Varie, 14 febbraio 2002
BIAGIOTTI
BIAGIOTTI Laura Roma 4 agosto 1943. Stilista • «Regina del cashmere e del bianco, imprenditrice felice di essere proprietaria della propria griffe, celebra nel 2002 tre decenni di love story con la moda. Dopo sessanta collezioni, migliaia di abiti, inaugura in estate la Fondazione Cigna, collezione di centosettanta opere del pittore Giacomo Balla che lei e il marito Gianni Cigna hanno collezionato e che saranno riunite in esposizione, visibile su richiesta, al castello Marco Simone. [...] ”Pensare che quando ho presentato la mia prima sfilata a Milano il calendario si faceva per telefono. Era il ’74, due anni dopo l’esordio. Ken Scott chiedeva: tu sei di mattina? Allora mi metto dopo pranzo. Così Walter Albini. La moda è cambiata, la concorrenza ora è spietata. Ma questo lavoro mi diverte sempre. Mi proietta nel futuro. Non so mai in che stagione siamo, sono in sintonia con la collezione che disegno [...] Stilista? Una parola che non mi piace. Ma è sbagliato anche dire ”sarta” perchè sono nata con la moda che si acquista fatta. Forse per definire quello che faccio non c’è un vero vocabolo, ma questo lavoro mi va bene così com’è. Se penso che Balla nella sua Ricostruzione dell’universo, del 1913, ha messo tra i ”mattoni” anche un abito mi sento ancora più orgogliosa di creare moda”. Ha iniziato collaborando con mamma Delia che relizzava abiti per grandi nomi della couture italiana come Schubert. Lei ha amato subito, dalla prima collezione fiorentina del ’72, il bianco [...] ”Forse tutto è cominciato all’asilo. Orsoline, grembiuli candidi. E quelle paroline: non sporcarti. Il bianco mi è rimasto nel cuore. E’ stata la celebre giornalista Diana Vreeland, vero guru della moda, a dirmi un giorno: perchè non si veste sempre di bianco? Ne ho fatto la mia bandiera” [...] Il cashmere. ”L’ho rinnovato. E’ stato il ’New York Times’ a chiamarmi regina del cashmere in un articolo in copertina. Diciassette anni prima, la prima pagina era toccata a Yves Saint Laurent. Sono orgogliosa di aver lavorato sempre, da donna, per le donne. Dicevano che ero matta quando pensavo gonne con la coulisse in vita perchè, si sa, il corpo si stringe e dilata. Ho un rapporto affettivo con alcuni abiti che ho creato. Mi fa piacere aver recuperato alcune lavorazioni di tipo pregiato, come filzature, impunture, piegoline”. I grandi momenti: ”Il primo viaggio in Cina con la mia moda nell’88, la sfilata al Cremlino nel ’95, quella al Cairo nel ’97, la conquista dell’America con il profumo. E la visita al Marco Simone della signora Gromiko, non aveva mai visto una sfilata”» (Paola Pisa, ”Il Messaggero” 25/2/2002). «La chiamano regina del cashmere, vende occhiali e profumi a tutto spiano. Abita in un castello che la riporta alla dimensione più amata, quella della cultura, e anche dell’archeologia sua materia di studio prima di lavorare con la mamma nella moda. E’ affiancata, da poco, ma con grande entusiasmo e capacità, dalla giovane figlia Lavinia Cigna. ”Confesso che negli ultimi tempi provo un po’ di insofferenza verso tutto quello che ha fatto palpitare negli Anni 80 e 90. Credo che le donne avranno meno piacere a indossare lustrini e paillettes. Sul fronte sexy si è esagerato. Della pelliccia si è fatto un uso un po’ sfrontato. Il jeans ha perso il senso di sportivo per diventare, stretch, un’arma di conquista qualche volta da choc. Lo shopping sarà prossimamente più oculato, forse più classico, ci si orienterà verso quello che resta nel guardaroba e meno sull’acquisto d’istinto. Si punterà molto di più sul buon rapporto tra qualità e prezzo. Non solo, credo fermamente che il ’servizio’, ossia tutto quello che riguarda il rapporto tra la griffe e la clintela verrà messo in uno dei primi, se non al primo posto”, dice la stilista che adora, si sa, il bianco. ”Lo amerò anche nel futuro. Ma non sarà un bianco abbagliante, troppo moderno. Ho scoperto da tempo che il bianco è tanti colori. C’è il bianco-verde, il bianco un po’ azzurro, il bianco appena ingiallito che è quello che mi piace di più e prende le sfumature dai materiali che uso, ad esempio il cashmere, il lino, la canapa”. Di cosa ci si è un po’ stancati nella moda? ”Penso che si parlerà meno di bilanci e giro d’affari. Gli ultimi anni la moda è sembrata, e forse è stata, soprattutto business. Cifre, acquisizioni e altro. Si è un po’ persa la magia. Dall’altra parte si è puntato sullo stilista bizzarro, che fa scena, fa parlare e sforna cose importabili. Forse tutto ciò cambierà”» (P.P., ”Il Messaggero” 5/1/2002). «’Non dobbiamo permettere che il tempo ci mortifichi. Mantenere vivo il fanciullo che è in noi può aiutarci a vivere bene, a non sfiorire, a conservare slanci ed entusiasmo. Io sono fortunata. Faccio un lavoro creativo circondata da tanti giovani. La loro vitalità è contagiosa. E rende tutto più facile. Guai a perdere la curiosità e il gusto per la vita. Perché la sfida è ricominciare ogni giorno. Con nuove energie. Con fantasia. Con amore”. Spende le sue parole con una musicalità lieve e singolare. Conserva una grazia quasi adolescenziale e una freschezza che qualche capello grigio, sul volto forte e intenso, non è riuscito a sottrarle. Sorride spesso, con una propensione che non risponde a regole di bon ton ma esprime quasi una filosofia di vita. Aggiunge, con un pizzico di ironia e molta convinzione: ”Sono abituata a portare le maniche rimboccate, non solo per comodità ma per ricordare a me stessa e agli altri che è quello che dobbiamo fare tutti i santi giorni se non vogliamo spegnerci nell’inedia”. E’ un pericolo, questo, che non corre davvero. La stilista romana ha appena tagliato il traguardo dei trent’anni di attività, che le hanno permesso di diventare una delle firme-simbolo del made in Italy, incontrastata regina del cashmere, leader di un impero che produce anche profumi e foulard, scarpe e borse, bijoux e bagagli. Alle sfilate romane di luglio, è stata festeggiata dalla Camera nazionale della Moda con il premio alla carriera, ultimo di una lunga lista di riconoscimenti che le sono giunti in questi anni da mezzo mondo. Ma il suo rapporto con la Bellezza va oltre la moda. Abbraccia l’arte e, in fondo, ogni aspetto della vita. Nel 1986, con il marito Gianni Cigna, purtroppo prematuramente scomparso, si è appassionata all’opera di Giacomo Balla e ha raccolto 170 opere del maestro, che ora sono patrimonio della Fondazione Biagiotti Cigna. Dal 1980 vive in un castello dell’XI secolo sulla Palombarese, splendidamente restaurato da Piero Pinto, ma da poco ha preso anche un ufficio in via Condotti per avere un punto di riferimento nel centro storico. ”La moda mi diverte ancora”, confessa, seguita con premura e discrezione dalla figlia Lavinia, che ormai è il suo alter ego. ”In più ho acquisito una sicurezza che una volta non avevo: faccio meno prove, so come ottenere certi risultati e risparmio tempo prezioso. Così, riesco a trovare il modo di andare in un museo, leggere, incontrare una persona amica. La lettura, per me, è un bisogno esistenziale. Appartengo alla civiltà del libro, ne debbo sentire il profumo. Non si vive di solo lavoro, per quanto appassionante. Bisogna trovare un equilibrio tra il tempo del fare e quello dell’essere”. L’arte di vivere - sostiene - si nutre di piccole cose. Familiari e ”normali" quanto preziose. ”Le piccole cose”, dice, ”non lo sono affatto. Sono preziose gocce di bellezza. Un biglietto affettuoso, una gentilezza ricevuta, i fiori sulla tavola, un dolce o un gelato... Tutti i piaceri più comuni vanno coltivati con dedizione. Nelle piccole cose possiamo far crescere la costanza dei sentimenti, godere di più di ciò che ci piace, sopportare più facilmente anche i dolori”. [...] Naturalmente, dice, questo non basta. La qualità della vita ha bisogno di essere illuminata dalla Bellezza, quella con la maiuscola, come noi ne abbiamo dell’aria che respiriamo. A lei, l’amore per l’arte ha dato immense gioie. ”E’ una passione che mi è stata trasmessa da mio padre, fin da quando ero bambina”, racconta. ”E, da grande, l’ho condivisa con Gianni. La collezione Balla ci ha subito conquistati. Il Futurismo è stato la prima avanguardia artistica del Novecento, un movimento straordinario. Ha imposto un’idea non statica della bellezza e dell’arte, capace di riflettere come uno specchio realtà sempre diverse. Balla auspicava addirittura una ricostruzione futurista dell’Universo. Era una rivoluzione che non riguardava soltanto i dipinti o il ’bell’oggetto’. Abbracciava la vita intera, anche la moda, questo mio strano lavoro che viene ’mangiato’ da se stesso”. Così, l’innamoramento per Balla ha prodotto una collezione che rappresenta adesso il nucleo più importante di lavori futuristi esistente sulla moda. Aggiunge: ”I futuristi, e soprattutto Balla, hanno capito che l’abito ti svela e ti maschera, e lo hanno reso dinamico. Si sono resi conto che lo stile è una seconda pelle, deve cambiare in continuazione ma avere un’anima. Marinetti, Balla, Depero erano i protagonisti di un mondo votato alla trasformazione, ai cambiamenti, di cui la stessa moda era espressione significativa”. Certo, una collezione d’arte è un privilegio che pochi possono permettersi. Ma la Bellezza, e forse proprio la più grande, può essere anche alla portata di tutti. ”Roma ne è l’esempio più esaltante”, dice la stilista. ”Chiunque può godersi Fontana di Trevi e piazza Navona, il Campidoglio o piazza di Spagna. Che spettacolo incomparabile, quella scalinata... Non è mai la stessa. E’ percepita in modo sempre diverso, perché è asimmetrica, perché i suoi colori cambiano in continuazione, come fosse una magica tavolozza...”» (Massimo Di Forti, ”Il Messaggero” 2/9/2002).