Varie, 14 febbraio 2002
Tags : Barry Bonds
Bonds Barry
• Riverside (Stati Uniti) 24 luglio 1964. Giocatore di baseball. L’8 agosto 2007 stabilì il record all time di fuoricampo (756) strappandolo ad Hank Aaron. Nel 2001 stabilì il record di fuoricampo in una stagione detronizzando Marc McGwire. Il padre Bobby è nella Hall of Fame del baseball americano, il suo padrino è stato Willie Mays, da molti considerato il più forte di sempre sul diamante. cugino di secondo grado di Reggie Jackson, altra leggenda del baseball Usa. Tutta la sua carriera è compromessa dal sospetto che abbia fatto abbondante ricorso al doping (steroidi) • «La fatica più grossa è stata togliersi di dosso quell’etichetta insopportabile: ”Il figlio di Bobby Bonds” [...] Ha seminato di palline i parcheggi degli stadi, in seconda serata, con articoli di terza pagina: una copertina qua e là, nessuna fanfara [...] Non è un giovialone, uno che ama scherzare col pubblico, uno che si mette in posa per i fotografi [...] A 5 anni reggeva a malapena una mazza tra le mani, era costretto ad impugnarla quasi a metà del suo fusto. Un vizio che mantiene ancora oggi, un vizio diventato uno stile poco ortodosso ma reddititizio. in circolazione dal 1985. I Giants, fiutando la classe e l’operazione di marketing padre-figlio, lo contattarono subito. Gli offrirono 70mila dollari, ma lui ne voleva 75mila. Così disse: ”Mi verrete a cercare nuovamente e non farete questione di prezzo”. Accadde puntualmente nel 1992, dopo aver vinto il titolo di Mvp della Lega. Ora guadagna circa 20 miliardi. Tra i molteplici record, dal 1996 l’appartenenza allo speciale 40-40: almeno quaranta fuoricampo e quaranta basi rubate nella stessa stagione» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 6/10/2001). «’Prima Donna”, ”Falso”, ”Antipatico”, ”Cancro”. il migliore di tutti con mazza e guantone, sarebbe l’eroe del baseball americano, se non fosse per la sequela di nomignoli poco simpatici che gli hanno appiccicato addosso. il più bravo e il più odiato: un antieroe. Colpa del suo carattere irascibile, arrogante e riservato. Delle sue pubbliche relazioni: quasi inesistenti. Dei rapporti con i suoi fan: complicati. Non chiedetegli un’intervista, quasi sempre declinerà. Non avvicinatelo per un autografo, se ha la luna storta (molto spesso) potrebbe mandarvi al diavolo. Ci hanno provato in tanti modi a scalfire quella sua corazza da uomo duro. Un giorno questionarono quel suo comportamento poco simpatico. Rispose: ”Io sono Bonds e voi no”. Ci riprovarono tempo dopo dicendogli se sapeva cosa pensava la gente di lui: ”Non lo so. Non mi interessa, non leggo i giornali, solo la sezione dell’economia”. Invece gli interessava, eccome. Nel 2001, poche settimane prima di battere il grande record del baseball, il più spettacolare, quello dei fuoricampo, ricevette una visita nella sua stanza d’albergo. Era un agente dell’Fbi. Gli comunicava che era arrivata una minaccia di morte: ”Signor Bonds, qualcuno ha chiamato una tv di Houston promettendo di spararle prima che batta il record. una cosa molto seria”. Lui più che spaventarsi, ci rimase male. Capì che gli stadi di tutto il Paese non lo insultavano solo perché era il più bravo ed era un avversario, ma per molto di più. ” per via della razza – pensò – . Non vogliono che batta il primato del bianco McGwire”. Poi dopo quella notizia continuò a fare quello per cui era pagato: cercare di spedire la pallina il più lontano possibile. Ora voleva quel record come nessuna altra cosa al mondo. Ma per la prima volta fece caso all’odio che lo circondava. Arrivò persino a pensare che i lanciatori avversari evitassero di tirargli la pallina, preferendo che camminasse, perché volevano impedirgli di battere il primato. Invece è una tattica molto comune nel baseball: far ”camminare” il battitore quando davanti ti trovi una specie di Maradona. Quando sai che un lancio a Bonds ti può costare la partita. […] Ma lui interpretò tutto in modo diverso: forse sentì il peso di essere un antipersonaggio. Ma poi il 5 ottobre colpì la pallina tiratagli maldestramente da Chan Ho Park e stracciò il primato: ne bastavano 71 per superare il bianco McGwire, ma lui nella stessa notte colpì anche l’home run numero 72. Poi portò il record a 73. E quella sera nel suo stadio di San Francisco successe una cosa inedita, che toccò l’immaginazione di tutti: Bonds pianse. Lacrime vere. Lui, il duro dei diamanti, l’’Antipatic”, il ”Cancro” singhiozzò davanti a tutti. E arrivò a dire parole così: ”Vi voglio bene. E amo questa uniforme dei San Francisco Giants. Grazie di cuore”. Si dice che a volte certe emozioni ti fanno rivivere in pochi istanti tutta una vita. Lui si rivide bambino, a cinque anni, il figlio d’arte di Bobby Bonds, nello spogliatoio dei Giants, quando lustrava le scarpe di suo padre e del mito Willie Mays, il suo padrino, o scherzava nel salotto di casa con l’altro idolo degli americani Reggie Jackson, cugino di terzo grado. Risentì forse anche quel senso di oppressione che si deve provare quando sono gli altri che si incaricano di disegnarti il tuo futuro: sarebbe diventato un giocatore di baseball. Non aveva scelta. E avrebbe dovuto essere un campione, far meglio di suo padre, e sapeva che per molti anni avrebbe dovuto scacciare gli ingombranti paragoni. Forse quel suo carattere arrogante e irascibile si era formato proprio allora. Come una sorta di protezione. Spesso nei primi anni di carriera lo chiamavano Bobby, lui si irrigidiva e con cattiveria rispondeva: ”Io sono Barry, Barry Bonds, Bobby è mio padre”. E intanto si faceva onore. Al liceo era già un fenomeno e lo chiamavano ”Superstar”. Poi lo scelsero i Pittsburgh Pirates e solo dopo andò ai Giants, la squadra di papà. Ma le controversie non si erano mai placate. Per nove anni la bibbia delle statistiche ”Total Baseball” lo aveva invocato come miglior giocatore della stagione. Ma nessuna azienda gli aveva mai offerto una sponsorizzazione. ”Non so fare le pubbliche relazioni, io sono un giocatore e basta”, si giustificava. Solo nel 2001, dopo il record, aveva cominciato a fare spot in tv. Ma l’ira della gente era sempre lì. Persino i suoi stessi fan inviarono lettere con toni accesi: ”Che diamine, fra tanti bravi giocatori, proprio uno come Bonds doveva battere quel primato?”. Con il record si erano riaccese le voci sul fatto che facesse uso di steroidi. Lui spiega che per costruirsi più di 20 chili di muscoli e pesare ben oltre il quintale, si fa sedute di palestre da culturista. Corre tutti i giorni alle cinque del mattino e mangia sei volte al giorno, compreso una razione di creatina. E dice: ”Che bisogno avrei di doparmi, sono già bravo così”. Ma la storia del doping era riemersa puntuale anche nel 2002 dopo aver tagliato l’altro grande traguardo: il fuoricampo numero 600, che lo ha messo al 4 posto nell’olimpo dei grandissimi. Altri problemi glieli creano dichiarazioni che non piacciono alla gente come quelle pro sciopero, minacciato nel 2002 dai giocatori e poi scongiurato. Perché uno che guadagna 72 milioni di dollari per quattro anni, dicono i tifosi, deve avere più rispetto dei sentimenti del pubblico» (’La Gazzetta dello Sport” 19/10/2002).