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 2002  febbraio 14 Giovedì calendario

Borgnine Ernest

• (Ermes Effron Borgnino). Nato a Hemden (Stati Uniti) il 24 gennaio 1917. Attore. «Figlio di immigrati italiani, trascorre parte dell’infanzia a Milano, studia negli Stati Uniti, si arruola in marina nel 1935 e si congeda dopo dieci anni. Incoraggiato dalla madre a studiare recitazione, comincia dal teatro e si fa conoscere al cinema con il ruolo del sergente sadico in Da qui all’eternità di Zinnemann (1953). La parte del sensibile innamorato in Marty vita di un timido (1955) di Delbert Mann gli fa vincere un Oscar, ma il suo volto caratterizza più spesso personaggi di contorno malvagi e perdenti [...]» (Cinema, a cura di Gianni Canova, Garzanti 2002). «C’è stato un momento nella lunga carriera del formidabile [...] Ernest Borgnine (per noi Ernesto Borgnino, madre di Carpi, nonno conte), in cui non poteva mostrarsi in pubblico. Era il 1954 e aveva appena ucciso la recluta Maggio, cioè Sinatra, in Da qui all’eternità, il famoso film sull’esercito Usa all’epoca di Pearl Harbor. Gli americani non lo perdonavano: ”Andavo in auto e la polizia mi inseguiva e mi multava dicendo: ’Abbiamo qui quel figlio di p... di Fatso, diamogli una lezione’. Mi era difficile anche farmi servire una pizza: ’Guarda chi c’è a tavola, quello str...’”. Sono seguiti da allora 150 film, è orgoglioso di tutti, i flop come i best seller tipo Quella sporca dozzina: non è cattivo, lo disegnano così i registi. [...] specializzato in ruoli sadici (il capotreno killer indimenticabile dell’America depressa in L’imperatore del Nord) pur essendo un gigante buono: ”Sono un attore, no?”. Accettò il ruolo del timido macellaio di New York come una sfida: ”Era un film neo realista, girammo in 18 giorni con 260.000 dollari, io ne presi 5000, ma la cosa buffa è che i produttori Hecht e Lancaster lo facevano apposta per perdere soldi. Avevano guadagnato troppo con altri film e c’era una questione di tasse. Invece il film fu un trionfo e io presi premi ovunque, anche a Cannes. L’Oscar? Una sorpresa: quando Grace Kelly lesse il mio nome, giuro che non me lo aspettavo. Avevo contro James Dean, Cagney, e due amici come Tracy e Sinatra”. Di quella vecchia Hollywood conosceva tutti. Tutti amici? ”No, gli amici erano pochi, William Holden, Lloyd Bridges, Anthony Quinn, Red Buttons, maho lavorato con molti. Il più buono? Gary Cooper, che il cinema lo sentiva di pelle, non sbagliava mai. Umanamente era unico. Quando giravamo Vera Cruz aiutava i ragazzi messicani, dava loro il suo cestino, era disponibile, più di Lancaster che era nervoso e molto impegnato con se stesso. Montgomery Clift era introverso, si sentiva che non poteva proclamarsi gay, allora voleva dire stroncarsi la carriera: era sensibile, voleva dirti qualcosa ma non poteva ed era capace di boxare 30 ore di fila come nel film di Zinnemann, senza controfigura. Tracy era una persona squisita, di Joan Crawford avevano tutti paura e sul set di Johnny Guitar la povera Mercedes Mc Cambridge esitava a puntarle il fucile contro. Lei era una regina, sul set alle 4 del mattino per il trucco. Anche Bette Davis, con cui ho recitato in Pranzo di nozze, era fantastica: una volta provammo tutta la notte nuove battute del film, poi io mi misi a guardare il baseball in tv e lei volle saper tutto. Marilyn? Sì, la conobbi a una festa che la Fox aveva preparato per accogliere Krusciov agli studios: ma tutto quello che le ho strappato fu che il pranzo era stato buono”. E Brando? ”L’ho avuto solo come vicino di casa, ma non ho mai capito il modo di recitare di quelli dell’Actor’s Studio: l’attore deve dosare cuore e cervello. All’università di Yale ne parlai per ore, nessuno se l’aspettava che fossi capace anch’io” [...] Non è stata servita su un piatto d’argento la carriera di Ernesto. Fece 10 anni di Marina sedotto dal poster ”Join the Navy”: ”Sei anni in guerra, 4 per mangiare tre volte al giorno e per i 28 dollari al mese. Era l’epoca della depressione”. Poi, tornato a casa, si sentì dire dalla madre: ”Perché non fai l’attore?”. ”Fu sua l’idea, così l’Oscar lo dedicai a lei. Andai in una scuola dove mi misero il tutù e dissi: no, grazie. Arrivai in Virginia, aggregandomi a un gruppo teatrale attivo in cui feci di tutto e la gente ci ripagava anche con il cibo. Il primo provino per il cinema lo feci a New York per Siodmak: mentre aspettavo l’ora, mi rifugiai nella chiesa della Quinta Strada, avevo 10 cent in tasca, chiesi un ’appoggio’. E fui preso, anche se per dire solo una battuta, non memorabile: ’Shit’, una parolaccia, ma insieme a Dorothy Gish e Lloyd Bridges. Quando Zinnemann mi volle in Da qui all’eternità io avevo una paga di 700 dollari alla settimana mentre Sinatra ne prendeva solo 125 perché Harry Cohn, boss della Columbia, non lo voleva, lo considerava solo un cantante: poi, quando Frank vinse l’Oscar disse che era tutto merito suo”. Ha fatto il protagonista e il caratterista - anche un film con De Sica in Italia, il Giudizio universale - il clown in ospedale per i bambini. Quando ci sono gli Oscar in tv si mette accanto il suo. ”Sei film con il grande Aldrich, che era stato assistente di Chaplin e quando si ammalò si lasciò morire: fu lui a dire che Marty ero io. Un pazzo con un occhio solo era invece Andrè de Toth che nel primo western in 3D mi fece fare una discesa da pazzi a cavallo; Carpenter e Ray erano grandi timidi, Peckinpah buono con gli attori e perfido con i tecnici, non l’ho mai visto in faccia, portava sempre occhiali scuri: un giorno ho finalmente visto le lacrime scendere sotto le lenti e allora finalmente dissi: ti ho scoperto!”. Tanto teatro, anche La strana coppia di Simon. ”Quando ebbi paura di non ricordare le battute mi feci aiutare dall’ipnosi. Fu fantastico, in poche ore imparai tutto un monologo”. Borgnine ha avuto 3 figli e 5 mogli: una per soli 32 giorni (era la star di Broadway Ethel Merman), un’altra l’attrice messicana [...]» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 21/6/2005).