varie, 14 febbraio 2002
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Binoche Juliette
• Parigi (Francia) 9 aprile 1964. Attrice. Premio Oscar come miglior attrice non protagonista per Il paziente inglese. «La bellezza, dice, ”è il frutto di come ci si sente dentro: se si è felici si è sicuramente anche belli”. Di certo, allora, dev’essere a dir poco raggiante: alle interviste faccia a faccia con i giornalisti si presenta senza un filo di trucco, capelli in disordine, pantaloni, maglietta, unico vezzo una scarpa a punta dal tacco vertiginoso. Ed è, inutile dirlo, magnifica: ”A quattordici anni ero già decisa a recitare - racconta -; ricordo un pomeriggio in cui, durante la merenda, finita la scuola, mia madre mi chiese che cosa volevo fare da grande. Risposi subito ”l’attrice’, lei mi disse che, per riuscirci, non bastava la bellezza, bisognava anche essere intelligente e io, dentro di me, ”allora vuol dire che sono bella’”. Da allora, dai tempi della prima adolescenza, l’attrice diretta da Kieslowski in Tre colori: bleu, la diva premio Oscar del Paziente inglese, la fascinosa creatrice di dolci sortilegi in Chocolat, ha concentrato la sua attenzione più sul talento che sulle apparenze, mettendosi sempre alla prova, con ruoli diversi, registi esigenti, temi complessi, grandi storie romantiche. ”Mi fido molto del mio intuito - spiega -; prima di leggere una sceneggiatura preferisco non sapere tante cose sul regista, ma piuttosto essere pronta a captare quell’impulso speciale,quasi fisico, che mi fa venir voglia di interpretare un certo ruolo […] Ricevere l’Oscar è stato, naturalmente, un grande onore, ma non posso dire che mi abbia in qualche modo cambiata. Non mi considero un’icona; davanti al pubblico e alla gente qualunque, continuo a sentirmi sempre uguale e, quando vado a fare la spesa al mercato, continuo ad essere semplicemente una che va a comprare le verdure punto e basta”. Merito anche della vita poco esposta, delle scarse notizie riguardanti il privato: ”Non so bene perchè, ma nessuno mi fa mai molte domande su questi argomenti”. […] ”Scegliere i ruoli è anche una questione di fede, non si possono calcolare prima i risultati di un lavoro, bisogna credere e basta. A me succede spesso così, mi è capitato, per esempio, negli Amanti del Pont Neuf e nel Paziente inglese» (Fulvia Caprara, ”La Stampa” 20/1/2003).