Varie, 14 febbraio 2002
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Borg Bjorn
• Sodertalje (Svezia) 6 giugno 1956. Ex tennista. In carriera ha vinto 11 titoli del Grande Slam (cinque Wimbledon e sei Roland Garros), 2 Master a New York, 2 volte Roma e 1 volta la Coppa Davis, oltre ad altri 47 tornei. «La vita un po’ fa sempre male. Bjorn Borg l’ha incontrata tardi, a 28 anni, perchè a forza di tenere gli occhi sulla palla non si era accorto di cosa c’era al di fuori di quel campo da tennis che usava come casa. C’era la libertà e la follia di fare tutto quello che non aveva mai fatto, donne sposate e lasciate, rifiutate e sbagliate, feste piene di cocaina e notti insonni frantumate di roipnol, persino un tentativo di suicidio a testimonianza della grandezza e della fragilità di quel cervello, perfetto finchè è durata la carica. Il possesso ha questo di malvagio, genera infelicità, hai tutto e non desideri più nulla. Per cambiare il tennis così velocemente Borg è stato costretto a consumarsi tutto, anche l’anima; e così, la prima volta che è venuto a rete, la vita l’ha infilzato con un passante. L’unica che sia riuscita davvero a batterlo di brutto. Sembrava un dio caduto sulla terra, Borg: alto, biondo, regale, fatale, con due spalle così e due gambe sottili capaci di rincorrere l’orizzonte venturo come una personalissima ossessione. Aveva un dritto in top-spin come i giocatori di ping pong e un rovescio a due mani che non si era mai visto, talmente anticipato che la palla tornava indietro ad una velocità supersonica. Aveva anche un’altra prerogativa, Borg: non sbagliava mai. E per difendersi ancora meglio aveva inventato il lift, l’effetto esasperato della palla che poi avrebbe prodotto un’intera generazione di arrotini maledetti. Vincere per lui era solo una questione di tempo, si trattava solo di vedere quando l’avversario sarebbe stramazzato a terra. Un giorno Barazzutti ci perse 6-0, 6-1, 6-0, si scusò per avergli tolto quel game e poi disse in sala stampa: ”Quello lì è come Gesù Cristo, sarebbe capace di giocare bene anche sull’acqua”. Giocava con una Donnay di legno con le corde tese a 34 chili, per quel tempo un’assurdità visto che McEnroe tirava il budello a 23 e mezzo e Connors arrivava giusto a 26. Tutto era cominciato proprio da quella racchetta che il papà aveva vinto a un torneo di ping pong e aveva regalato al figlioletto. Bjorn aveva preso a tirare palle contro la serranda del garage, ma era troppo piccolo per quel racchettone e così per fare il rovescio decise di usare tutte e due le mani, felice di farcela. Beh, quando un bel giorno Bjorn fa un buco nella serranda con un top-spin più riuscito degli altri, il padre invece di chiamare un fabbro chiama un maestro, Percy Rosberg, che resta sbigottito davanti allo stile del ragazzo. ”Il diktat della federazione era di correggere i giovani sin dall’inizio - dirà poi Rosberg - ma in quel caso lasciai tutto come stava. Capii che sarebbe diventato un fenomeno dalla luce che avevano i suoi occhi”. Difatti, da lì in poi la carriera di Bjorn si srotola vertiginosa e fantastica: a 14 anni strapazza gli avversari nei tornei under 18; a 15 debutta in Coppa Davis; a 17 batte il grande Arthur Ashe agli Open Usa; a 18 fa bum e vince Roma e Parigi. Gioca sempre con quella racchetta, la Donnay di legno che per i suoi tifosi diventa un cult, ma durante le due settimane del Roland Garros ne rompe 47. Il pubblico assiste sbigottito; i tecnici sgranano gli occhi e vanno a rivedersi i libri di testo senza trovare nulla che si avvicini allo stile di Borg; gli avversari escono rimbambiti da incontri che sembrano esecuzioni; in Svezia diventa più famoso di Greta Garbo. Borg non ha altri interessi. ”La cosa che mi piace di più è il suono della palla quando viene colpita dalla racchetta’ dice a un perplesso giornalista di ”Playboy’. Va a letto con le galline e si alza con i galli. Fa allenamenti matti e disperati. Non suda. Non si stanca. Non protesta. Parla poco. Vince sempre. E prende a convivere con il suo coach Lennart Bergelin che diventa il suo pigmalione. lui che ordina al ristorante. lui che gli lecca i francobolli sulle lettere. lui a dettargli i tempi di vita, camera di hotel, allenamento, camera di hotel, gara, camera di hotel e luci spente. Bergelin è la serranda tra Borg e la vita e anche tra Borg e le tasse, come dimostra la nuova residenza a Montecarlo e i primi affari con la nuova società Bjorn Borg Enterprise per gestire il fiume di denaro e la marea di investitori che stanno addosso al nuovo profeta del tennis. ”Ok, sarà pure forte, ma è un pallettaro e non vincerà mai Wimbledon” lo bolla Newcombe. E invece Bergelin, il meccanico dell’uomo bionico, porta Borg in officina, gli costruisce un nuovo servizio più secco e gli modifica il passante. Così, quando Borg travolge in finale Nastase, Wimbledon impazzisce e le sloane rangers, le parioline di Londra, ne fanno il loro nuovo idolo. Si salva a stento dalle fans urlanti grazie alla scorta della polizia, poi gli tocca fuggire dagli spogliatoi assaltati calandosi dalla finestra del bagno. Verranno quindi cinque Wimbledon consecutivi e sei Roland Garros, mentre resta stregato l’Open Usa con quattro finali tutte perse. Immortali le sfide con Connors e McEnroe, ma indimenticabili anche quelle con Panatta, forse l’avversario che Borg ha sofferto di più perchè micidiale col servizio e geniale con la palla corta che gli rompeva il ritmo. Su tutto, regna comunque il tie-break del quarto set nella finale di Wimbledon del 1980 con McEnroe, chiuso 18-16 e ancora oggi considerato il padre di tutti i tie-break: 32 colpi vincenti su 34 punti giocati, incredibile. Ma Borg già soffoca. Potrebbe avere tutte le donne del mondo ma a fine anno sposa a sorpresa con rito greco ortodosso Mariana Simionescu, una tennista decisamente bruttina e scarsuccia. Forse cerca proprio questo, solo un po’ di normalità, ma è già fuori di testa quando nel 1983 e a soli 27 annuncia ”basta, mi ritiro, non ne posso più”. Ingaggia così una partita durissima con la vita, molla la moglie e si mette con una fotomodella di 17 anni, Jannika Bjorling, con la quale fa un figlio, Robin. Paga una barca di soldi e lascia pure lei, poi nel 1989 si sposa con Loredana Bertè, di sei anni più vecchia, quella che non era una signora e che lo dimostra subito a palazzo, davanti a re Gustavo di Svezia, vestendosi ancora peggio di una rockstar. Il matrimonio è un tormento e si va dall’ospedale al tribunale fino all’ennesimo miliardario divorzio. Fallita la società, vendute due ville, bisognoso di soldi, Borg azzarda l’eterno desiderio del ritorno, quel che resta di lui contro il resto del mondo, la solita Donnay di legno davanti alle spade di Star Trek in carbonio dei nuovi rivali. Sarà un fallimento. Per il suo genio ci sarebbe voluto più rispetto» (Marco De Martino, ”Il Messaggero” 18/1/2002).