varie, 14 febbraio 2002
BONI
BONI Franco (Francesco) Roma 1944 • «Il televenditore d’arte più celebre d’Italia [...] in tivù diventa aggressivo, istrione, prolisso, identico alla parodia che gli fece Corrado Guzzanti nell’Ottavo nano. Fuori scena, invece, è un cordiale cinquantenne romano, ironico, garbato conversatore. Non ripete la stessa frase tre volte di seguito, dimentica il fastidioso tic vocale, l’aeeh che è il suo marchio di fabbrica. Dopo un’ora di conversazione viene il sospetto che abbia una certa cultura artistica. ”Sono antiquario, figlio e nipote di antiquari, da bimbo stavo sulle ginocchia di Guttuso”. Ed ora vende quadri a Telemarket? ”Ogni antiquario vende quadri, io lo faccio con un mezzo più popolare”. Ma quando va in scena non è un antiquario, è un… ”…imbonitore? Lo dica, se lo pensa, lo dicono in tanti. Ma tanti mi ringraziano perché grazie a me hanno scoperto la pittura”. Ma lei non è un professore, Boni, lei è un teledivo. La riconoscono per strada, la imitano, parlano di lei nelle chatline di Internet… ”Un po’ di talento d’attore in questo mestiere fa comodo”. Altro che un po’. Boni è un animale da studio. Parla senza mai perdere il filo per le tre ore filate della sua diretta quotidiana, s’aggira felino sulla moquette grigia, borbotta, grida, sussurra, lusinga: ”Questo quadro ve lo vendo a 3 mila euro, aeeh, ma fra un anno un direttore di museo ve lo vorrà comprare per 10”, decanta: ”il numero 26 è un artista grande, aeeh, un artista fantastico, un artista enorme…”, sgrida: ”M’avete preso il 35 e mi lasciate il 48? Ma allora, aeeh, lo compro io…”. ”Vendere arte è un’arte”, spiega lontano dalla telecamera, ”non è come vendere pentole. Per carità, gli altri li guardo, Baracco, Roberto da Crema, non li disprezzo, anzi li studio, ma ho la mia tecnica”. E funziona? Sorride: ”Io non vendo quadri, vendo emozioni. Conosco l’effetto delle parole. So giocare coi toni, so con certezza a che punto arriverà la telefonata del cliente”. E se non arriva? ”Arriva, arriva” [...] Il serbatoio di Telemarket sono i pittori-fornitori a contratto, che probabilmente devono rispettare quote di produzione. ”Sì, visto il mercato che possiamo garantire, gli artisti a contratto possono essere invogliati a lavorare più per la quantità che per la qualità. Ma poi emergono solo i bravi, e sono pochi”. Ma lei, Boni, li propone tutti... ”Devo farlo, Corbelli mi paga per questo, e francamente mi paga bene. Ma lo faccio con diverso entusiasmo. Nel mio cuore e sulle pareti di casa mia ci sono solo dieci firme”. Quali? ”Non lo posso dire”, ride, ”non mi passano neppure le telefonate dei clienti, per paura che dica quello che penso davvero”. Dei quadri che ha televenduto in quindici anni, ha perso il conto; sa solo che il primo fu uno Schifano, e il colpo più grosso ”un Picasso da un miliardo e qualcosa, un olio piccolo, un po’ tardo ma carino”» (Michele Smargiassi, ”la Repubblica” 4/1/2001).