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 2002  febbraio 14 Giovedì calendario

BORRELLI Francesco Saverio

BORRELLI Francesco Saverio Napoli, 12 aprile 1930 - Milano, 20 luglio 2019. Ex magistrato (1955-2002). Dal 1992 al 1998 capo della Procura di Milano, divenne noto durante l’inchiesta del pool “Mani Pulite”. Dal 1999 alla pensione procuratore generale della Corte d’appello milanese, in seguito fu capo dell’ufficio indagini della Federcalcio (maggio 2006-giugno 2007) e presidente del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (marzo 2007-aprile 2010) • Nato dal secondo matrimonio del magistrato Manlio Borrelli con Amalia Jappelli, detta Miette. Ha due fratelli maggiori e una sorella minore. La famiglia si sposta per due anni a Lecce e poi, nel 1936 a Firenze dove Francesco Saverio frequenta le scuole fino alla maturità al liceo classico Michelangelo. Nel 1952 ai laurea in giurisprudenza con Piero Calamandrei. Il titolo della tesi è Sentenza e sentimento. Nello stesso anno prende il diploma di pianoforte al conservatorio Cherubini. Nel 1953 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove il padre corona la carriera con il posto di presidente di Corte d’appello. Vinto nel 1955 il concorso per entrare in magistratura, trascorrerà vent’anni al Civile, prima in Pretura, poi in Tribunale occupandosi di fallimenti e diritto industriale, infine in Corte d’Appello. Nel 1957 sposa Maria Laura Pini Prato, insegnante di inglese che conosce dagli anni dell’università a Firenze. La coppia avrà due figli: Andrea che oggi fa il magistrato a Milano, e Federica che è archeologa. Passato al Penale, dal ’75 all’82 è in corte d’Assise nel periodo del terrorismo. Nel 1983 arriva alla Procura della Repubblica, ufficio del quale diventerà capo cinque anni dopo. Dal ’92 al ’98 capo della Procura di Milano, sotto la sua guida, con l’arresto di Mario Chiesa, nel febbraio del ’92, prende l’avvio l’inchiesta che si chiamerà Mani pulite e che porterà alla lunga stagione di Tangentopoli. Tra i suoi atti giudiziari più clamorosi, l’invito a comparire fatto recapitare all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi mentre a Napoli presiedeva un vertice internazionale sulla criminalità. Il 17 marzo 1999 è nominato procuratore generale della Corte d’appello milanese. Nell’aprile 2002 lascia la magistratura per raggiunti limiti di età. Il 12 gennaio dello stesso anno aveva aperto il suo ultimo anno giudiziario lanciando lo slogan: «Resistere, resistere, resistere» • «Borrelli che festeggia incredulo la nomina a procuratore. Borrelli che scoppia a piangere per il suicidio di Gabriele Cagliari. Borrelli che consola i cittadini in coda davanti alla Procura di Tangentopoli. I ricordi dei “suoi” carabinieri, tre militari che, al suo fianco per quasi vent’anni, disegnano un ritratto diverso dalla figura istituzionale del procuratore generale di Mani Pulite. “Per noi è come un padre - spiega Angelo Gallo, che lavora per Borrelli dal 1983, prima come tutela armata e poi come segretario-factotum -. La sua dote più grande è una straordinaria umanità, che dall’esterno forse non si apprezza. Potrei fare mille esempi. Nei mesi più caldi di Mani Pulite, tra il ’92 e il ’93, quando in questa Procura si presentavano centinaia di denuncianti da tutta Italia, lui riceveva tutti, li ascoltava uno per uno e poi li consigliava, indirizzava, rassicurava. Ecco, Francesco Saverio Borrelli ci ha insegnato questo: che la legge è uguale per tutti e che tutti hanno diritto di essere trattati come cittadini”. “Ero in ascensore con lui quando lo informarono che l’ex presidente dell’Eni si era ucciso a San Vittore - testimonia il carabiniere Pasquale Minniti -. Scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani. Si sono fatte tante polemiche per i suicidi di Tangentopoli, ma io non l’ho mai visto soffrire come in quei momenti”. “Sì, anch’io penso che quella sia stata la settimana più brutta della sua vita - ricorda Alberto Ruggiero, il terzo militare della procura generale -: i suicidi di Cagliari e Gardini, la strage di via Palestro... La tensione, la paura di quei giorni terribili lo hanno segnato profondamente”. Per i tre carabinieri, Borrelli è soprattutto “un uomo sereno ed equilibrato, che non si è mai montato la testa, nemmeno quando centinaia di fax, lettere e telefonate lo acclamavano ogni giorno come eroe”. “Nel 1988, quando lo nominarono procuratore, quasi non ci credeva - racconta Angelo, che lo scortò nel nuovo ufficio -. Da militare, posso dire che non ci ha fatto pesare i suoi gradi. C’è un aneddoto che lo riassume: nel ’92, tra i tanti cittadini che venivano a chiedergli giustizia, si presentò un signore napoletano che, in segno di rispetto, si sentì in dovere di togliersi le scarpe. Borrelli rideva: “Ma cosa fa, io non sono un santo... Sono uno dei tanti servitore dello Stato, cioè di voi cittadini”. Dallo scherzo era già passato ai discorsi seri: spese mezz’ora a spiegargli che Milano non era competente, che c’erano pm bravissimi anche nella sua città, che non bisogna perdere la fiducia nella giustizia”. All’“ingiustizia di certe critiche” pensa invece il suo collega Alberto: “In più di 15 anni non l’ho mai sentito parlare una volta di politica. Ha sempre fatto il suo lavoro onestamente, senza guardare né a destra né a sinistra”» (“Corriere della Sera” 5/4/2002) • «Anche in pensione, anche lontano dal potere e dai riflettori, Francesco Saverio Borrelli mantiene fede alla propria immagine di magistrato inflessibile e di uomo seduttivo. Mostra i modi un po’ spagnoleschi dell’antica educazione napoletana, ma tiene fermo sull’interlocutore lo sguardo vigile della lunga esperienza di inquisitore. [...] ha il linguaggio, l’abilità e l’ironia che ci si aspettano da lui. Ma attimi di turbamento e qualche timidezza raccontano anche una persona più duttile, e più interessante, del monumento che ci è stato tramandato. [...] fu soprannominato “il grande inquisitore”. “Già, c’è chi ha fatto di tutto per screditare il nostro lavoro, anche attraverso i soprannomi. Pochi sanno peraltro che sono finito a fare il pubblico ministero per caso e, pur avendo fatto l’inquirente con scrupolo, la mia vera passione sarebbe stata quella di tornare a fare il giudice, specie nelle cause civili. Non compro i libri di diritto, ma sono attratto intellettualmente dal sottile meccanismo della sentenza, dal rapporto tra fatto e norma. Non dimentichi che sono figlio, nipote e pronipote di magistrati”. La magistratura come Dna? “Come cultura familiare, come milieu fin dall’infanzia. Ricordo che da bambino spesso non potevo fare chiasso perché papà stava scrivendo una sentenza. A quel tempo il lavoro del magistrato, specialmente se civilista, si svolgeva in casa. Forse viene da lì la mia passione per le sentenze. Anche per la tesi di laurea, incoraggiato da Piero Calamandrei scelsi come tema Sentimento e sentenza Cercavo di indagare la delicata funzione dell’interpretazione [...] Non esiste applicazione meccanica di una regoletta. La scelta del formalismo, invece del sostanzialismo, è solo un modo per proteggersi le spalle e non prendersi responsabilità. La sentenza è condizionata da un insieme di fattori, non ultimo la nostra visione politica del mondo. Intendo politica in senso alto, naturalmente. Bisogna solo cercare di essere consapevoli dei propri fondamenti culturali, che possono anche risalire alla più tenera età” [...] Che rapporto aveva con suo padre? “Difficile. Era un uomo di grande presenza, un ex ufficiale di cavalleria con tratti dannunziani e qualche rigidità del carattere. Mi metteva paura. Se a tavola mi guardava con severità, scoppiavo a piangere prima ancora che parlasse. Poi l’ho imitato in tutto, nella professione, nell’amore per Wagner, nel piacere di andare a cavallo. Lui non faceva nulla per farsi temere: in tutta l’infanzia non ha mai alzato le mani su di me”. Anche suo figlio è magistrato e anche lui deve essere stato un genitore piuttosto ingombrante. “Purtroppo credo di sì. Persino più di mio padre. Ho notato in molti casi che noi magistrati non siamo dei buoni educatori in famiglia. Io, che pure non ho mai preso uno schiaffo da mio padre, non ne ho lesinati a mio figlio”. Se ne pente? “Ora sì. Ma è tardi per riparare”. [...] Ha avuto una bella infanzia? “Normale, credo. Anche se segnata da una forte timidezza e da un trauma che un adulto cattivo mi ha inferto quando avevo sette anni [...] Sono un figlio di secondo letto, ma non avevo mai saputo che i miei fratelli avessero avuto un’altra madre, morta quando erano piccolissimi. Nessuno mi aveva mai detto nulla. Me lo rivelò quell’uomo stupido ridacchiando: ’Ma che fratelli, i tuoi sono fratellastri’. Fu uno shock tremendo. Corsi a casa disperato. Volevo sapere, capire [...] i miei avevano voluto salvaguardare l’uguaglianza tra fratelli: non dovevo sentirmi un privilegiato perché io avevo entrambi i genitori. Mi chetai, ma mi restò a lungo una fantasia di abbandono, il timore, che più tardi ho saputo comune a molti bambini, di essere un trovatello. Tremavo nel mio lettino e pregavo che non fosse così” [...] è cattolico? “Non so nemmeno io che cosa sono. Ho ricevuto, come tutti, un’educazione religiosa e me la sono trascinata fino ai 18, 20 anni. Me ne sono allontanato perché a un certo punto non ne ho tratto più alcun beneficio, né filosofico, né morale. Mi resta qualche piccola superstizione, come il santino che una bella suora mi donò in prima elementare. Credo che lo terrò nel portafogli fino alla morte [...] Mi angoscia l’idea di piombare nell’assenza di tutto. Penso che neanche la fede mi aiuterebbe perché trovo altrettanto annichilente il concetto di immortalità come viene concepito dalla religione. Non vorrei una protrazione della vita al di là di quella soglia che cancellerebbe i ricordi, gli affetti , le gioie che nella mia vita sono state superiori ai dolori [...] mi reputo fortunato. Ho ricevuto dalla vita molto più di quanto mi aspettassi. Per questo trovo orribile che tutto ciò che si è avuto, si è amato e goduto sparisca nel buco nero della morte” [...] una volta ha detto: ’Vivo in compagnia di un disordine dionisiaco negli strati bassi della psiche” [...] “Ho detto davvero così? Sono stupito di aver trovato una definizione tanto puntuale e felice. Vuol dire che c’è in me un sottofondo in continua ebollizione, che non si placa mai. Lo tengo a bada con la potente lastra della timidezza. Ma chissà che un giorno non superi la barriera e venga allo scoperto”» (Stefania Rossini, “L’espresso” 29/1/2004) • Nel maggio 2006, in piena Calciopoli, fu chiamato a guidare l’ufficio indagini della Federcalcio: «[...] “Rifiutare mi sembrava una vigliaccata”. A 76 anni, dopo quattro di pensionamento, rieccolo in prima linea. “È stata ferita l’etica sportiva, tradita con violenza una passione della collettività [...] Tangentopoli fu qualcosa di simile, la gente si ribellava a comportamenti che offendevano il senso civico. Sarebbe stato bello che la musica fosse cambiata; purtroppo non è così” [...]. Nella sua vita ha messo piede allo stadio due volte: la prima era a Firenze, da studente del conservatorio. La ragazza che corteggiava era un’appassionata di calcio e lui aveva dovuto seguirla fin lì. La seconda da procuratore della Repubblica, nella tribuna d’onore per il primo incontro di Italia ’90. Qualche altra partita c’è stata, esclusivamente da supporter della nazionale di calcio dei magistrati. Ma sui campi, in braghette corte e con il numero sulla schiena, mai. Né, più di recente, da nonno, ha seguito i nipoti e le loro prodezze. Troppo snob per uno sport così popolare? Forse. Borrelli ha sempre preferito un teatro a uno stadio, un concerto a una partita. E il suo sport prediletto, a parte la parentesi dell’equitazione, che una foto pubblicata da Il venerdì ha trasformato ingigantendone le doti di cavallerizzo nel procuratore a cavallo, è sempre stato lo sci. [...] Mani Pulite, l’inchiesta che ha sconvolto la politica italiana portando alla luce la corruttela elevata a sistema, lo ha fatto diventare il nemico di tutti. Lui, che non ha mai avuto una tessera e che aveva lasciato Md proprio perché pensava che fosse troppo politicizzata. Era il 1992. Se sigle come Psi, Dc, Psdi, Pri, Pli sono scomparse dalla geografia politica italiana, è perché gli uomini di Borrelli, che allora era il procuratore della Repubblica, indagarono senza timori. I tentativi di fermarli furono molti, però; e in quegli anni il prima riservato Borrelli, divenne il paladino del pool. L’aristocratico alto magistrato avvolto nella toga di ermellino si trasformò, con l’ultimo discorso da procuratore generale, in un simbolo popolare e la sua esortazione “resistere, resistere resistere”, in una sorta di slogan politico. [...]» (Cinzia Sasso, “la Repubblica” 24/5/2006) • «[...] anche i meno affascinati dalla rivoluzione giudiziaria degli Anni Novanta hanno sempre apprezzato la serena disinvoltura con cui Borrelli è passato dalla penombra ai riflettori e di nuovo alla penombra. Nella riservatezza ha trascorso i primi sessantadue anni della vita. Neppure l’arresto di Mario Chiesa, il 17 febbraio del 1992, eccitò un inquirente la cui massima ambizione mondana era di trovare posto al festival wagneriano di Bayreuth. La discrezione di quest’uomo figlio di magistrato, nipote di magistrato, bisnipote di magistrato e padre di magistrato, risiede nelle tre agenzie Ansa in cui egli compare nei primi tre mesi dall’avvio di Mani pulite. E nel titolo dei dispacci non c’è scritto “Borrelli” ma “il procuratore capo”. Poi, forse perché la gente scriveva sui muri “Forza Di Pietro”, ma più probabilmente perché la delicatezza della situazione lo richiedeva, decise di prendere in mano la situazione. E ci diede dentro. Il 2 maggio 1992 concesse un’intervista a L’Espresso. Il 4 maggio partecipò alla trasmissione radiofonica Prima pagina. Il 5 maggio debuttò in tv a Studio aperto con Paolo Liguori. Il suo decennio di prode della giustizia e di intellettuale poliedrico (parlò di etica, legislazione, concorrenza, equitazione e lirica) si sarebbe concluso dieci anni più tardi, nel gennaio 2002, secondo governo Berlusconi, quando intervenne prima della pensione all’inaugurazione dell’anno giudiziario consegnando ai posteri un grido da manuale di storia: “Resistere! Resistere! Resistere!”. E coerentemente si eclissò. Nel frattempo noi avevamo saputo tutto di lui, anche che montava la cavalla Rosemary e che trova impareggiabile Una notte sul Monte Calvo di Modesto Musorgskij. E avevamo imparato a conoscere il rigore morale ereditato dagli avi con cui si era imposto equilibrio. A Mixer, sollecitato da Giovanni Minoli sull’adorazione furente del popolo per le toghe, nell’autunno del ’93 disse: “Non dobbiamo sentirci destinatari di un’investitura diretta e fortemente caratterizzata da un punto di vista emotivo da parte della gente”. Ma quelli non erano tempi normali. Persino a lui capitò di cedere al moto insurrezionale dichiarando che i processi ci sarebbero stati, ma quello di piazza era già concluso, e aveva emesso la sentenza. Non solo: a causa della fama incontenibile e dello sfascio della classe politica, intervistato nel 1994 dal Corriere della Sera si lasciò sedurre da un’ipotesi che gli sarà rinfacciata tutta la vita: “Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta solo in piedi il Presidente della Repubblica che, come supremo tutore, chiama a raccolta gli uomini della legge. E soltanto in quel caso potremmo rispondere con un servizio di complemento”. Siccome il cataclisma c’era, tutti interpretarono l’uscita come una candidatura alla presidenza del Consiglio prossima alla sovversione. Sarebbe stato accusato di golpismo per quell’episodio e per altri, come quando convocò le telecamere minacciando dimissioni collettive se il decreto Biondi (sulla carcerazione preventiva) non fosse stato respinto, e come quando contribuì alla caduta del primo governo Berlusconi inviando un avviso di garanzia al premier che presiedeva a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata. Però, pensando ad Antonio Di Pietro ministro e a Gerardo D’Ambrosio senatore, pareva strano che proprio lui, il più colto e raffinato della procura, fosse confinato ai giardini pubblici. E va bene, accusava i capi di governo e ora accuserà i direttori sportivi, ma una certa inquietudine, a destra, è almeno comprensibile. Intanto certi ex capi di governo sono anche capi di club calcistico. Eppoi si ristabilisce il formidabile sodalizio con Guido Rossi, avvocato di Carlo De Benedetti nella guerra per la Mondadori, e risanatore della Montedison nel 1993, dopo l’abortita joint-venture con Eni per la creazione di Enimont. Pare, dunque, sia una questione di sintonia, o almeno di buoni rapporti. Rossi li conserva col palazzo di giustizia milanese, e basta vedere il suo contributo all’abbattimento dei furbetti del quartierino. Borrelli li conserva con tutti i colleghi d’Italia, e gli sarà più facile ottenere quello che gli serve. È una coppia affiatata e attrezzata: si può averne paura» (Mattia Feltri, “La Stampa” 24/5/2006) • «Dicono che non abbia mai giocato a pallone, che nella sua vita sia andato allo stadio una o due volte sempre “costretto” e che per intero abbia visto in tv una sola partita: la mitica Italia-Germania 4-3 di Messico ’70. Francesco Saverio Borrelli non odia il calcio, semplicemente non lo interessa [...] a stento distingue i ruoli dei calciatori (gli attaccanti li definisce “aggressori”) [...] Di Borrelli come possibile capo di qualcosa, come ministro o chissà cos’altro si è sempre parlato, ma pochi sanno che, in realtà, tra tante chiacchiere quella di Guido Rossi forse è la prima proposta concreta mai arrivata all’ex capo di Mani pulite, se si esclude una ventilata offerta per una lista in corsa alle regionali della Lombardia di qualche anno fa e la candidatura a sindaco che gli offrirono ufficialmente a Chiavari, dove va in villeggiatura con la famiglia. Rifiutò entrambe le proposte. D’altronde, l’ex magistrato non ha mai incoraggiato le offerte. Dopo la pensione, ad esempio, ha sempre detto che non avrebbe fatto altro che, appunto, il pensionato. [...] è uno sportivo. Pratica regolarmente la bicicletta, il nuoto, l’equitazione (famosa la foto che lo ritraeva a cavallo e che gli procurò qualche arrabbiatura quando si disse, falsamente, che l’animale era di Giancarlo Gorrini, allora inquisito dalla Procura). Borrelli ama molto lo sci [...] Il calcio no, proprio non sa cosa sia. “Credo — rivela il figlio, Andrea, anche lui magistrato a Milano — che l’unica partita che ha visto allo stadio fu quella inaugurale di Italia ’90 a Milano (Argentina Camerun, 0-1, ndr). Ci dovette andare in veste ufficiale come procuratore della Repubblica. Oltre a Italia-Germania del ’70, le partite che ha visto in tv si contano sulle dita di una mano e quelle che ha guardato fino alla fine sono ancora meno”. Le cronache parlano anche di un altro incontro al quale Borrelli ha assistito come spettatore, quello a Monza tra le nazionali dei magistrati e dei cantanti. Era il 23 ottobre 1994: vinsero i giudici 2-1. In relazione allo sport, la filosofia del nuovo capo ufficio inchieste Figc è: “È bello da fare, non da guardare”. [...] Ma almeno una volta, anche Saverio Borrelli ha dato qualche pedata a un pallone: “Era un’estate di 30 anni fa a Primolo in Val Malenco — ricorda Andrea Borrelli — facemmo una partitella tra bambini e genitori”. Andrea tifa per l’Inter e, come la mamma, anche per la Fiorentina. Il cuore di Borrelli padre, date le premesse, ovviamente non batte per alcuna squadra [...] “Non credo che conosca la regola del fuorigioco — ironizza il figlio — e quando ero bambino più volte l’ho incalzato con la richiesta di schierarsi, di dichiarare una simpatia. Fino a che lui, per liberarsi di me, rispondeva che tifava per la Carbosarda, una squadra dei minatori del Sulcis il cui nome qualche decennio fa talvolta compariva sulle schedine del totocalcio”. [...]» (Giuseppe Guastella, “Corriere della Sera” 24/5/2007) • Dal marzo 2007 presidente del Conservatorio di Milano: «“È una nuova sfida, l’ennesima che affronto con gioia e un certo tremore. Il presidente del Conservatorio non è il responsabile scientifico né didattico; non vorrei che si aspettassero da me più di quanto potrò fare. Soprattutto spero non si aspettino che faccia il ’castigamatti’! Non è il mio metodo, né la mia storia. Anche quando dirigevo la Procura di Milano capitava che ci fossero contrasti, sono sempre riuscito a ricomporre le tensioni”. [...] A quasi 77 anni, essere chiamati a guidare la più prestigiosa università musicale d’Italia - 1.500 allievi, 238 docenti - è un’iniezione di adrenalina. [...] “Da ragazzo ho sofferto di ’fanatismo wagneriano’, ancora oggi Wagner mi strega, ma tutta le bella musica m’incanta” [...] Nonno Francesco Saverio, padre Manlio e figlio Andrea in magistratura: per il giudice, accusato dai berlusconiani di essere un vero Torquemada, andare in pensione fu un trauma. Era la fine di una stagione difficile, scontri, isolamento, le leggi sul falso in bilancio, l’era del “resistere, resistere, resistere”. Borrelli chiese di tornare in magistratura, “ma il Csm disse no”. Per tre anni ci furono allora solo conferenze e lectio magistralis su giustizia ed etica. “Non mi annoiavo - dice Borrelli -. Ma se sono uscito dall’ombra lo devo solo a Guido Rossi. Dopo la nomina del calcio mi riconoscono tutti, i taxisti e anche i più giovani”. A volte ritornano. Per un pensionato non è troppo il Conservatorio più l’ufficio indagini sul calcio? E lui: “Per ora mantengo il posto in Federcalcio, non c’è incompatibilità. Ma a luglio, con il nuovo statuto da me suggerito, l’ufficio indagini confluirà nella Procura federale. Non voglio fare il Procuratore federale: c’è Stefano Palazzi, è molto più giovane di me”» (Chiara Beria di Argentine, “La Stampa” 4/3/2007) • «[...] In una biografia, curata da Marcella Andreoli, di sè ha detto che da Napoli, la sua città natale, e dai napoletani aveva assimilato poco mentre dai fiorentini e da Firenze, dove aveva studiato al Conservatorio, ha “appreso la capacità di sciogliere nell’acido i propri sentimenti” [...]» (“La Gazzetta dello Sport” 24/5/2006).