Varie, 15 febbraio 2002
BUFFON
BUFFON Gianluigi Carrara 28 gennaio 1978. Calciatore. Portiere. Alla Juventus dal 2001/02, ha vinto quattro scudetti (2001/2002, 2002/2003, 2004/2005, 2005/2006, gli ultimi due revocati). Con la nazionale ha vinto i mondiali del 2006, nello stesso anno è arrivato secondo dietro Fabio Cannavaro nella classifica del Pallone d’oro (9° nel 2003, 17° nel 2004, 19° nel 2005, nomination anche nel 1999 e 2001). Fu lanciato in serie A giovanissimo, nel Parma, squadra con la quale ha vinto la Coppa Uefa e la coppa Italia 1999 • «Ha la bandana del pirata e lo sguardo limpido del guascone per caso, di quello che, quando fa una marachella, lo beccano subito. Mentre altri, molto peggio di lui, la sfangano sempre. Nel suo passato qualche gesto politicamente scorretto, t- shirt con scritte un po’ azzardate, numeri sulla maglia che ricordavano simboli di un oscuro e tribolato passato, oppure la storia di una scorciatoia illecita per prendere il diploma. Errori di cui ha fatto subito ammenda, senza protervia, senza presunzione. Scelte subito corrette, come se quel suo osare, quel suo maramaldeggiare fossero solo un modo di essere e non una scelta precisa, il modo di mandare un messaggio. Non c’era nessun messaggio da mandare, anche perché i veri messaggi Gigi li manda con il bene che fa in giro, con le iniziative benefiche che non strombazza, che tiene per sé. […] ”Il portiere a volte può fare la differenza, ma è molto più difficile rispetto a un giocatore normale. Però capita, e quando capita dà soddisfazione”. Portiere della Juve, portiere della nazionale, portiere non solo per natura. Non è vero che uno nasce portiere, anche se i cromosomi aiutano. Oppure magari uno nasce portiere e non lo sa, gioca centrocampista, come faceva Gianluigi, fino a quando non arriva qualcuno che ti indica la retta via. Nel caso del nostro pirata- portiere, fu un’apparizione televisiva, quella di N’Kono, leggendario portiere del Camerun. Erano i giorni del Mondiale italiano del 1990. Inseguivano (inseguivamo) tutti un gol, in quelle notti magiche ( fino alla semifinale con l’Argentina), e invece il giovane mediano Buffon scoprì di voler diventare portiere: quel gol, lui, voleva pararlo» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 5/8/2003). «Gigi Buffon è il migliore, e si capisce perché. Il grandissimo portiere non si riconosce soltanto dal fisico. E neanche solo dal coraggio, dalla razionalità, dalla posizione, dalla spregiudicatezza, dalla follia. Può chiamarsi Zamora, Jascin, Zoff, Banks, o come diavolo vuole, ma la caratteristica fondamentale di un portiere straordinario è una e una sola: la capacità di fare il miracolo. Perché è vero che il buon portiere deve parare il parabile: uscire, chiudere lo specchio, indurre all’errore la punta avversaria, parare qualche rigore, non esagerare con il tuffo spettacolo e badare alla praticità. Ma il portiere grandissimo ha un solo compito, oltre a tutto ciò: prendere anche l’impossibile. La palla all’incrocio, il tiro sotto misura, il rimpallo nell’area piccola, il colpo di testa che schizza in una mischia, la deviazione sfortunata di un compagno. Gigi Buffon è il migliore, e sappiamo perché. Perché quando c’è lui in porta, nella Juventus o nella Nazionale, niente è impossibile. C’è chi chiude gli occhi, quando un avversario sbuca in area per tirare a colpo sicuro: ma quando gli occhi si riaprono, dopo quell’attimo di terrore, si vede che il portierone è riuscito nel solito miracolo, il gol fatto si è rivelato un gol sbagliato, l’area si è trasformata in una succursale di Lourdes. Ecco, la grandezza di un portiere si vede nella sua capacità di ridurre l’eccezione alla normalità. Temevi di essere sotto di un gol, e sei ancora sullo zero a zero. Era gol fatto, e invece trattasi di un gol mangiato (mangiato da lui, Gigi, il divoratore supremo). Che Buffon sia il migliore è fuori dubbio, e si sa perché. Ma non chiamatelo Superman, per favore. vero che è figlio di sportivi, cugino lontano del Buffon storico, quello che sposò una delle prime vallette, è vero che ha un fisico spaventoso, riflessi monstre, muscoli da sprinter. Vero tutto. Ma, oltre a questo, è una delle migliori incarnazioni dell’italiano medio, il figlio che tutte le madri vorrebbero avere, il fidanzato che tutte le ragazze vorrebbero portarsi in vacanza, uno che tiene al look ma non ne è narcisisticamente schiavo. Il migliore è Buffon perché non ha punti deboli, né sui rasoterra né sulle palle alte, e neanche nelle dichiarazioni pubbliche. Vabbè che era un po’ spaccone all’inizio di carriera, quando Ancelotti lo lanciò diciottenne nel Parma, ma adesso è capace di una spontaneità mai esente dal buon senso. A voler dipingere il quadretto del ragazzone d’oro, si potrebbe anche citare il servizio civile in una comunità di tossicodipendenti, oppure le vacanze in Africa per aiutare a costruire un pozzo. Ma un portiere è un portiere perché fa le parate, non per via del volontariato; e non dev’essere neppure un mostro di cultura, basta una certa ragionevolezza: non per niente, fu apprezzabile la velocità con cui abbandonò il numero 88, nel Parma, dopo che gli spiegarono con malgarbo che era un simbolo nazista, e qualcuno cominciò a teorizzare a capocchia che quel tale Buffon era una miscela di spirito ultrà e di neo- hitlerismo (tutte storie, commentò semplicemente lui, non ne sapevo niente: e cambiò subito la maglia). Insomma, è il migliore, Gigi Buffon, non perché decise di trasformarsi da centrocampista in estremo difensore dopo avere visto all’opera il leggendario numero uno del Camerun N’Kono, e nemmeno perché ha un sito internet pazzesco oppure perché possiede fibre muscolari che dovrebbero essere studiate nelle università mediche: è il migliore perché è la sintesi di calcio moderno e di antico. Perché è un uomo in più: ma soprattutto, come sanno Lippi e il Trap, è un gol in meno» (Edmondo Berselli, ”La Gazzetta dello Sport” 30/8/2003). «Sono una persona allegra” dice ”e non lo sono per i miliardi che guadagno, ero così a 13 anni nella Carrarese […] Mentre aspetto che l’azione si avvicini alla mia area, mi capita spesso di fantasticare. Succede pure nelle sfide più importanti. Butto l’occhio su un cartellone e inizio a pensare alla pubblicità, ai colori. La testa lavora. […] A me piace andare in sala stampa dopo la gara e ammettere gli sbagli. Non capivo perché tutti i tecnici me lo sconsigliassero. Invece avevano ragione loro. Tra due mesi, stai sicuro, salterà fuori uno a ricordarti lo sbaglio e a sottolinearlo» (Matteo Marani, ”Guerin Sportivo”n. 15/2002).