Varie, 14 febbraio 2002
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BOMPRESSI Ovidio Massa (Massa Carrara) 16 gennaio 1947. Ex militante di Lotta Continua. Condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi insieme ad Adriano Sofri e a Giorgio Pietrostefani
BOMPRESSI Ovidio Massa (Massa Carrara) 16 gennaio 1947. Ex militante di Lotta Continua. Condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi insieme ad Adriano Sofri e a Giorgio Pietrostefani. Graziato il 31 maggio 2006 • «È un mondo in bianco e nero, quello che vediamo riprendendo in mano le immagini di quel 17 maggio 1972. I giornali parlano della guerra in Vietnam e dello sciopero degli statali. Ci sono poche auto nelle strade. In via Cherubini, fra la sua Fiat 500 e una Opel Kadett, il commissario Luigi Calabresi sta riverso, colpito da due colpi alla schiena e alla testa. Morirà poco dopo all’ospedale San Carlo. Ha 35 anni, due figli piccoli, la moglie Gemma incinta del terzo che si chiamerà come lui. È un poliziotto molto noto, lavora all’Ufficio politico della Questura. Da quando, nel dicembre 1969, due giorni dopo la strage di piazza Fontana, chiese al ferroviere anarchico Pino Pinelli di seguirlo in via Fatebenefratelli. Durante l’interrogatorio, Pinelli volò dalla finestra. Per molti, a sinistra, Calabresi era responsabile di quella morte. Lo chiamavano assassino le scritte sui muri, le vignette, gli slogan nei cortei. I processi - con una sentenza del giudice Gerardo d’Ambrosio - diranno che era innocente, che non era nella stanza quando Pinelli morì. Fa molto caldo, e le immagini sono a colori, quando il 28 luglio del 1988 arrestano Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. Sono passati 16 anni dall’omicidio, e 12 dallo scioglimento di Lotta continua, il gruppo di cui Sofri e Pietrostefani erano dirigenti, e Bompressi semplice militante. Era stato di Lotta continua, operaio alla Fiat Mirafiori, officina 54, anche Leonardo Marino, l’uomo che li accusa. Dice di aver guidato l’auto, dice che Bompressi sparò al commissario, e che i due dirigenti furono i mandanti. Quando li arrestano, Sofri è insegnante all’Accademia di Belle arti a Firenze e scrittore, Pietrostefani manager delle Officine Reggiane, Bompressi libraio a Massa, la sua città. Marino vende crèpes e bibite col suo furgone, a Bocca di Magra. Il 27 novembre 1989 comincia a Milano il processo di primo grado, che durerà cinque mesi. Nell’aula, tutti i giorni per quei mesi, si incroceranno gli imputati e le vittime, i figli di Sofri e quelli di Calabresi. Il presidente è Manlio Minale, l’attuale procuratore della Repubblica. Sofri si impegna in una autodifesa non politica, tutta sui fatti, e con lui anche Pietrostefani e Bompressi. Il racconto di Marino contraddice quello dei testimoni oculari (avevano visto una donna al volante, e una meccanica diversa del fatto), ed è infarcito di sbagli: sul colore dell’auto, sull’itinerario di fuga. Nel corso degli interrogatori, condotti con mano ferma da Minale, viene fuori che Marino ha mentito su come e quando entrò in contatto coi carabinieri. Per 17 giorni risulta che venne sentito, in colloqui notturni, dal colonnello Bonaventura, uno specialista dell’antiterrorismo. Anche le accuse di Marino ai tre ex-compagni sono traballanti. Dice che Pietrostefani era presente a Pisa il 12 maggio ”72, quando gli venne confermata la decisione di uccidere Calabresi, ma poi ritratta quando risulta senza dubbio che Pietrostefani era altrove. Non ricorda che il colloquio con Sofri, dopo un comizio, avvenne dopo un acquazzone. Nel corso degli anni Marino ha fatto anche il rapinatore, si è iscritto al Pci, ha raccontato dell’omicidio Calabresi a un ex-senatore del partito e al parroco. Sua moglie Antonia Bistolfi, cartomante, anche lei accennava a oscure minacce e fatti lontani parlando con un avvocato. Ognuno, dicono, all’insaputa dell’altro. Quando la posizione di Marino come accusatore sembra essere pregiudicata, il processo prende tutt’altra piega. I testimoni oculari e quelli della difesa vengono liquidati piuttosto sbrigativamente, e il 2 maggio ”90 arriva la sentenza: 22 anni di condanna per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, 11 anni a Marino. Sofri, come aveva annunciato, non impugna la sentenza. Ma il 15 maggio ”91 comincia il processo d’appello, e anche lui è giudicato con gli altri. Si fanno nuove perizie balistiche. Molte prove sono state distrutte, compresa la Fiat 125 usata dagli assassini. Nel luglio, le condanne sono confermate. Un anno dopo, Sofri fa uno sciopero della fame, perché il giudizio in Cassazione è stato spostato dalla prima sezione, quella di Corrado Carnevale considerato un ”ammazzasentenze”, alla sesta. Il presidente della Cassazione lo affida alle sezioni unite, come avviene assai raramente per i processi più delicati. Il 23 ottobre del ”92 le sezioni unite annullano la sentenza d’appello, spiegando che la chiamata in correità di Marino non ha sufficienti riscontri. Un nuovo processo d’appello si fa ancora a Milano, e il 21 dicembre tutti gli imputati sono assolti. Anche Marino, che non viene creduto nemmeno nella sua autoaccusa. Le motivazioni della sentenza, depositate nel maggio ”94, sono sorprendenti. quella che molti tecnici chiamano ”sentenza suicida”: centinaia di pagine sostengono la credibilità di Marino, e poi assolvono. Sembra costruita per essere demolita in Cassazione, e così avviene, proprio per le motivazioni incongruenti. Alla fine del ”95, molto rapidamente e senza più grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, un altro processo d’appello condanna gli imputati. Nel gennaio ”97 la Cassazione conferma. Sofri viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Pisa. Bompressi si costituisce. Pietrostefani si consegna pochi giorni dopo, tornando da Parigi. Nell’agosto del ”99 la Corte d’appello di Venezia accoglie la richiesta di revisione del processo. Ma pochi mesi dopo il processo di revisione si conclude con una nuova conferma delle condanne, ribadita il 5 ottobre del 2000 dalla Cassazione. l’ultimo atto di una vicenda giudiziaria lunga 12 anni, e ne sono passati 28 dalla morte di Luigi Calabresi. La memoria, quella in bianco e nero, s’è ormai persa per strada. Salvo che per gli imputati e per le vittime. Sofri e Bompressi malconci in salute, Pietrostefani latitante, riparato a Parigi. Luigi Calabresi avrebbe oggi 69 anni, se non lo avessero ucciso quella mattina, accanto alla sua 500, mentre i giornali parlavano della guerra in Vietnam» (Fabrizio Ravelli, ”la Repubblica” 1/6/2006).