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 2002  febbraio 14 Giovedì calendario

BONOLIS

BONOLIS Paolo Roma 10 giugno 1961. Conduttore tv. «[...] Va in video, lo guardano a milioni, supera indenne qualunque polemica, vince su tutta la linea. Non convince? Pazienza, da quando in qua serve convincere in tv, e poi chi lo ha detto che non convince? L´importante è vincere, anzi, stravincere, firmato Paolo Bonolis e la sua lunga storia da predestinato alla gloria televisiva. La gavetta. Lunga e insistita, caratterizzata soprattutto dal decennio o quasi passato a Mediaset gestendo programmi per bambini. Era chiaramente sprecato, alla fine qualcuno se n´è accorto. I primi programmi ”per grandi” si chiamano I cervelloni (in Rai), poi il ritorno a Mediaset per la lunga stagione di Ciao Darwin, poi Striscia la notizia, poi il trionfale riapprodo in Rai. Spregiudicatezza. Non serve un´analisi approfondita, si vede a occhio nudo. Se è il caso, Bonolis non si ferma davanti a nulla. In Ciao Darwin su Mediaset prese a far superare ai concorrenti prove del tipo: sdraiarsi per terra e farsi abbracciare da un alligatore (vero). In uno dei suoi pochissimi flop, Italiani, lui e Laurenti entravano in scena in questo modo: si infilavano in un cunicolo che era sagomato come un intestino umano e sbucavano in scena da una sorta di buco nero (sì, il riferimento era proprio quello). A Domenica In ha abbinato con voluttà la gravidanza di una signora fino a far nascere il bambino quasi in diretta, all´intervista (tutta da dimenticare) al pluriomicida Donato Bilancia, tra polemiche feroci in mezzo alle quali lui è passato come una salamandra nel fuoco. A Sanremo, con tecniche simili, ha fortissimamente voluto Mike Tyson e nessuno è riuscito a fermarlo. Il buonismo. Continuamente esercitato in parallelo all´estremismo televisivo. Cause nobili, maternità in diretta, i bimbi del Darfur (portando in primo piano uno spaventoso dramma dimenticato da tutti), a Domenica In una importante raccolta di danaro a favore dell´Ospedale Bambin Gesù per il reparto pediatrico. Il pubblico. Nessuno ha un pubblico più trasversale di lui. Lui - un po´ alla buona - offre diversi livelli di lettura. Viene percepito come uno immediato e che parla bene dalla popolazione anziana, i più giovani ne apprezzano le sfumature ironiche, e comunque a questi livelli di ascolto non c´è confronto: piace a (quasi) tutti. Il linguaggio. Affabulatore sommo, di progetto. chiaro che si diverte come un matto a infilare citazioni dotte (ogni tanto proferite a caso) e linguaggio forbito anche nelle chiacchiere più comuni. La reazione del pubblico è spesso un ”ohhhh” di meraviglia, qualunque cosa abbia detto, qualunque cosa volesse dire. Il motto: perché esprimere un concetto con dieci parole quando se ne possono usare cento e riempire più spazi televisivi? I modelli. Bonolis è un frankestein costruito con pezzi dei grandi dell´entertainement televisivo e non solo, del passato. Non è una diminutio (direbbe lui) ma una professione di umiltà. Il riferimento più diretto è a Corrado, di cui ha mutuato espressioni, tic, modo di porgersi, ironia in scena. Ma ammicca a Totò, spesso, e ad Alberto Sordi. Non ha nulla di Baudo né di altri grandi, trasforma l´ufficialità del ruolo in ammiccamenti costanti al pubblico, poi trasforma il tutto nel suo lessico da intellettuale di borgata, detto come un complimento. Il sistema di potere. Tra i più potenti nel panorama tv. Un manager, Lucio Presta, solidissimo, e da Affari tuoi in avanti anche il sodalizio di ferro con la Endemol, potentissima casa di produzione, quella del Grande Fratello. Con una simile corazzata a disposizione, e solo grazie a quella, è riuscito a resistere alle bordate micidiali lanciategli addosso per mesi e mesi da Antonio Ricci da Striscia la Notizia. Non c´era mai riuscito nessuno, lui ha capovolto i rapporti di forza in tv. Ormai può chiedere quello che vuole, andare dove vuole, e stabilire lui il prezzo» (Antonio Dipollina, ”la Repubblica” 4/3/2005). «C’è stata un’epoca Bongiorno. C’è stata un’epoca Baudo. Ora c’è un’epoca Bonolis. [...] La fortuna di Bonolis [...] è che è stato molto bravo a riempire il grande vuoto della tv italiana, a dare voce e corpo a programmi che ne erano ormai totalmente privi (in questo ricorda molto l’avventura politica di Berlusconi). Il suo stile è una riuscita operazione alla Frankenstein: un pezzo di questo, un pezzo di quello e via andare (e anche in questo ricorda molti nostri attuali governanti). Fa ridere, se non con le barzellette, certo con un linguaggio maccheronico, con molte ”totoate”, con molti omaggi all’italiano medio effigiato da Alberto Sordi. un vincente o tale appare. Appunto: berlusconiano in apparenza ma ormai non più nei fatti, svincolato dopo un famoso sondaggio domenicale in cui irrise re Silvio al grido di ”Basta!”, e un’intervista in cui prese le distanze da Forza Italia (tanto che il badiale Sandro Bondi e un gruppo di deputati della Casa delle Libertà gli hanno mosso guerra)» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 1/8/2004). «’Romano de Borgo Pio”, come dice lui, [...] dall’eloquio esagitato che manderebbe in tilt un logopedista. [...] Grande affabulatore di una televisione un po’ ignorante che cade sempre nel pesante (e non ne avrebbe bisogno perché è un uomo spiritoso), in cui shakera omosessuali, casalinghe goderecce, uomini di culto e bambini in carriera, è diventato il simbolo del modello televisivo che usa sapientemente il trash. E fin qui sarebbe ai livelli più alti della norma. Ma quel che ne fa un fuoriclasse è l’essere riuscito nella straordinaria impresa di meridionalizzare la tivù del Nord. Trasformando il canale di proprietà del Cavalier Berlusconi, prototipo e icona della Lombardia e dei suoi miti, diretto da Giorgio Gori, tosto cittadino di Bergamo Alta, in una succursale genere festa de’ noantri, stile marchese del Grillo, dal tono dei matrimoni ai Castelli. Una vera televisione all’amatriciana. Il contrario di quella di Fabio Fazio. Tanto è freddino, buonista, grazioso, teorico del recupero l’uno, tanto è cinico, arguto, un po’ greve l’altro. Ma i due sono i capiscuola dei nuovi grandi filoni della conduzione televisiva, post Bongiorno, post Baudo, post Corrado. Fabio e Paolo sono lontani e diversi. Ma uniti in qualcosa. In un paese che invecchia, puntano a una comunicazione infantile, quella di una generazione che non vuole crescere: ma Fazio è il bambino giudizioso, Bonolis è quello che fa scoppiare in mano la bombetta puzzolente al bambino più imbranato, ridicolizzandolo davanti a tutti. Battute pesanti (" ingrifato come un bufalo", "Sai fare le puzzette?", letterali citazioni da "Ciao Darwin" e da "Chi ha incastrato Peter Pan") e una spalla leggera, Luca Laurenti, voce da paperino, amico con cui ha vissuto anni di gavetta bohémienne, che lo segue come un’ombra o meglio "come Cip fa con Ciop", spiega Bonolis. Una coppia alla Totò e Peppino in salsa romana (il conduttore è un feticista del comico napoletano e della sua gestualità) garanzia di boom degli ascolti. [...] Ma cos’ha di tanto speciale Paolo Bonolis? La sua peculiarità è l’essere normale. E enfatizzare le sue imperfezioni: per capirci, se fosse calvo, non si farebbe mai il trapianto. Infatti porta baldanzosamente in giro i suoi occhiali da vista, come ha sempre fatto Mike (Frizzi se ne è liberato optando per le lenti a contatto). "So’ cecato", dice continuamente rimettendosi a posto le lenti. Cecato ma anche sordo. "Cheeee?", chiede piegando l’orecchio e argomentando: "Da sta’ parte nun ce sento". Come tutti i non udenti, urla a più non posso. Ha raccontato più volte di essere stato balbuziente ("Tartagliavo, poi me sò sbloccato. Mio padre c’aveva ragione: "Nun te preoccupà, passa"", mi diceva). Un mito? Al contrario: uno che ha problemi comuni a tutti. E che ha inaugurato un nuovo modello di conduzione: quella fisica. Suda come un box doccia: a "Beato tra le donne", trasmissione che lo lanciò nel ’95 su Rai Uno con punte del 43 per cento di share, salutava il pubblico completamente zuppo. " So’ fradicio", commentava, senza mai correre ai ripari con truccatrici e costumisti. Quando è in onda, si muove freneticamente ignorando le telecamere che lo inseguono per lo studio. Col ritmo nelle vene Nell’era della comunicazione contratta, dove la lentezza viene cassata dal telecomando, ha il ritmo nelle vene, osserva Maurizio Costanzo: " energico, maneggia lo spazio, destruttura la macchina televisiva. Ed è sempre dalla parte del pubblico: non è mai soggiogato dall’ospite importante. Ha quel disincanto del romano che conosce il potere da vicino". La teoria di Costanzo è confortata dalle parole di Bonolis: "Anche il vip più vip dopo qualche minuto puzza". Pignolissimo, autore di se stesso (annota, sviluppa da solo e poi concorda con Marco Luci, Stefano Magnaghi, Federico Moccia), Bonolis ha sempre detto di parlare a ruota libera. In realtà il suo linguaggio a raffica è frutto di un’astuta mistura di trasteverino (con cui ammicca al pubblico) e di termini colti (con i quali fa capire che è uno di livello). In bonolisese le ballerine sono "il corpo di ballo"; il gioco "la disfida in cui cimentarsi"; così, diventa "dacché"; prima è "poc’anzi". Ma le belle ragazze sono "bbone" e la vichinga è, naturalmente, "una sellerona". Questo misto di coattagine e di linguaggio forbito si ritrova nel contrasto tra titoli e contenuti dei suoi programmi: il gioco tra squadre che in quasi tutte le puntate è sconfinato nel becero (machi e omosessuali, liftate e non liftate, maggiorate e no, per citarne alcune), si rifà all’antropologo Charles Darwin. Così come la trasmissione sui bambini scomoda Peter Pan, personaggio fiabesco che dà anche il nome alla sindrome della giovinezza. Bonolis è dunque un profondo conoscitore dell’animo del telespettatore del Duemila, caciarone popolare, amante di una volgarità che ha l’alibi delle buone letture? "Forse. Ma deve stare attento. Cammina troppo sul filo della battutaccia, della faciloneria romana", osserva Agostino Saccà [...]: "Funziona finché azzecca i programmi. Il pubblico è formato da sadici e da masochisti. Con il suo tipo di conduzione Bonolis li acchiappa tutti e due. Ma alla prima mossa sbagliata, gli si possono rivoltare contro. Credo debba strutturarsi di più, curare meglio l’aspetto autorale. Se non lo fa, rischia di bruciarsi"» (Denise Pardo, ”L’Espresso” 6/4/2000).