ”Ali”) è quello di un grande magazzino della città: la madre l’aveva letto sulla borsa della spesa. [3] Miss Teen Ohio a 17 anni, finalista di Miss Mondo, ha fatto la modella («una cosa noiosissima, odiavo essere un attaccapanni che non può esprimere pareri»). Nel 1990 il debutto nel cinema, con Jungle Fever di Spike Lee. Nel 2002 l’Oscar come miglior attrice protagonista (per il 2001) con Monster’s Ball. Da piccola i compagni di scuola la chiamavano Oreo, come il famoso biscotto nero all’esterno e bianco dentro (una specie di Ringo), oppure zebra «alludendo con crudeltà a quel suo sangue metà bianco e metà nero che le avrebbe sempre impedito di appartenere interamente a una razza [...] Oppressa dalla discriminazione razziale, è una bambina penosamente timida, sempre sola. ”Per quanto i commenti a scuola potessero farmi soffrire, la cosa peggiore era sapere che nascevano dai discorsi dei genitori. A sette anni ho deciso che sarei diventata un’attrice. Volevo che quelle stesse persone mi ammirassero”. Ma intanto integrarsi è un’esigenza primaria. Crescendo diventa cheerleader, anzi è lei a guidare la tifoseria scolastica delle ragazze pon-pon, a dirigere il giornale della scuola, ad ottenere il titolo di reginetta del ballo di fine anno. Ma questo piccolo successo è reso amaro dall’accusa, rivoltale da una bionda adolescente sconfitta, di aver manomesso i voti. ”Avevo fatto tanto per essere accettata... Ma quando avrei dovuto rappresentare un modello di bellezza per la scuola, mi rifiutarono. Ho capito che non potevo essere una di loro. Non mi sarei mai più comportata come un orso ammaestrato per compiacerli”. Ma la scorciatoia della bellezza può ancora esserle utile. ”Tanto a nessuno interessava che fossi intelligente, spiritosa, determinata. L’unico commento su di me era: è carina” [...] Arrivano affermazioni in concorsi di bellezza [...] ”Era tutto molto sciocco e superficiale, ma mi aiutava a sentirmi più sicura”. Nel frattempo studia giornalismo televisivo, ma le basta un solo incarico per decidere che il cinismo del mestiere non fa per lei. Accetta invece un lavoro di fotomodella che le permette di iscriversi a una scuola di recitazione di Chicago [...] Quando riesce a ottenere il primo ruolo, nel serial tv Who’s the boss?, si ritrova ironicamente a interpretare una modella con serie ambizioni nella vita. La svolta è il ruolo di tossicodipendente in Jungle fever di Spike Lee. [...] Intanto, a progetti promettenti come L’ultimo dei boyscout (1991) con Bruce Willis e Il principe delle maree (1992) con Eddie Murphy, si alternano apparizioni tv che le servono solo a tirare avanti. Anche se la strada per il successo non segue una linea retta, scopre di avere una voce per difendere i diritti di quella metà nera di se stessa che sente più autentica. [...] La situazione peggiora quando, colta da collasso, finisce in coma durante le riprese di una sit-com. Scopre di essere diabetica, ma la malattia la spinge ad affrontare una nuova lotta a sostegno dei propri simili, facendosi portavoce dell’associazione ”Giovani diabetici”. Intanto, in rapida successione, sbaglia nel rifiutare Speed, regalando a Sandra Bullock una grande occasione, e risbaglia a proporre al campione di baseball David Justice, conosciuto solo sei mesi prima, di diventare suo marito. Il matrimonio naufraga in tre anni di maltrattamenti. Halle piomba in una profonda depressione che, per sua ammissione, la porta sull’orlo del suicidio. Fortunatamente due importanti progetti offrono nuovo slancio alla sua carriera: Bullworth – Il senatore di e con Warren Beatty nel 1998 e, l’anno seguente, il film per la tv Introducing Dorothy Dandrige, la biografia della cantante e attrice nera degli anni Cinquanta la cui breve stagione di gloria fu troncata da pregiudizi razziali. Berry s’identifica pienamente con la sfortunata interprete di Carmen Jones, che giunse fino alla candidatura all’Oscar quale migliore attrice, prima di scomparire nella disperazione e morire suicida a 41 anni. Per riuscire a interpretare la sua vita, diventa produttrice e investe anche il proprio denaro. Il risultato è un Golden Globe, primo grande riconoscimento alle sue doti d’attrice: ”Il premio mi ha aiutata a liberarmi dall’immagine di modella. Per anni è stato un peso sulle mie spalle. Finalmente ero considerata un’attrice”. [...] Ha da poco dato splendido corpo all’ultima malvagia ”Bond Girl” in Agente 007 – Muori un altro giorno». [4] «Ha fama di interprete appassionata, di quelle che preparano i ruoli a puntino: si racconta che, per diventare la tossicodipendente del film di Spike Lee Jungle Fever, abbia rinunciato per giorni alla doccia pur di dare un’idea convincente dello stato di degrado provocato dalla droga». [1] «Il pianto atterrito con cui ha accolto la notizia della vittoria nella notte dell’Oscar così come le lacrime versate sul palcoscenico del FilmFest di Berlino mentre le veniva consegnato l’Orso per la migliore interpretazione femminile rivelano la sua natura fragile [...] ”Essere donne è già difficile in generale, e di colore ancora di più. Il mondo della produzione è in mano ai maschi, il potere appartiene soprattutto a loro e alle attrici vengono riservati ruoli basati soprattutto sull’aspetto fisico. E’ per questo che, appena letta la sceneggiatura di Monster’s ball, ne sono rimasta colpita: il ruolo di Leticia è bellissimo e tutti i personaggi della storia presentano diverse sfaccettature della natura umana, questo mi ha veramente affascinato”. Ha visto suo padre abbandonare la casa quando aveva solo 4 anni e da quel momento è stata la madre a prendersi cura di lei: ”Ho dovuto rendermi conto molto presto di quanto fosse difficile la sua vita, di tutti i problemi che doveva affrontare e di come fosse impossibile, per lei, essere la regina impeccabile che io avevo sempre immaginato. Nel personaggio di Leticia ho messo tutto questo, mi sono sentita particolarmente vicina al suo cuore perchè capisco bene che cosa vuol dire lottare con tutte le proprie forze per ottenere qualcosa in un mondo che ti ha piazzato all’ultimo posto”». [1] Nel 2000 fu denunciata per non aver prestato soccorso alla guidatrice di un auto da lei tamponata con la sua Ford Explorer una notte a Hollywood: una profonda ferita sulla fronte, si dileguò guidando fino a casa in stato confusionale. Solo il giorno dopo si costituì alla polizia: «E’ stato un momento orribile. Ricordo la notte degli Oscar, subito dopo l’incidente, quando Billy Crystal disse: ”Faranno un seguito di A spasso con Daisy, ma sarà un film d’azione e alla guida ci sarà Halle Berry”. Che umiliazione! Io ero a casa e sono scoppiata a piangere. Il giorno dopo ho parlato al telefono con Warren Beatty e gli ho chiesto se aveva visto gli Oscar e la terribile figuraccia che mi avevano fatto fare. Lui mi ha riposto: ”Sì, ho visto, ma non devi prendertela”. Come faccio? ho ribattuto io. E lui: ”Significa solo che sei famosa. Più ti sfottono, meglio è: consideralo un complimento”». [5] La causa è poi stata risolta pagando una somma di danaro (13.500 dollari) e accettando di svolgere servizi di volontariato (200 ore): da allora ha l’obbligo di prestare servizio in centri di assistenza e riabilitazione. «Incontro donne picchiate, ex-tossiche che cercano di tornare a una vita normale, per lo più con figli piccoli. Faccio il poco che posso, parlo loro di autostima, di fiducia in se stesse, del fatto che da tutto ci si può risollevare, e lo dico perchè ci credo davvero». [1] Vita sentimentale piuttosto movimentata: partner quasi sempre coloured, a partire dalla difficile relazione con Wesley Snipes, nata sul set di Jungle Fever (lui assicura che «potrà dire quello che vuole ma non è una santa»), oltre al matrimonio con Justice ha avuto una storia con un attore di colore conosciuto mentre girava The last boy scout (lei non lo dice, ma si può dedurre sia Damon Wayans): anche quella è finita male, lui l’ha picchiata così forte da lasciarle l’orecchio sinistro danneggiato all’80 per cento. «Non sono stata fortunata con gli uomini, devo ammetterlo. A David (Justice) ho reso la vita impossibile perché ero pazza di gelosia, altri mi hanno considerato troppo flirtona, reagendo di conseguenza. Spesso sono stata un po’ leggera, altre volte mi sono innamorata di persone da cui sapevo era meglio stare alla larga, come spesso succede a noi ragazze». [6] Dal 2001 è sposata col cantante R&B Eric Benet, con il quale ha adottato India, una bambina la cui madre è morta anni fa in un incidente stradale. Adora Parigi, colleziona bambole di porcellana, è appassionata di arte africana e fitness. «Mi piacciono gli abiti eleganti. Ammiro Valentino ed Elie Saab [...] Vado matta per le patatine fritte con sale e aceto e mi piace moltissimo il gelato, soprattutto quello alla noce». [7] Una passione per i cagnolini di razza maltese e i bistrot francesi, piatto preferito il tonno alla griglia con puré, ha un incubo ricorrente: i denti le volano via dalla bocca e non può più parlare. [8] Note: [1] ”La Stampa”, 5/4/2002; [2] ”Specchio” 7/7/2001; [3] Giovanni Valerio, ”Max” maggio 2002; Alessandra Venezia, ”Panorama” 31/1/2002; [4] Claudio Masenza, ”Ciak” maggio 2002; [5] Silvia Bizio, ”D – la Repubblica delle Donne” 18/9/2001; [6] Silvia Bizio, ”D – la Repubblica delle Donne” 22/9/1998; [7] ”Capital” febbraio 2003; [8] Giovanni Valerio, ”Max” maggio 2002.