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 2002  febbraio 14 Giovedì calendario

BHUTTO Benazir Karachi (Pakistan) 21 giugno 1953, Rawalpindi (Pakistan) 27 dicembre 2007 (assassinata)

BHUTTO Benazir Karachi (Pakistan) 21 giugno 1953, Rawalpindi (Pakistan) 27 dicembre 2007 (assassinata). Politico • «[...] La saga della dinastia dei Bhutto anche nel tributo di sangue sembra il riflesso speculare di quella dei Gandhi in India. Suo padre, Zulfikar Ali Bhutto, nei primi anni Settanta guida uno dei pochi governi non militari nella storia del Pakistan. Nel 1977 viene deposto dal golpe del generale Zia ul-Haq, che due anni dopo lo condanna a morte. Fino a quel momento nulla lascia presagire che Benazir sarà destinata alla politica. Ha studiato a Harvard, poi a Oxford, è brillante e cosmopolita. Il suo Paese le sta stretto. Vuole dedicarsi alla diplomazia, servire il Pakistan senza restare rinchiusa entro i confini nazionali. Il golpe e l’arresto del padre cambiano il corso della sua vita. Lo visita poco prima dell’esecuzione e dice ”l’ho giurato davanti a lui nella sua cella di condannato a morte: continuerò la sua opera”. Da quel momento il generale Zia fa imprigionare anche lei. Cinque anni di carcere speciale, nell’isolamento assoluto, sono il suo battesimo di fuoco, l’iniziazione spietata alle battaglie politiche che l’attendono nella sua nuova vita. Rilasciata per motivi di salute, si rifugia a Londra dove crea il Partito del Popolo e lancia la sua campagna contro la dittatura militare. Nel 1986 torna in patria: è un trionfo, celebrato da folle oceaniche che riconoscono in lei l’erede legittima dell’ultimo governo democratico del Paese. Il 1988 segna un nuovo appuntamento con il sangue, stavolta è il generale Zia a morire nella misteriosa esplosione del suo aereo, e la sua scomparsa spiana la strada alle elezioni vinte da Benazir. Prima donna eletta democraticamente alla guida di uno Stato islamico, lei esibisce una cultura femminista, rivendica emancipazione e indipendenza nelle scelte di vita. Interrogata sul suo matrimonio, combinato secondo il costume islamico con il miliardario di Karachi Asif Ali Zardari, lei dichiara: ”Non mi sono concessa a nessuno. Appartengo a me stessa e apparterrò sempre e soltanto a me stessa”. a causa di questo atteggiamento che alcuni continueranno a chiamarla ”la vergine d’acciaio” anche dopo il matrimonio. Proprio quell’unione con un discusso affarista in realtà diventa il suo handicap politico più grave. Zardari, che lei nomina ministro, viene accusato di corruzione e appropriazione indebita. Per due volte Benazir è premier (dal 1988 al 1990, poi dal 1993 al 1996) e per due volte la sua carriera inciampa negli scandali. Il presidente della Repubblica Ghulam Ishaq Khan la depone per abuso di potere, lei lo accusa di ”atti illegali e anticostituzionali”. Nessuna delle accuse verrà mai provata fino in fondo contro di lei, nonostante 18 processi durati dieci anni (e cinque anni di detenzione per Zardari). La sua biografia però viene macchiata. Dopo essere stata una delle donne più famose e più importanti della politica mondiale diventa un simbolo di malgoverno. Abbandonata da molti seguaci, nel 1999 è costretta a scegliere di nuovo la via dell’esilio. Si rifugia a Dubai con i tre figli (il marito la raggiunge dopo aver scontato la pena) ma non abbandona la militanza politica. poco ascoltata dai governi occidentali, ma accetta volentieri gli inviti dalle università americane e inglesi per diffondere il suo messaggio: il Pakistan non merita di essere abbandonato, né al dispotismo militare né al fanatismo religioso. Il governo inglese di Tony Blair è uno dei pochi che le prestano qualche attenzione. Senza risultati rilevanti. Perché George Bush invece ignora i suoi consigli e fa una scelta netta. L’11 settembre 2001 l’Amministrazione Usa punta tutte le sue carte sul generale Musharraf come alleato indispensabile per sconfiggere Al Qaeda. Dopo sei anni, perfino a Washington appare evidente il fallimento di quella strategia. Musharraf è incapace di controllare ampie zone del suo paese in mano ai Taliban; al tempo stesso sale il malcontento della parte più moderna del Paese. Come in India, anche in Pakistan hanno attecchito durante il colonialismo britannico i germi di una cultura liberaldemocratica, la Corte suprema ha la forza per sfidare anche il capo dell’esercito. Si rivela un alleato ingombrante per l’America questo dittatore che calpesta i diritti umani, arresta parlamentari e giornalisti, dichiara la legge marziale ma non è capace di arginare il fondamentalismo islamico. Un compromesso tra Musharraf e Benazir Bhutto diventa infine l’opzione preferita dagli Stati Uniti: il generale resta presidente ma deve abbandonare il comando dell’esercito, organizzare elezioni libere, e Benazir è in pole position per l’incarico a premier. Ancora una volta lei non si tira indietro. Torna come una leonessa nell’arena politica, pur sapendo i rischi mortali che corre. Il giorno stesso del suo rientro dall’esilio, il 18 ottobre 2007, contro il corteo di auto che la scortano a Karachi avvengono due attentati. I morti sono 130 ma quel giorno è chiaro a tutti che il bersaglio vero era lei. [...] Neanche il terribile attentato di Karachi rallenta la marcia di Benazir. ”La campagna elettorale continua”, dichiara subito dopo il 18 ottobre. Con il plurale maiestatis che si addice a una sovrana aggiunge: ”Continueremo a incontrare il nostro popolo. Non ci lasceremo intimidire”. Alla fine i suoi avversari l´hanno uccisa a Rawalpindi, città - fortezza considerata la meglio presidiata e la più sicura del Paese. Sprezzante del pericolo, lei ha accettato di giocarsi la vita in quella che probabilmente era una partita truccata. [...]» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 28/12/2007) • «’Quando ero bambina mia madre ripeteva sempre: ”Una maledizione incombe sulla famiglia Bhutto, quella che condanna i nostri uomini a morire giovani e noi donne a sopravvivere in una lotta solitaria’. Come mi irritavo a quelle parole macabre. Ma erano vere: dopo pochi anni avrei visto morire mio padre e i miei due fratelli. Ora ho marito e suocero in carcere, come fossero in una tomba. Così a lottare siamo rimaste noi donne. Mi sento così stanca” […] ancora bella, solo un po’ appesantita nel fisico. Il che la rende più terrena: quella figura eterea, avvolta in veli islamici, che un tempo animava le folle solo apparendo in pubblico, come una Madonna d’Oriente, è diventata una maestosa signora, sguardo navigato, entusiasmi sopiti […] ”Oggi mi sento una donna di mezz’età sopraffatta dai problemi quotidiani: tre figli da allevare, una madre malata, difficoltà finanziarie” […] ”Sono stata una delle donne più potenti, ma anche una delle più deboli al mondo: additata come una criminale. In Pakistan si balza di colpo dagli allori al fango. E amara non è tanto la perdita del potere quanto la caduta terrorizzante, in cui finisci per avere meno diritti di chiunque altro. Verso i comuni cittadini la giustizia è abbastanza equa: verso gli ex potenti si scatena il bisogno di vendicarsi, di umiliare. Se, perduto l’incarico di premier, avessi potuto condurre una vita normale sarebbe stato facile. Intollerabile è invece la persecuzione, il discredito” […] ”Temo le carceri pachistane, dove ho trascorso anni da giovane: celle minuscole, insetti, caldo intollerabile. E, massimo supplizio, l’isolamento” […] ”Tutti pensano che io sia ambiziosa; in realtà più che la seduzione del potere sento il peso della responsabilità. Sono un animale politico, è vero, ma soprattutto sul piano intellettuale: preferisco discutere di questioni ideologiche che prendere decisioni. Al governo sono più indecisa che all’opposizione. Perché odio deludere: e governare significa scontentare sempre qualcuno” […] ”Non ho mai saputo, andando a letto la sera, cosa sarebbe successo l’indomani. E col passare del tempo mi pesa sempre più” […] ”Sogno un futuro tranquillo, senza riuscire a immaginarlo. Perché non ho mai avuto pace” […] ”Mio padre mi ha insegnato la determinazione. La realtà cambia di continuo, diceva, quindi è inutile scoraggiarsi davanti alle avversità: l’unica è trovare risposte sempre nuove. Appartenere a una dinastia politica offre vantaggi: ti fa partire su una piattaforma d’eccezione. Ma comporta anche svantaggi: fa sì che, oltre ai fan, erediti i nemici di famiglia. E alla fine farcela o meno dipende soprattutto dalle tue capacità. A volte mi chiedo se ce l’ho fatta”» (Antonella Barina, ”Venerdì” 3/8/2001).