Varie, 14 febbraio 2002
BIANCHINI
BIANCHINI Valerio Torre Pallavicina (Bergamo) 22 luglio 1943. Uno degli allenatori-simbolo della pallacanestro italiana, sia per le vittorie sia per l’abilità dialettica: indimenticabili i ”duelli” a suon di interviste con Dan Peterson, allenatore della Milano vincente degli anni Ottanta. C.t. della nazionale dal 1985 all’estate 1987, ha vinto lo scudetto in tre posti differenti (come Carlo Recalcati): Cantù (1980), Roma (1983) e Pesaro (1988). Ha conquistato pure due titoli europei (a Cantù e Roma), oltre a varie coppe. Ha allenato anche a Siena, Varese e Milano. Proprio l’Olimpia Milano, il club che lo vide, giovanissimo, avvicinarsi al basket, rappresenta la delusione principale di Bianchini: alla vigilia del Natale del 2000, venne esonerato. Aveva inseguito quella panchina da sempre, dopo essere stato per anni il più acerrimo avversario del club milanese. Deluso, s’è messo a fare il libraio. «Si può sempre cambiare schema. Anche a 60 anni. Anche scegliendo un altro gioco. E così Valerio Bianchini, fino a pochi mesi fa allenatore di basket, sulla panchina della Virtus Bologna, ha deciso: basta canestri, meglio i libri. E così dopo tre scudetti con tre squadre diverse e dopo le ultime esperienze non esaltanti è pronto ad inventarsi un´altra vita, da coach a libraio, da uomo di sport a consigliere di letture. ”Sarò in libreria ogni giorno, almeno fino a Natale, per farmi le ossa. Capisco i dubbi della gente, che ci fa un allenatore di basket tra gli scaffali pieni di parole? Ma in tutte le città del mondo dove sono stato le librerie erano il primo posto che correvo a visitare. Ricordo a San Francisco la City Lights di Ferlinghetti, la sorpresa di trovare le opere tradotte di Pasolini e lui stesso, Ferlinghetti, alla cassa. Ricordo il rimpianto quando a New York tra Broadway e l´80esima strada non trovai più la Shakespeare and Company. Per me le librerie, non i megastore moderni, hanno sempre voluto dire chiacchiere e affetti. Figurarsi quando di recente a Parigi in un quartiere, nemmeno tanto al centro, dalla parte della gare de Lyon, ho visto un posto che si chiama la Griffe Noire, dove ogni libro ha una scheda fatta a mano che ne riassume la trama, dove in vetrina c´è un water dove i lettori hanno il diritto di buttare i libri che non sono piaciuti e dove c´è un acquario con i pesci dove finisce il naufragio del mese. Era quello il sogno che volevo sognare, ogni giorno. [...] Io credo che non sia giusto che le piccole librerie vengano scacciate dal centro e dai quartieri perché gli affitti crescono, perché chi vende i libri non riesce a campare, perché solo chi ha grandi spazi come Mondadori e Feltrinelli può sopravvivere. Ma cosa se ne fanno i nostri genitori di questi supermarket del libro dove non si riesce mai a parlare con un commesso, dove tutto è self-service, dove le anziane signore sono a disagio perché non sanno a chi chiedere, dove se domandi un libro di Pavese ti chiedono come fa di nome? Io vorrei rivalutare la figura del libraio come mediatore di cultura, tra scrittore e lettore. Capisco che la vita è cambiata, che la gente se ha bisogno di un libro lo vuole in fretta, per questo offriamo il calore di una piccola libreria e i vantaggi di un grande sistema. Tutte le novità saranno vendute con il 15 per cento di sconto sul prezzo di copertina, abbiamo un deposito di 110 mila titoli, questo significa che in 24 ore grazie ad una consegna con fattorini siamo capaci di soddisfare le richieste per testi che non abbiamo in libreria e che vendiamo a prezzo di copertina. un esperimento, una nuova tendenza che a Roma ha anche un altro esempio e che è pronta ad essere accolta anche in altri centri d´Italia. una mia scommessa, da sempre volevo parlare con la gente della bellezza di un testo. Forse perché ho studiato filosofia alla Cattolica, perché quando lessi Lo Straniero di Camus mi piacque molto di più de La Peste, perché sono appassionato di Roth, di Malamud, di Maugham e della sua frase ”accettò di morire solo quando gli assicurarono che non c´era un´altra vita dopo la morte”. E perché quando arrivai a Roma per la prima volta in gita con la parrocchia mi colpirono i colori degli edifici così più vivaci rispetto al grigio di Milano. [...] Mi spaventano i quartieri senza librerie, quelli dove per comprare una poesia bisogna prendere un autobus e marciare verso il centro, quelli dove si affermano solo i grandi concentramenti facendoci credere che non c´è altra possibilità. Mi spaventa questa società dove chi vende e compra aziende non sa nemmeno cosa c´è dentro, quante storie umane siano costate. Ho paura di uno sport che non favorisce più l´integrazione, ma l´individualismo. Ma, tranquilli, non imporrò ai visitatori i miei gusti. Ogni lettore ha il suo gioco preferito, che va assecondato e non ostacolato. Sono un vecchio allenatore e un giovane libraio che finalmente si riprende la sua vita, se penso che a dieci anni mia madre per salvarmi dai libri mi portò all´oratorio dove scoprii il basket. Ora invece è dalla degenerazione dello sport che devo mettermi in salvo, da un´esperienza che a Bologna mi ha spezzato il braccio e qualcosa di più”» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 25/9/2003).