Varie, 14 febbraio 2002
HOWE
HOWE Andrew Los Angeles (Stati Uniti) 12 maggio 1985. Lunghista. Primatista italiano (8,47 m il 30 agosto 2007 a Osaka), medaglia d’argento ai mondiali 2007, campione europeo 2006. Nel 2004 ha vinto il titolo mondiale juniores del lungo e dei 200 metri. La mamma Reneè lo ha avuto dal matrimonio con Andrew Howe, calciatore tedesco conosciuto e sposato a Los Angeles. Poi, una volta divorziata, ha conosciuto il milanese Ugo Besozzi, ex motocrossista: l’ha sposato e si è trasferita a Rieti, dove vive ancora oggi. «Un talento unanimemente riconosciuto, un ragazzo con la classe nel Dna, un campioncino predestinato sulle cui doti si favoleggiava sin da quando, quindicenne, il figlio d’arte nato a Los Angeles e venuto a Rieti a 5 anni al seguito di mamma Renée Felton, ostacolista di vaglia negli anni Ottanta, saltò 7.52 in lungo. Pochi mesi più tardi, nel gennaio 2001, la "Gazzetta" inaugurò proprio con un servizio su di lui una rubrica ("Saranno famosi?") dedicata alle giovani speranze dello sport italiano. Non fu difficile individuare un possibile protagonista del futuro in quel ragazzino che portava i capelli con le treccine, che correva con facilità impressionante e saltava che era una meraviglia: alto, lungo o triplo che fossero. A detta di molti, Andrew avrebbe potuto sfondare ovunque: nel calcio, che ha sempre amato, ma anche nel basket in cui ogni tanto si cimenta ancora, oppure nel football, in cui pure si diletta di tanto in tanto e che lo zio James Curtis, il fratello di mamma Renée, praticò in età giovanile con successo. Alla fine ha vinto l’atletica e ora i paragoni con i grandi del passato si sprecano. Il più gettonato, non solo per il colore della pelle, è quello con Carl Lewis, al quale Howe, in effetti, assomiglia molto: nelle caratteristiche fisiche, nella gestualità, nei risultati. (Alla sua età il Figlio del Vento aveva un10’’16 sui 100, 20’’66 sui 200 e il medesimo 8.11 nel lungo). Andrew ora si trova nella delicata situazione di scegliere il suo raggio d’azione per gli anni a venire. E non è facile vincere l’imbarazzo della scelta, capire quali possano essere le specialità da coltivare. vero, ai Mondiali juniores ha vinto lungo e 200, ma ha dimostrato di essere fortissimo anche nel triplo. E i suoi risultati giovanili nell’alto o nei 110 hs lascerebbero aperte pure altre strade. Qui vengono incontro pareri autorevoli. Il professor Carlo Vittori, l’uomo che ha segnato la carriera di Pietro Mennea, di cui Andrew può diventare l’erede sul mezzo giro di pista, non ha dubbi. "Penso che Howe sia innanzitutto un corridore – dice il tecnico ascolano – , ma questo non significa che non possa saltare e anche lontano: mi pare abbia tutte le caratteristiche di gente come Lewis, Myricks, Owens, che sono stati grandi velocisti e al tempo stesso ottimi saltatori in lungo. L’importante è che lasci perdere definitivamente il triplo, anche se so che gli piace molto. Comunque io per il futuro lo vedo sui 400, lì potrà ottenere il massimo". [...] Claudio Mazzaufo, oggi responsabile dei salti in estensione della nazionale giovanile, è forse il primo dei tecnici azzurri ad aver visto Andrew all’opera. "Lo conobbi quando aveva 14 anni, in una gara a Casal del Marmo e telefonai subito a Dino Ponchio, già tecnico di Evangelisti e allora c. t. dell’Italia femminile, per dirgli che ero di fronte a un fenomeno mai visto prima. L’impressione fu confermata due anni dopo dal primo test che effettuammo con la pedana di Bosco, che aiuta a capire molto di un atleta. Andrew registrò dei dati incredibili: fece segnare un tempo di contatto di 121 millesimi di secondo, che voleva dire 72 centimetri di elevazione e 104 watt di potenza. Mai avevo avuto tra le mani valori simili. Andrew mostrò subito delle capacità coordinative straordinarie e io ritengo che abbia dentro ancora ampi margini di miglioramento"» ("La Gazzetta dello Sport" 18/7/2004). «Andrebbe lasciato a maturare nelle fredde sere ai piedi del Terminillo, dove vive, arrivato qui al termine di lunghe peregrinazioni della mamma, Renee, venuta a trovare un marito italiano dopo essere partita dall’Università di Santa Monica, Califonia. En passant, la patria di Lewis: c’è qualcosa di predestinato nella vicenda di Andrew. Renee era primatista americana dei 100hs una ventina di anni fa, un titolo mondiale indoor con il nome di Felton, poi nacque Andrew da un padre tedesco-americano, e mamma lo portava sulle piste a farle compagnia. E lui saltava, ”perché il mio sogno è sempre stato quello di volare, da sempre”. E Lewis l’ha preso in braccio, e l’ha praticamente battezzato alla fama. ”Sarai tu il primo a fare i 9 metri” gli avrebbe detto. Forse in quel momento hanno tintinnato in cielo le medaglie di Olimpia. Un predestinato, circondato da un’aura magica che i suoi compagni di allenamento guardano con affetto. ”Quel salto mi è venuto facile. Lo stacco perfetto, la testa alta in volo, e poi all’atterraggio mi ero reso già conto di quello che avevo fatto”. Ma il problema non è quel salto in lungo: sono anche quelli in alto, il triplo, la prova sugli ostacoli. Andrew veste uno di quei corpi governati da una meravigliosa coordinazione muscolare che appare nei sogni di qualsiasi allenatore. Per ora lo governa mamma Renee, d’altronde è stata lei stessa che sin da piccolo lo stimolava, gli lanciava la palla a sorpresa per addestrargli la reattività. Certe volte queste mamme sono pericolose, ma la storia di questa giramondo è una garanzia e Andrew le è devoto. ”Mi fido solo di lei. Ci è passata, per tutte queste cose. Sa quali sono le conseguenze del successo”. lei che ora lo protegge dall’assalto del mondo, ha fatto tirocinio in mezzo a John Smith, a Moses, a John Gray, a Flo Jo Griffith, nel top che ci possa essere nell’atletica. Andrew ha le treccine afro tinte di giallo, alto già 1,80, magro, come l’atletica purtroppo non gli chiederà più di essere negli anni futuri. ”Ma io non prenderò mai anabolizzanti. Voglio essere uno che vincerà in pedana chi si dopa”. Buoni propositi di un ragazzo sano, l’educazione di mamma Renee funziona, una bella famiglia. Lei dirige l’allenamento suo e degli altri ragazzi dell’atletica Cariri, poi mentre loro fanno la doccia e si rivestono, lei fa i massaggi a chi ha bisogno, tuttofare dello sport, con un progetto in testa. Fare del piccolo Jeremy, il fratellino minore, un grande sprinter. Sono divagazioni queste intorno alla grandezza di Andrew, ma la paura di delusioni future è grande, insieme al timore di fargli del male sin da adesso. [...] Andrew a 15 anni ha fatto cose che nessun altro ha fatto. Oltre al salto di Fano, con un miglioramento di un metro dall’anno precedente, ha anche 15,10 nel triplo, più un 2,06 nell’alto, un record italiano in un tetrathlon, un altro nei 150 metri. E poi una prova nei 300hs che ha fatto venire i brividi. ”Ho tenuto i tredici passi per tutti gli ostacoli, meno l’ultimo, in cui ne ho fatti 14”. Al mondo solo Edwin Moses riusciva a tanto, ce lo ricorda mamma Renee. Tutto cominciò dall’alto. ”Avevo sei-sette anni e venne Sjoberg al meeting di Rieti. A fine gara mi fece una lezione di cinque minuti sulla tecnica del salto. Avevo già imparato il Fosbury, passai il resto del pomeriggio a saltare, finché non mi fece male l’anca”. [...] Ha un padrino eccezionale, Tommie Smith, uno dei due che alzarono il pugno sul podio di Messico ”68. ”Lo considero mio nonno, è stato tanto vicino alla mamma quando lei ebbe problemi con il morbo di Crohn. Rischiò quasi di morire”. […] Ha una reattività al terreno di 126 millesimi, quando la media degli altri è intorno a 160; e la potenza che riesce a esprimere è superiore dei due terzi. Il che vuol dire che tocca meno terra per schizzare via più veloce. Dati specialistici, espressi da un test finale sui 60, manuale, con un tempo di 6’’58. Il record italiano è di 6’’55. A chi ha visto questi risultati si sono drizzati i capelli sulla testa. Il problema è semplice, lo conosce bene Renee. ”Io gli devo fare da scudo contro il mondo. Perché lui è ancora un ragazzo […] E devono crescergli i muscoli, deve maturare”. Andrew però ha una innata, disinvolta, dimensione di grandezza, priva peraltro di qualsiasi boria. […] Non sente lontani gli dei dell’atletica, ci è cresciuto insieme, anche se le Olimpiadi gli sono sfuggite. ”Le gare erano la mattina, io ero a scuola: invece di vedere Sydney io vedevo la lavagna”. Il rischio era che se lo rubasse il calcio, lui stesso aveva idea di fare qualche provino. ”Sono un attaccante, una specie di Weah”. Poi ha vinto il gusto di stare in pista e di cavare meraviglie da ogni gesto" (Corraddo Sannucci, ”la Repubblica” 4/1/2001).