Varie, 13 febbraio 2002
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Bersani Lello
• Roma 27 aprile 1923, Ostia (Roma) 31 ottobre 2002. Giornalista. Il più celebre giornalista cinematografico della Rai • «Entrato in Rai nell’immediato dopoguerra come redattore sportivo, in seguito si è occupato di politica e attualità realizzando numerose interviste radiofoniche per il Giornale Radio [...] Ha dato vita con Sandro Ciotti a Ciak (1962-1970), la prima trasmissione radiofonica interamente dedicata al cinema, e curato le cronache del Festival del Cinema di Venezia, manifestazione che ha seguito ininterrottamente fino al 1990 anche per il teleschermo. Famose le sue interviste ai divi dietro le quinte della Mostra come pure la registrazione in diretta, con il microfono, della durata degli applausi a ogni film presentato [...] Ha condotto anche l’edizione 1969/70 della Domenica Sportiva. Nel 1989, dopo il pensionamento dalla Rai per sopraggiunti limiti d’età, è passato a Canale 5» (Aldo Grasso, Enciclopedia della Televisione Garzanti, Garzanti 1996). «’Presentatore per scherzo e giornalista sul serio”, così Ennio Flaiano gli rese onore. [...] Dai microfoni della radio e poi davanti alle telecamere della tv aveva raccontato dalla nascita della Repubblica ai festival del cinema di Venezia e di Cannes, fino alle domeniche calcistiche. Il primo ottobre del 1945 fu assunto come redattore sportivo a via Asiago: mille lire di stipendio mensile. Fu lui a intervistare il presidente del Consiglio De Gasperi (che, in una dedica gli scrisse: ”A un affezionato scocciatore con riconoscenza ed ammirazione”), i ministri Togliatti e Nenni. Fu sempre lui, nel ’48 quando si ruppe il governo di unità nazionale, a parlare con Palmiro Togliatti che attaccò duramente De Gasperi, tanto che il direttore Antonio Picone Stella decise di non mandare in onda il servizio. Quando iniziò l’era Bernabei gli tolsero la politica e lo spostarono sul cinema: ”Senza capire” raccontò ”che anche da lì passava la politica, che si affermava l’intellighenzia di sinistra. Ricordo mi chiamarono per contestare un’intervista a Luchino Visconti perché era comunista. Non mi scomposi e l’indomani portai un elenco di registi e attori chiedendo di mettermi per iscritto chi non dovevo intervistare e perché. Da allora non mi hanno più rotto le scatole”. [...] All’alba del 27 gennaio 1967 diede la notizia della tragica morte di Luigi Tenco a Sanremo» (Alessandra Rota, ”la Repubblica” 1/11/2002). «Un giornalista all’americana, come tentavano di essere quasi tutti quelli che erano entrati alla Rai nell’immediato dopoguerra: veloce, senza paura nè soggezione di nessuno, insistente e tenace, a suo modo elegante (certi golfini, certi mocassini, certi battle-dress...). [...] Ha fatto conoscere e seguire i cineasti e i divi italiani nel loro periodo di maggiore splendore, neorealismo e commedia all’italiana, decine di milioni di spettatori al cinema, celebrità internazionale, personalità ammirevoli o appassionanti che era una gioia intervistare, viaggi nel mondo, Oscar, bambini, scandali. Era spiritoso, molto simpatico, ricco di comunicativa: mentre tanti cronisti radiotelevisivi ostentavano una solennità, un’autorevolezza destinate alla crescita della propria figura professionale, lui era svelto, gaio, disinvolto. Le sue domande parevano non tendere mai a mettere l’interrogato in difficoltà o nell’imbarazzo (anche se a volte ci riuscivano): la sua curiosità assumeva l’aspetto di una indiscrezione sfacciata ma innocente. Della gente di cinema voleva essere ed era amico: interminabili giochi di carte in comune rompevano la noia dei lunghi viaggi o dei lunghissimi festival di Venezia e di Cannes frequentati professionalmente per decenni, whisky baby si consumavano, venivano tramati ai danni degli antipatici scherzi terrificanti, si facevano insieme pettegolezzi senza scampo. Quando intervistava qualcuno, sapeva esattamente cosa chiedere (mai gli sarebbe venuto in mente di domandare: ”Cos’ha provato quando ha saputo di aver vinto la Palma?”), e sapeva in quale misura la risposta era eventualmente bugiarda. Quando faceva una domanda, era perché la risposta lo interessava: non lo si è mai visto immerso in quella tetra atonìa che adesso viene definita professionalità. Quando dava una notizia (che fosse il suicidio di Tenco nella notte di Sanremo, la nascita delle gemelle di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini o qualche matrimonio finto-segreto) non c’era nella sua voce la minima sfumatura di malignità: nel caso, euforia. Nel 1989 lasciò la Rai per andare in pensione. Ostentava felicità per il tanto desiderato riposo, però mentiva; ricominciò quasi subito a lavorare per le reti Mediaset. Ma gli anni pesavano, la amatissima mamma era morta, il cinema era diventato triste e volgare, i divi mediocri e poco spiritosi. Anche prima della fine, la sua stagione era finita» (Lietta Tornabuoni, ”La Stampa” 1/11/2002). «Quando gli dicevano che indossava lo smoking come solo Humphrey Bogart aveva saputo fare, concedeva un sorriso da divo e rispondeva: ”Già, solo che a Casablanca, io non c’ero”. [...] Magrissimo, scattante, voce inconfondibile, sguardo velato di nostalgia, modi e animo di un gentiluomo [...] Vuole bene alla Rai, Bersani (fu lui che coniò il celebre motto ”mamma Rai”). Ma forse il sentimento non è reciproco. Forse il giornalista non è ricambiato come spera e merita. Nell’89, poco prima di lasciare la tv pubblica dopo 44 anni di carriera, dice: ”Saluterò i miei collaboratori, i tecnici, il mio caporedattore. La direzione? Se qualcuno vorrà dirmi addio sarò lieto di accoglierlo”. Ma non si lascia sfuggire neppure un nome di chi ”non ha riconosciuto” il suo lavoro. E’ un uomo all’antica, troppo per bene per mettere in piazza nemici e dispiaceri. [...] Non c’è attore di casa nostra o made in Hollywood che Bersani non abbia preso al laccio con il suo celebre microfono. Li ha intervistati tutti: Ingrid Bergman e Vittorio De Sica, Dino Risi e Luigi Comencini, Marcello Mastroianni, Sofia Loren, Monica Vitti, Claudia Cardinale, Vittorio Gassman, Ava Gardner, Elizabeth Taylor, Richard Burton. E lo scontroso, schivo, ”così riluttante alla comunicazione da risultare quasi antipatico”, Marlon Brando. E poi ancora Luchino Visconti, Anna Magnani, Gina Lollobrigida, che diventano suoi amici, fra i più cari. Il sogno di diventare un giornalista radiofonico lo coltiva da quando è un ragazzino con i calzoni corti. ”Svuotavo per benino i vasetti di Coccoina, ci pigiavo dentro della gomma che fermavo con del filo di ferro e giocavo alla radio”, confessava. ”I miei genitori erano letteralmente disperati”, diceva sorridendo di quel tempo beato e incosciente: ”Nostro figlio è un emerito cretino, si dicevano. Ma ti pare che si chiude in camera e non viene a tavola perchè deve fare il telegiornale dell’una?”» (Micaela Urbano, ”Il Messaggero” 1/11/2002).