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 2002  febbraio 14 Giovedì calendario

Bianchi Carlos

• Buenos Aires (Argentina) 29 aprile 1949. Ex calciatore. Allenatore, ha vinto due volte la coppa Intercontinentale (Velez 1994, Boca Juniors 2000). In Italia ebbe una sfortunata esperienza alla Roma • «Correva l’anno 1997. Sensi voleva un tecnico straniero vincente e nella rosa di tre nomi che gli fu sottoposta - lo slavo Antic, il francese Fernandez, l’argentino Bianchi - scelse appunto l’ultimo, già capace di vincere 6 trofei col Velez, inclusa la famosa Intercontinentale contro il Milan di Capello. All’inizio il ”Virrey”, soprannome che sta per vicerè, spopolò con le sue novità: a fine allenamento faceva camminare i giocatori scalzi sull’erba, dipingeva il suo pupillo Trotta come un Baresi più raffinato, cambiava ruoli ai difensori, esigeva un pressing continuo a tutto campo. Non durò, la Roma crollava regolarmente nel secondo tempo: dopo la contestazione a Trotta, spuntò quella contro di lui, che a primavera era già tornato in patria, sostituito dalla coppia Liedholm-Sella. Fu l’inizio dell’ascesa di Totti, scampato alle purghe e ancora oggi ferito dal ricordo: ”Se c’è Carlos Bianchi, io l’Intercontinentale non la guardo neanche in tv” . [...] Due le ha vinte (nel ’94 contro il Milan reduce dal trionfo di Atene sul Barcellona e nel 2000, col Boca, contro il Real Madrid di Raul, Figo e Roberto Carlos), una l’ha persa nel 2001 contro il Bayern: ”Ma sono orgoglioso di questa sconfitta, ai supplementari, con l’espulsione di Delgado, che non commento” . [...] A Buenos Aires, è una leggenda. Col Boca ha vinto altri 8 titoli. La deputata Silvia Gottero ha proposto per lui la nomina a Cittadino Illustre, riconoscimento già attribuito a Fangio e Vilas, ”per il suo impegno verso i settori meno protetti della società”. La sua biografia (Carlos Bianchi, pasiòn y razòn del futbòl) è tra i libri più venduti. Recenti disavventure familiari - il tentativo di rapimento del fratello Eduardo, davanti all’edicola di famiglia, l’infarto della figlia ventottenne Brenda - sono state vissute nel paese con grande partecipazione. Molti lo vorrebbero alla guida della nazionale al posto di Bielsa» (Enrico Currò, ”la Repubblica” 11/12/2003) • «La sua parabola ha qualcosa di incredibile, se vista da Roma [...] il primo allenatore ad avere vinto quattro Coppe Libertadores, la Champions League del Sudamerica, il secondo ad averlo fatto con due squadre diverse (il Velez Sarsfield nel ’94 e poi il Boca nel 2000, 2001, 2003). Eppure è stato anche l’allenatore della Roma nel ’96-’97, prima di essere cacciato dopo 26 giornate, mentre la squadra precipitava verso la B. Nils Liedholm, che fu richiamato dalla pensione per salvarla, disse che raramente aveva visto una squadra così malridotta e che quella volta il rischio di retrocedere era stato reale. Carlos Bianchi ha il tocco magico, evidentemente. Fu capocannoniere come centravanti in Francia negli anni ’70, in Argentina vince quando vuole. Nel 2001 aveva lasciato il Boca per una pausa di riflessione, sostituito da Tabarez. Richiamato nel gennaio 2003 per sostituire l’uruguayano che aveva fallito, ha subito riportato il Boca al trionfo. Da dove gli venga tanta magia a Roma piacerebbe saperlo. Si ricordano ancora un memorabile 1-4 casalingo con la Sampdoria, con i giallorossi scherzati da Mancini e compagni. Al centro della difesa c’era Trotta, che si era portato dietro dal Velez, un misto di Baresi e Beckenbauer, come fu definito. Giocò sei partite, lui il primo a minare il piedistallo del suo benefattore. Tornò in Argentina dopo una penosa sconfitta a Verona. Da ex giocatore, conosce i giocatori. Ha fatto vincere il Boca dopo aver visto partire gente come Riquelme, Samuel, Palermo. Ha valorizzato Carlos Tevez, un ragazzone 19enne che ha attirato i club europei [...] A Roma, in realtà, sono convinti che Bianchi non conosca i giocatori. Non si prese con Francesco Totti e a un certo punto aveva consigliato di venderlo nel mercato autunnale: la Sampdoria stava per fare l’affare della sua vita. Per fortuna fu fermato. Certo aveva una squadra di alti e bassi: Balbo e Aldair ma anche Annoni e Beretta. [...] Certo l’uomo sa anche essere imprevedibile: una volta dedicò la vittoria nel campionato argentino a un suo cane. Dopo quello che è successo a Roma è comprensibile che Bianchi non abbia un gran feeling con il calcio italiano. ”Lui è bravissimo, ma non mi piace che parli sempre male di noi” ha detto Galliani» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 4/7/2003). «Sui sette colli, quasi tutti restano convinti che il meglio di sé, nei suoi giorni romani, lo abbia dato sulla spiaggia di Fregene, consumando croccanti bruschette con telline, straricco nullafacente - bontà di Franco Sensi - a cinque milioni puliti al giorno. In Sudamerica la pensano evidentemente in modo opposto: per loro, Carlos Bianchi è il miglior allenatore del Continente. Più bravo di Passarella e del brasilero Scolari, gli altri due finiti sul podio. Convinti e recidivi: è la terza volta che Carlitos si vede assegnare il premio organizzato dal 1986 dal quotidiano uruguaiano ”El Pais”. Insomma: profeta solo in patria? ”Mica tanto. Ho vinto parecchio anche da calciatore, in Francia, pur senza giocare in club di primissima fila: 125 gol, cinque volte capocannoniere. E poi, lasciando da parte la Libertadores, le mie due coppe Intercontinentali. Vinte col Velez Sarsflied e col Boca Juniors, è vero: ma contro avversarie europee come Milan e Real Madrid: E a Tokio, non in Argentina [...] Roma è un posto straordinario: c’è la storia, la politica, il ponentino, il turismo. Ma il calcio è un’altra cosa. Io trovai un gruppo già fatto. E sbagliato. Provai a fidarmi, sbagliai anch’io. A Sensi chiesi solo un giocatore da tre milioni di dollari: Trotta. Fallì pure lui, certo. Ma aveva un ginocchio malandato e fu distrutto dall’ambiente. Era stato campione del mondo col Velez, è tornato grandissimo col River Plate. Però insisto: avrei dovuto essere spietato, fare piazza pulita. Non si gioca a calcio con certi personaggi [...] Chiariamolo una volta per tutte: non chiesi mai alla Roma di mandare via Totti. vero invece che gli dissi: qui sei un ragazzino viziato, è ora che esci dal guscio. Mi rinfacciano anche, lo so, di averlo definito ’un giocatore normale’. Allora, sinceramente, lo era: aveva qualità per diventare straordinario, ma non le sfruttava [...] Oggi Capello in difesa ha Samuel, il miglior centrale del mondo. Anzi: il più grande difensore argentino di tutti i tempi, superiore persino a Passarella. Io, Aldair a parte, dovevo scegliere tra Annoni, Lanna, Tetradze e Pivotto. In attacco, se non gioca Batistuta, il miglior centravanti del mondo, ci sono Montella e Balbo. Io avevo Dahlin, che pesava cento chili. E Fonseca, che non aveva più voglia di allenarsi, che pareva dover giocare per diritto divino. A metà campo, oltre a Tommasi, che in nazionale ci arrivò con me, dopo appena quattro giornate di campionato, ci sono Cafu e Candela (che nessuno conosceva: lo pescai io, nel Guingamp, per due lire) e Emerson. Io avevo Thern che voleva scappare, Cappioli, Statuto, Bernardini, Berretta. Che fine hanno fatto questi giocatori?” [...] ”Sensi era mal consigliato. Purtroppo, ripeto, non riuscii a convincere prima me stesso e poi lui che bisognava azzerare tutto e ripartire. Così com’ero messo, ritengo un record aver retto fino alla 26.ma giornata” [...] A Baires ho ritrovato me stesso, qui sono una divinità. Roma è splendida, il pubblico del calcio ancora di più” [...] ”Come diceva mio padre: el mundo es mi casa. E io mi sento da sempre cittadino del mondo: argentino, ma un po’ francese, un po’ italiano, per certi versi un po’ spagnolo. Proprio la Spagna mi è stata vicinissima, Jesus Gil, licenziato Sacchi, mi voleva all’Atletico Madrid. Tutto sommato, credo di aver fatto bene a lasciar perdere. L’Europa, certo, continua a tentarmi. Ma, se mai ci tornassi, niente più errori: chiederò carta bianca e giocatori veri”» (Stefano Petrucci, ”Corriere della Sera” 3/1/2001).