varie, 14 febbraio 2002
BOVA
BOVA Raoul Roma 14 agosto 1971. Attore. Origini calabresi, dopo il liceo magistrale e una carriera da nuotatore che lo porta a diventare campione italiano giovanile dei 100 dorso, lascia l’Isef per diventare attore. La prima parte è in un film sui fratelli Abbagnale, Una storia italiana (1992), ma il successo arriva con polizieschi di mafia come Palermo Milano sola andata, diversi episodi della Piovra e le due parti di Ultimo, che lo etichettano come il bello d’azione. In realtà Bova ha recitato in film molto vari come La lupa, Mutande pazze, Ninfa Plebea, Il sindaco, Coppia omicida, I cavalieri che fecero l’impresa. «Farlo parlare di sé e del proprio lavoro significa sentire un continuo ringraziamento per quanto gli hanno insegnato non solo i registi, ma anche gli attori con cui ha lavorato, da Giancarlo Giannini a Jean-Pierre Marielle, il ”Gassman francese”. [...] Perché, a dieci anni dalla sua prima comparsa sulle scene, questo trentenne che fino a poco fa si divertiva a giocare con il cliché di ”bello e basta”, fino a farsi fotografare nudo per il calendario 2000 di ”Max”, ha deciso cosa vuole fare da grande: diventare bravo e lanciarsi sul mercato internazionale. [...] Un trentenne qualunque non lo ha interpretato mai. ”Non me lo propongono. Mi piacerebbe fare un film come quello di Muccino, o Le fate ignoranti. Ma i registi, anche amici, mi dicono: ’Sei troppo conosciuto’, ’Non sei un trentenne ordinario’. Io invece nella vita sono come tutti gli altri: se me ne dessero la possibilità sono sicuro che saprei esserlo anche in un film”» (Angiola Codacci-Pisanelli, ”L’Espresso” 24/5/2001). « bellissimo con quel non so che di timido, di riservato che lo rende assolutamente umano, e possibile. [...] fisico da nuotatore della nazionale qual era, e due occhi da sogno. Bambino, ragazzo e poi adolescente che passa buona parte del suo tempo in piscina, accompagnato dal papà che lavora all’Alitalia; diciottenne che sogna di andare alle Olimpiadi, ma alle selezioni entra in crisi sportiva, perde le proprie certezze, e affida il proprio dolore a un diario, come le signorine d’una volta... ”Più che un diario, un amico a cui raccontavo i miei problemi e poi rileggendolo, mi psicoanalizzavo da solo [...] quando sei un campione tutti ti sono vicini e quando campione non lo sei gli altri si allontanano e non capisci più cosa siano i rapporti...”. Un giovanotto che grazie alla bellezza s’inventa una nuova sfida, e la vince. [...] ”Che cos’è la bellezza? Il fascino in sé... Cambiano così rapidamente i modi di pensare, di comunicare... A volte si diventa simboli perché si conserva qualcosa che in quel momento nella società manca. Oggi sembra molto strano essere semplici, naturali, non essere contaminati da opportunismo e arrivismo. Io in questo credo molto... [...] mio padre ha abbandonato un paese della Calabria per venire a Roma, s’è innamorato di una donna, se l’è sposata, ha fatto tre figli, li ha curati, ha lavorato. Mia madre ha dedicato a noi tutta la vita. Papà s’è goduto la famiglia, ci ha dato dei principi, una morale, la serenità. Queste cose me le ha trasmesse. Un uomo è un essere umano. Io sono fiero di me stesso quando mi sento perdente e poi alla fine, lottando, riesco a vincere. C’è il momento che ti senti solo, ti pare di avere tutti contro, poi scopri che un altro la pensa come te, e si è in due. Poi si trova un altro, e si è in tre... moralismo? Può essere, ma io sono così” [...]» (Stefano Jesurum, ”Sette” n. 21/9999).