Varie, 15 febbraio 2002
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Bronson Charles
• (Charles Buchinsky) Ehrenfeld (Stati Uniti) 3 novembre 1922, Los Angeles (Stati Uniti) 31 agosto 2003. Attore. «Protagonista di film come I magnifici sette e Quella sporca dozzina, oltre che il vigilante della serie Il giustiziere della notte [...] leggenda di Hollywood, un attore di poche parole, nella vita reale come quando era sullo schermo, la cui fama di ”duro” è stata facilitata da quel suo volto butterato e dalla sua stessa biografia. [...] ”Mi sa che assomiglio a una cava di pietra dove qualcuno ha lasciato della dinamite”, diceva lui in riferimento al suo aspetto fisico. La sua vita personale, poi, ha avuto un inizio ben lontano dal glamour e dalle tentazioni di Hollywood. Figlio di genitori lituani emigrati in Pennsylvania, Bronson era l’ottavo di quattordici fratelli cresciuti in un bilocale condiviso con un’altra famiglia di sette persone. A 15 anni era già in miniera, come il padre. E siccome ciò che guadagnava era una miseria, per compensare si mise a rubare sinchè un giorno venne beccato. Poco dopo arrivò la guerra, Bronson venne inviato nel Pacifico dove venne ferito. Poi, nel ’46, un amico lo portò per la prima volta a teatro. ”Che noia”, commentò lui. Ma quando l’amico gli disse che un attore poteva guadagnare anche 150 dollari a settimana, replicò imperturbabile: ”Beh, posso farlo anche io”. E’ quello che fece, infatti, spostandosi a Los Angeles dove ottenne piccole parti in film con attori come Gary Cooper, Spencer Tracy, Katharine Hepburn, Alan Ladd, Frank Sinatra, Elizabeth Taylor. Ma è stato solo a 38 anni, quando John Sturges lo ha voluto prima come uno dei Magnifici sette e poi per La grande fuga che Bronson divenne una stella. Lo volle anche Sergio Leone per C’era una volta il West. Poi, nel ’74, fece Il giustiziere della notte, la storia di un architetto la cui moglie e la cui figlia vengono stuprate e che cerca la sua giustizia personale. Una storia controversa, l’affermazione del concetto del vigilante. Ma al pubblico piacque e così iniziò una serie che ha portato a cinque film ispirati a quel personaggio. Parti da duro e pellicole d’azione, sempre. Hollywood lo voleva così: ”Prima o poi - diceva l’attore - farò un film nel quale potrà appoggiare il mio gomito alla mensola di un caminetto e sorseggiare un cocktail”. Ma quel momento, il momento di una parte tranquilla, di una commedia, di un film senza nemmeno un colpo di pistola, non è mai arrivato. Il duro dello schermo era in realtà un uomo molto attaccato alla famiglia. O alle famiglie: ha avuto tre mogli e tre figli, anche se il suo vero grande amore è stata la seconda moglie, Patricia Ireland, morta di cancro nel ’90. E che, prima di andarsene, lo presentò a Kim Weeks, quarant’anni più giovane di lui, che dal ’98 è la sua terza moglie» (Lorenzo Soria, ”La Stampa/27/82003). «[...] quella faccia così, un po’ da asiatico, un po’ da apache, i lineamenti marcati, gli zigomi alti, gli occhi ridotti a fessure, e con quel fisico massiccio che sullo schermo appariva più imponente di quanto fosse in realtà, Bronson sembrava predestinato ai ruoli che ha poi sostenuto nella sua carriera. La sua storia personale, d’altra parte, aveva certo contribuito a definire i suoi personaggi. In linea con le biografie dei divi di una volta, la sua infanzia appare miserabile, la sua adolescenza avventurosa. [...] ”Anch’io ho lavorato in miniera dall’età di 14 anni” amava ricordare. ”Poi mi sono trovato a fare il boscaiolo nel Montana, a costruire strade nell’Oregon, a spalare neve nell’Idaho, a fare il buttafuori in un locale malfamato di Phoenix in Arizona, a combattere sul ring gli incontri truccati di pugilato in Louisiana”. A 21 anni era già in guerra, sul Pacifico, a combattere contro i giapponesi. L’incontro con il mondo del cinema avviene nel modo più dimesso: è uno dei tanti che affollano il saloon nei film western o che riempiono le prigioni nei film carcerari. La sua prima occasione è nel 1951 con Il comandante Johnny, commedia bellica di Hathaway con Gary Cooper, comandante di una carretta del mare impegnato a governare una ciurma indisciplinata. In questo film, in cui esordisce anche Lee Marvin, Bronson definisce il suo carattere da duro. I titoli seguenti, I miei sei forzati, Un pugno di criminali, Quando l’inferno si scatena, La legge del mitra, danno un’idea dei ruoli che gli vengono affidati. Finché arriva nel 1960 I magnifici sette in cui John Sturges rielabora in chiave western il capolavoro di Kurosawa I sette samurai: un gruppo di pistoleri senza legge e senza passato si assume il compito di difendere gli abitanti di un villaggio messicano oppressi da una banda di fuorilegge. Sturges lo chiama ancora nel 1963 per La grande fuga, avventurosa evasione di un gruppo di prigionieri da un campo di concentramento nazista. del 1967, con la regia di Robert Aldrich, Quella sporca dozzina in cui, prima dello sbarco alleato in Normandia, un pugno di galeotti, condannati a morte o ai lavori forzati, deve impadronirsi del quartier generale dei tedeschi nella Francia occupata dai nazisti. L’anno seguente Bronson ha l’occasione di lavorare con Sergio Leone. In C’era una volta il West sostiene la parte di un pistolero assetato di vendetta che prende le difese della prostituta Claudia Cardinale. A capo di una famiglia numerosa, tra figli e figliastri, Bronson era sposato con Kim Weeks ma aveva alle spalle due matrimoni. Dalla prima moglie Harriet Tendler aveva avuto due figli. La seconda, l’attrice Jill Ireland, gli portò due figli di primo letto. Insieme ebbero una bambina e adottarono un maschio. Con la Ireland, morta di cancro nel 1990, Bronson interpretò una decina di film, Città violenta, L’uomo venuto dalla pioggia, Chato, L’uomo dalle due ombre, Da mezzogiorno alle tre, lavoro in cui tentò, senza molto successo, di affrontare la commedia per uscire dal solito cliché. Per ritornarci, però, molto presto. Ma la sua immagine da duro assume una sfumatura un po’ sinistra quando interpreta nel 1974 Il giustiziere della notte primo di una lunga serie in cui è l’uomo convinto di poter sostituire la legge facendosi giustizia da solo. La saga, che ha scatenato critiche ed è stata liquidata come reazionaria, lo ha accompagnato per un ventennio fino al 1994, anno del suo quinto episodio. Eppure, negli ultimi tempi, Bronson era come infastidito di questa etichetta da duro. Lui che amava stare in famiglia, con i suoi figli, e passava il tempo libero a dipingere fiori e piante» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 2/9/2003).