Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 15 Venerdì calendario

Bregovic Goran

• Sarajevo (Bosnia) 22 marzo 1950. Musicista. Compositore • «Non lo fermi facilmente. La sua irrequietezza ha gabbato anche il destino. Nel momento dell’assedio di Sarajevo, allo scoppio della guerra in Jugoslavia, lui era a Parigi. E lì è rimasto. Vi aveva appena comprato una piccola casa, non pensava però di prendervi la residenza. Era un’altra la casa che amava, quella tra i monti jugoslavi che aveva ospitato la sua voglia di pace dopo anni di rock senza tregua. I serbi la distrussero. Tanto valeva restare a Parigi. Quando, in un caffè delle Halles, lo incontrai per la prima volta, a Sarajevo avevano appena bruciato la Biblioteca. ”Parigi è l’unico luogo dove anche un artista jugoslavo può sentirsi un vero artista” disse con amarezza. A distanza di quasi dieci anni, oggi che la sua popolarità non ha più bisogno di conferme, con dieci dischi all’attivo e con un debutto cinematografico come attore, ci piacerebbe sapere il significato di quella frase. ”Essere emigranti non è facile” dice ”Si lascia il luogo dove si è nati e si arriva in un altro che non si conosce. E, anche chi come me proviene da una cultura minore, a Parigi si sente parte di un movimento culturale e artistico. Oggi è possibile anche a Napoli o a Stoccolma, ma Parigi per prima ha insegnato come vivere insieme nonostante le diversità […] Più che eclettico mi sento schizofrenico. Il rock lo avevo lasciato da tempo, molto prima della guerra, proprio perché mi aveva catturato in un ingranaggio che non lasciava altre possibilità. […] Siamo stati cinquecento anni sotto l’impero ottomano, poi sotto quello austroungarico. Non credo che ce ne potremo mai liberare fino in fondo. Tutti hanno lasciato qualcosa, tutti hanno portato musica. Solo che un tempo dalla Romania a Sarajevo ci volevano tre mesi, mentre oggi le cose arrivano in pochi minuti. E’ strano come ancora io mi senta a mio agio in mezzo ai popoli che sono passati per il mio paese. In fondo siamo rimasti turchi» (Laura Putti, ”la Repubblica” 21/7/2002) • «Nato a Sarajevo nella Yugoslavia di Tito, non ha mai praticato una religione. ”Non ho mai fatto parte di una Chiesa, ma, come tanti, ho un rapporto con Dio molto personale […] Sono nato in un paese comunista. Dio non era tra gli insegnamenti impartiti. Però avendo avuto due nonne molto credenti, una croata e cattolica, l’altra serba e ortodossa, sono quasi sicuro di essere stato, in gran segreto, battezzato due volte […] Quando, un paio di anni fa, ho composto le musiche per le immagini di Oliviero Toscani sulla storia dell’umanità attraverso le chiese, ho per la prima volta incontrato un prete, mandato dal Vaticano. E ho iniziato a farmi domande sulle tre religioni monoteiste. Scoprendo che, oltre allo stesso Dio, hanno anche le stesse strutture liturgiche» (Laura Putti, ”la Repubblica” 9/6/2002). «A 16 anni suonavo in un bar di strip tease, a 18 ero a Napoli in un altro bar. Poi sono passato a Ischia e a Capri per suonare ai matrimoni. Da giovane ho frequentato molti musicisti italiani, era difficile non rimanerne influenzati. Soprattutto in materia di tarantelle e pizzicate. Ho lavorato con i cantanti in Sardegna, ma non sono attratto dai teatri d’opera tradizionali. Non li frequento perchè sono rimasto traumatizzato dai paesi comunisti, in cui almeno una volta al mese bisognava andarci. Anche a costo di subire stantie Butterfly con primedonne centenarie [...]» (Giacomo Pellicciotti, ”la Repubblica” 9/12/2004).