Varie, 14 febbraio 2002
BERTOLUCCI
BERTOLUCCI Bernardo Parma 16 marzo 1941. Regista. Nel ”61 è assistente di Pier Paolo Pasolini in Accattone, l’anno successivo debutta nella regia con La commare secca. Seguono: Prima della rivoluzione (’64); Partner (’68); La strategia del ragno (’70); Il conformista (’70); Ultimo tango a Parigi (’72); Novecento (’76); La luna (’79); La tragedia di un uomo ridicolo (’81); L’ultimo imperatore (’89, vincitore di nove Oscar)); Il tè nel deserto (’90); Piccolo Buddha (’93); Io ballo da sola (’96); L’assedio (’98), The dreamers (2002). «Figlio del poeta Attilio, dopo aver vinto a 21 anni Viareggio opera prima con una raccolta di toccanti liriche intitolata In cerca del mistero, si decide per il cinema. Aiuto regista di Pier Paolo Pasolini (amico di famiglia) in Accattone. Raccattando tra le macerie dell’animismo democratico si produrrà in sfarzose e celebrate pellicole internazionali: L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Budda. Nel 1972 gira Ultimo tango a Parigi, di cui non si può dir male perché la censura lo bruciò sul rogo, ma fortunatamente ispirò un vero capolavoro: Ultimo tango a Zagarolo, la scanzonata parodia girata da Nando Cicero con il sublime Franco Franchi avvolto nel cappottone cammello di Marlon Brando. Nel 1976, arriva il torrenziale Novecento, cinque ore di storia italiana che tramortirono più di uno spettatore. Tre anni dopo, il melodrammatico e superedipico La luna scontenta anche la critica, che gli rimprovera un eccesso di narcisismo autobiografico. Con Io ballo da sola è di nuovo idillio: il film, che racconta l’iniziazione sessuale dell’americana Liv Tyler tra gli artisti del Chiantishire, è accolto da un coro di lodi commosse. Guastato soltanto dagli inglesi di stanza in Toscana, arrabbiatissimi per essere ritratti (scrisse il ”Times”) come ”festaioli smidollati e cocainomani”, verosimilmente impotenti. Nel marzo 1998 volano invece parole durissime tra lui e la Rai, colpevole di avergli sospeso un contratto alla vigilia delle riprese di un tv-movie, l’Assedio. Vecchio combattente della battaglia contro le interruzioni pubblicitarie dei film in tv, è passato a Mediaset» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 3/10/1998). «Fra gli enfant prodige che debutanno giovanissimi nel cinema italiano nella fortunata stagione dell’inizio degli anni Sessanta, è certamente quello che ha meglio mantenuto le promesse, quantomeno in termini di notorietà e riconoscimenti internazionali [...] Influenzato dalla cinematografia di Godard e dai tempi di contestazione e rinnovamento politico-sociale [...] Criticato per eccesso d’intellettualismo e per gli scarsi risultati al botteghino, nel 1970 abbandona l’attualità politica [...] Il conformista, considerato il suo primo capolavoro nonché il suo primo successo internazionale [...]» (Cinema, a cura di Gianni Canova, Garzanti 2002). «[...] ”[...] alla prima proiezione del mio Novecento, un film in cui raccontavo una saga familiare a partire dalla nascita del comunismo in Emilia Romagna. Eravamo nel 1976, in pieno compromesso storico e mi sembrava di dover celebrare un rito, pensavo di rendere omaggio alla storia del Pci. ”Paese Sera’, quotidiano comunista romano, organizzò un dibattito con lo storico Paolo Spriano e Giancarlo Pajetta. Alla fine del primo tempo, Pajetta, entusiasta, mi abbracciò. Poi, vedendo le immagini della Liberazione, in cui mostravo anche le vendette private, i processi popolari contro i fascisti, si alzò furioso e se ne andò gridando: mi rifiuto di partecipare. Giorgio Amendola disse che il film era bruttissimo. La Fgci di Walter Veltroni, invece, mi appoggiò. Da allora, la mia tessera del Pci, presa nel 1969 contro l’estremismo filocinese dell’estrema sinistra, proprio nel momento in cui ci fu la rottura del partito con il gruppo del Manifesto, si è andata via via scolorendo... Alla metà degli anni Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a vivere più all’estero che qui. Oggi, mi pare di non avere più trasporto politico per nessuno: salverei proprio soltanto Veltroni, perché è capace di guardare al futuro senza dimenticare le radici in cui tutti amiamo riconoscerci [...] sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Buñuel”. Nato a Parma nel 1941, il regista ha vissuto fino a 12 anni in campagna, in una casa che ”da quando è morto mio padre (Attilio, grandissimo poeta) non ho più il coraggio di rivedere”. Arrivato a Roma, nuovi amici, nuovo quartiere borghese – Monteverde vecchio ”, nuova casa al quinto piano in via Carini [...] ”[...] I miei genitori hanno costruito un incantesimo, nel quale mi sento tuttora immerso. Anche per questo, forse, non sono mai diventato padre”. Il rito di iniziazione alla regia ha luogo proprio in via Carini. domenica pomeriggio, alle tre, ora del riposo. ”Avevo quattordici anni, vado ad aprire, vedo un giovane vestito a festa, con un ciuffo strano. Chiedo: cosa vuole? E lui: cerco Attilio Bertolucci, sono Pier Paolo Pasolini. Mi spavento, gli dico di aspettare, lo lascio fuori, chiudo il portone. Vado da mio padre e gli racconto: c’è un tipo strano, ho paura che sia un ladro. E papà: ma no, è un poeta, fallo entrare”. Pier Paolo porta sua madre Susanna ad abitare al primo piano di via Carini e Bernardo – da giovanissimo aspirante poeta – scende le scale di corsa per far leggere le sue creazioni all’amico più grande: ” stato un innamoramento adolescenziale, totale. Quando avevo 17 anni, sempre sul portone di via Carini, un giorno Pier Paolo mi chiede: vuoi fare il mio aiuto-regista in Accattone? Io ribatto: ma non lo so fare, e lui a me: nemmeno io. In quel periodo, ho assistito all’invenzione del cinema, giorno per giorno, una scuola unica”. Pasolini porta il ragazzo Bertolucci a cena con i suoi amici Alberto Moravia e la moglie Elsa Morante: ”Siamo usciti tutte le sere insieme, per tre anni. Il giro dei ristoranti romani: Carbonara, Matriciano, Augustea, con Elsa che puntava all’assoluto, Alberto pragmatico e Pier Paolo che mediava negli scontri furiosi fra i due. Con Moravia e mio padre, ricordo una bellissima gita a Sabaudia nel 1958: ci sedemmo al caffè sotto i portici, mio padre e Alberto vomitavano sull’orribile architettura fascista. Tornai dopo vent’anni per girare La luna e la trovai meravigliosa. Anche Alberto, che si era costruito una casa sulle dune con Pier Paolo, aveva cambiato idea. Eppure, anche quando girai Il conformista, scegliendo di ambientare molte scene all’Eur, il quartiere progettato dal regime, ricordo che fu considerato un gesto scandaloso”. Lo scandalo assoluto che consacra Bernardo Bertolucci è Ultimo tango a Parigi, con Marlon Brando e Maria Schneider, un film che – dopo denunce e sequestri – finì al rogo: ”Soltanto Marco Pannella mi è stato vicino, in quel periodo”. Il successo mondiale di quella storia dà al regista, ”la possibilità di girare quello che volevo, di scegliere i migliori attori del mondo, diventai anche un po’ megalomane. Vedi, nel 1969 non avevo preso soltanto la tessera del Pci, avevo anche iniziato la mia lunghissima psicoanalisi, che continua tuttora. Nei primi dieci anni, è stato un grande stimolo per il lavoro, passavo dall’analisi dell’esperienza alla comunicazione. Dopo, mi hanno aiutato gli anni in Oriente, lo studio della cultura cinese, del buddismo”. Nel 1986, è Bettino Craxi – nel corso del viaggio in Cina del governo italiano – ad ottenere per Bertolucci l’autorizzazione a girare all’interno della Città Proibita a Pechino alcune sequenze de L’ultimo imperatore. ”Avevo conosciuto Craxi ad Hammamet, lo ricordo mentre cantava ”A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io’, con Bobo alla chitarra. Era un uomo molto intelligente, ma lo giudicavo molto pericoloso”. La dimensione politica e la trasgressione privata, come in Visconti e in Pasolini, s’intrecciano in tutte le vicende narrate da Bertolucci. Fin da Prima della rivoluzione, con Adriana Asti (1964), storia di un giovane borghese che diventa comunista e corteggia la zia, salvo poi rientrare nei ranghi. Un film che Angelo Rizzoli senior decide di distribuire in un pomeriggio: ”Lo chiamai al telefono, riuscii a parlargli, gli spiegai che per me quel film era una questione di vita o di morte, che entro quattro ore dovevo incontrarlo e lui disse: ”Ma venga pure, giovanotto!’”. Privato e pubblico, Pci e Freud, alto e basso, raffinatezza e superstizione, grandi attori e piccole storie, oppure kolossal in costume e attori bambini: i contrasti nell’arte del regista scatenano la sua passione. Ma i capolavori e i successi non hanno mai attenuato la dolcezza ironica che è il segno più forte della personalità di Bertolucci, un calore che ti avvolge quando racconta dettagli e ricordi come questo: ”Giravamo in Africa Il tè nel deserto, nel 1989, arriva un fax di mia moglie Claire che annuncia: ” caduto il muro di Berlino’ e John Malkovich mi chiede: ”Come ci vestiremo, dopo la caduta?’. [...]”» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 23/7/2005).