Varie, 13 febbraio 2002
BERSANI
BERSANI Pierluigi Bettola (Piacenza) 29 settembre 1951. Politico. Segretario del Pd (eletto con le Primarie del 25 ottobre 2009). Eletto alla Camera nel 2001, 2006, 2008 (Ds, Pd). Ministro dell’Industria nei governi Prodi I e D’Alema I, dei Trasporti nel D’Alema II e nell’Amato II, per lo Sviluppo economico nel Prodi II. Presidente della Regione Emilia Romagna dal 1993 al 1996. Laureato in filosofia • «Ex chierichetto, ex Avanguardia Operaia, tesi di laurea sulla Grazia in San Gregorio Magno, cantante lirico part-time ma fan di Vasco Rossi a tempo pieno, è l’unico ”comunista” che manco Berlusconi riesce a chiamare ”comunista”» (’Corriere della Sera” 18/5/2006) •«Tenace assertore della necessità di ”concertare” le politiche economiche con sindacati e imprese» (’la Repubblica” 18/5/2006) • «Katia Ricciarelli è amica di Bersani, con il quale può persino improvvisare dei duetti quando si incontrano fra amici di famiglia. Oltre ad amare l’opera lirica, il ministro si diletta anche di altre e diversissime frequentazioni musicali: canta per i cori di paese, ama esibirsi con gli amici nei successi della musica leggera italiana e quando gli capita l’occasione non si sottrae ai concerti di gruppi rock come (ad esempio) gli AC/DC. [...] un personaggio bizzarro, Bersani: riservato come i politici di una volta (si sa appena che ha una moglie, Daniela, e due figlie di 13 e 21 anni, Elisa e Margherita), è anche, mediaticamente, un fenomeno a sé stante. Perché il cinquantacinquenne ministro alle Attività produttive, che dell’understatement ha fatto una professione e uno stile, e persino una strategia, unisce le virtù oggi in maggior pregio presso l’opinione pubblica: la capacità concreta di fare, in un universo di politici chiacchieroni, strateghi e politologi, e l’assenza di una visibile appartenenza ideologica, in un teatrino che replica stancamente gli Anni Cinquanta. Il bello è che queste virtù - che si riassumono poi in una: il pragmatismo - nascono non dal rifiuto della politica, bensì, al contrario, dall’essere Bersani un figlio perfettamente riuscito del Partito comunista italiano. Emiliano, tanto per cominciare: seppur dell’Appennino piacentino, nato nella ”bianca” Bettola e cresciuto in una famiglia cattolica e democristiana. Il primo sciopero - così ha raccontato il ministro a Maria Teresa Meli - è stato da chierichetto, contro il parroco che distribuiva male le mance. Ma quello stesso parroco, don Vincenzo, suonerà le campane a festa quando il suo Pierluigi nel maggio del 96 lascerà la presidenza dell’Emilia Romagna per diventare ministro dell’Industria, del Commercio, dell’Artigianato e del Turismo nel primo governo Prodi. C’è un sapore antico, in questo aneddoto, che pare preso da un capitolo della saga di don Camillo: come antico, e tenero, è un altro aneddoto che proprio in questi giorni Bersani va raccontando ai suoi collaboratori. Alla fine del ”97 la Confcommercio scende in guerra contro la liberalizzazione delle licenze (a proposito: la riforma si fece, e non risulta che nessun commerciante ne abbia risentito). Billè, a capo della rivolta, organizza due pullman di dimostranti e li porta a Bettola. I commercianti chiedono al bar del paese dov’è ”la casa del ministro”. Il barista indica un signore in bicicletta: ”Quello è il padre”. Il padre, cortesissimo, li scorta fino a casa. La madre fa accomodare i commercianti, offre le ciambelline ancora calde, spiega a Billè in dialetto piacentino che suo figlio ”è un bravo ragazzo”… La vera passione di Bersani (a parte la politica, s’intende) è senz’altro la musica: il duetto mozartiano con Katia è soltanto uno degli infiniti episodi che lo vedono protagonista. Quand’era ministro la volta scorsa, la sera andava spesso a cena al ”Conte di Galluccio”, in via Veneto, a due passi dal ministero. E ogni sera, come spesso capita a Roma, arrivava il musicante di turno. Poteva così capitare che i due - il chitarrista e il ministro - si esibissero in strepitose cover della canzone italiana, mentre l’oste, divertito e furbo, mostrava ai turisti la prima pagina del ”Messaggero”: ”Look, the minister of Industry!”. L’aneddoto aiuta a comprendere il senso della più bella frase che gli si sia sentito dire: ”La tristezza è un lusso da ricchi”. Quand’era studente di filosofia a Bologna (si laureò con una tesi su ”Grazia e autonomia umana nella prospettiva ecclesiologica di san Gregorio Magno”), Bersani fu tra i fondatori di Avanguardia operaia. Passò presto al Pci (’decisi di fare sul serio”) e ne diventò funzionario a Piacenza. Poi, una brillante carriera da amministratore: vicepresidente della Comunità montana, vicepresidente del Comprensorio, consigliere regionale, assessore, vicepresidente e infine, per due anni, presidente. Nel 96 Prodi lo chiama a Roma - a proposito: di tutti i dalemiani veri, presunti e millantati, Bersani è il solo che è sempre andato d’accordo con il leader dell’Unione - e poco alla volta si conquista la stima degli addetti ai lavori: industriali, economisti, manager. La popolarità di Bersani nasce in questo modo: dall’alto, per così dire, e tra le élites. Ma non per questo è un tecnico: e se le cose fossero andate in un altro modo, all’avvio della legislatura, fra non molti mesi Bersani sarebbe diventato segretario della Quercia. Invece sta diventando l’icona e il simbolo della sinistra riformista di governo. ”Quei politici che stanno lì a progettarsi la vita tappa per tappa spesso non arrivano dove vogliono arrivare”, aveva osservato qualche mese fa. Meglio, ”non so se per la mia formazione filosofica o se per quella paesana”, affidarsi al caso e non crucciarsi troppo. Dopodiché, come direbbe Vasco, ”ci troveremo come le star, a bere del whisky al Roxy Bar, o forse non c’incontreremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai…”. Con vezzo appena appena accennato, Bersani ha raccontato una volta che avrebbe voluto imparare a suonare il pianoforte, ma era il ”68 e c’era la rivoluzione da fare: ”La rivoluzione non è arrivata e io non so suonare il piano”. Quanto al canto, il ministro, che è un baritono, fa parte con divertito orgoglio del coro di Bettola, diretto naturalmente da don Vincenzo e specializzato, come lo stesso Bersani ha raccontato a Luca Telese, nei ”canti delle nostre montagne” e in ”qualche inno alpino della prima guerra mondiale”. In questa stessa intervista, Bersani offre una raffinata analisi del nesso musica-Emilia, passando in rassegna il ”modello dialettico urbano” di Guccini, il ”modello visionario e cittadino” di Dalla, ”l’Emilia delle strade lunghe” di Ligabue, i ”rumori del cascinale” del romagnolo Zucchero, fino al più grande di tutti, Vasco Rossi - ”è uno che parla per conto di un popolo. Uno che è legato alle radici di una terra, proprio come Verdi”. In questa cultura musicale onnivora - e oltre ai cantautori e all’opera bisogna aggiungere l’heavy metal: mentre nasceva il primo governo Prodi e tutti si accapigliavano per una poltrona, Bersani era al concerto bolognese degli AC/DC -, in questa passione autentica per la musica popolare, per la canzonetta e per il Conservatorio, senza gerarchie né distinzioni che non siano di gusto, c’è naturalmente molta Emilia, dove ancora si va all’opera come altrove si va al cinema. Però, forse, c’è anche una chiave per comprendere la persona, o la metafora di un’idea della politica: che, come la musica, nasce dalla terra, e senza la terra non è niente» (Fabrizio Rondolino, ”La Stampa” 4/7/2006).