Varie, 15 febbraio 2002
BUGLIO
BUGLIO Salvatore Catania 20 dicembre 1951. Politico. Eletto alla Camera nel 1996, 2001, 2006 (Pds, Ds, Rosa nel Pugno) • «L’unico operaio eletto in Parlamento dai Ds [...] ha il cuore semplice delle persone coraggiose [...] Non è il tipo che cerca posti. il tipo che non ne può più delle contorsioni narcisiste delle burocrazie politiche, uno che da parecchio ragiona con la propria testa e odia gli arabeschi della nomenclatura» (’Il Foglio”, 8/11/2001) • «Steve McQueen, nel film Papillon, ne aveva una tatuata sul petto. La farfalla di Salvatore Buglio è più timida. Si è nascosta dietro la spalla. Ma è lì dal 1973, anno d’uscita del celebre film. ”Ero rimasto molto colpito dalla pellicola e da quel forte desiderio di libertà che trasmetteva. Avevo 22 anni e decisi di farmene tatuare una anch’io. Non mi sono mai pentito”» (Stefano Romita, ”Sette” n. 23/2001) • «La classe operaia non va più in Parlamento, l’inizio è quasi doveroso. Dopo due legislature con la casacca Ds, il metalmeccanico di terzo livello Salvatore Buglio torna a casa e alla sua vecchia cassa integrazione. L’unica tuta blu di Montecitorio non ha bisogno di conferme ufficiali, in questi anni ha imparato a interpretare sussurri e silenzi. ”E quindi so già che mi hanno bocciato. Ma avrei gradito sentirmelo dire in faccia dai vertici del mio partito, invece niente, solo questi sorrisini stiracchiati dove c’era scritto tutto”. L’unico operaio che la sinistra italiana ha in Parlamento dice che in fondo è colpa della farfalla di Papillon, quella che l’ergastolano Steve McQueen aveva tatuata sul petto, a simboleggiare la sua voglia di libertà. ”Vidi il film nel ”73, e me la feci fare, più piccola, sulla spalla, proprio per quel che rappresentava. Ero e sono rimasto indipendente, pago per questo. Volevano che interpretassi la parte dell’operaio- buana, la macchietta alla Cipputi, e invece di uno stereotipo si sono trovati con un riformista che andava controcorrente e pensava con la sua testa. Sapevo che mi avrebbero presentato il conto” [...] Con i soldi di Montecitorio, spiega, ci ha fatto studiare la figlia [...] Niente drammi, per carità. Sapevo che non sarebbe durata per sempre, e qualcosa ho messo via, è da quando sono nato che lo faccio [...] La situazione è semplice: ho giocato la mia partita, riformista e autonomo, e ho perso, tutto qui”. [...] Salvatore Buglio nasce a Catania [...] quartiere povero di Tondicello della Plaja, ultimo di sette figli, il padre muore che lui è ancora in fasce. A nove anni fa il pescivendolo, e di seguito saldatore di ghiaccio, manovale, demolitore di auto. Al diciottesimo compleanno sale sul treno per Torino, entra in Fiat e ne esce subito dopo aver pestato un caporeparto veneto che odiava i ”terroni”. Torna in fabbrica alla ”Viberti autoveicoli industriali” e dopo 22 anni in catena di montaggio finisce in cassa integrazione. Dal treno alla disoccupazione, in tasca ha sempre la tessera del Pci-Pds, quando nel luglio ”95 si presenta alla conferenza programmatica del Pds è presidente del consiglio comunale di Nichelino e delegato delle fabbriche torinesi. Il suo dovrebbe essere uno sbadiglio tra il discorso di D’Alema e quello di Berlusconi, che deve parlare subito dopo di lui. A quelli che si alzano per un caffè prima dell’intervento del Cavaliere lancia un urlaccio: ”Dove c... andate? Sono un operaio, mica uno spot”. Gli regalano una partita persa, la candidatura nel collegio Nichelino-Carmagnola, che nel ”94 aveva segnato una delle peggiori Caporetto della gioiosa macchina da guerra occhettiana. Invece vince, e rivince nel 2001, uno dei pochi segni incoragganti per i Ds in un altro giro elettorale da dimenticare. ”Adesso non servo più. Con la nuova legge elettorale, i cagnacci come me, che vanno a chiedere il voto casa per casa, vanno a cuccia [...] che nei Ds io sono sempre stato considerato una anomalia. Mi considero un riformista vero. Ho criticato i sindacati, la Cgil soprattutto, perché nel 2006 il padrone non può essere un nemico a prescindere, e nelle trattative con il governo il compito delle confederazioni è sempre e comunque quello di portare a casa qualcosa e non pronunciare sempre dei niet politici”. Dice di non essersi scontrato con idee diverse, ma con il vuoto. Ricorda una riunione di partito nella quale parlò della necessità di una politica per i lavoratori dipendenti: ”Mi guardarono come se parlassi di farfalle esotiche. Su questi temi i Ds sono inclini ad un certo collateralismo con la Cgil. Delegano”. Ai tempi dello scontro sull’articolo 18 fece a sganassoni verbali con Sergio Cofferati versione segretario Cgil, definendolo ”un Bartali della politica utile soltanto a Berlusconi”; ha accumulato litigate con i vertici Fiom e anche con i girotondi: ”Ho sempre rifiutato di demonizzare l’avversario politico; se l’avessi fatto, se avessi recitato la parte della tuta blu che insulta il riccone di Arcore, stia sicuro che un posto me lo trovavano”. A volte se l’è andata a cercare con il lanternino. Nel 2002, guerra in Afghanistan, mise in giro la sua foto con sotto il simbolo Ds e la scritta ”Io sto con Bush”, e l’anno seguente - giorni di tavoli separati - si iscrisse alla Cisl ”per dire basta alla logica secondo cui chi tratta con il governo è un traditore”. A questo punto risulterà abbastanza chiaro perché Buglio sia stato talvolta definito ”l’operaio più odiato dalla sinistra”. Lui corregge la definizione: ”Sono odiato dall’aristocrazia operaia, che è cosa diversa. Io ho semplicemente posto il problema della rappresentanza del mondo del lavoro all’interno dei Ds, un mondo del quale c’è un’idea vaga e utilitaristica, nel senso che i lavoratori vengono utilizzati per i propri fini. Sono vissuti come un elemento residuale, dovrebbero essere invece un fattore importante per l’identità del partito. Non credo che la mia sia una polemica sterile, ma piuttosto una questione culturale”. Per qualche tempo, Buglio è stato considerato un dalemiano di ferro. ”Condivido molte delle sue idee. Ma credo che gli sia mancato il coraggio, soprattutto da premier, di portare avanti le riforme sul lavoro. stata una occasione persa, non ha voluto andare contro la Cgil. Penso lo stesso di Fassino. in mezzo ad un guado, con i Ds che mancano di una identità precisa dovrebbe spingere verso il Partito democratico, ma non lo fa”. Fine corsa, dunque. Salvatore Buglio, l’ultimo degli operai, rientra nei ranghi, definendosi ”un trombato senza particolari rancori”. Si è dato molto da fare, ha lavorato divertendosi. Ammette che una delle sue ultime iniziative, l’interrogazione parlamentare che chiedeva di fermare i giudici torinesi che indagavano sul doping della sua Juve, non resterà negli annali della politica. ”Però i fatti mi hanno dato ragione, tutti assolti in Appello”. Quando qualcuno ironizzò sulla sua scarsa istruzione, diploma delle medie inferiori, fu il momento in cui si sentì orgoglioso di se stesso. ”Uno com eme, senza padrini politici, è incredibile che sia entrato a Montecitorio, non che ne esca. Ecco, mi piacerebbe un Parlamento e una sinistra che renda ancora possibile un sogno americano come il mio, invece di premiare gli esecutori fedeli e i funzionari fidati. M astiamo tornando alla retorica sul ragazzo del Sud e la valigia di cartone, meglio fermarci qui”» (Marco Imarisio, ”Corriere della Sera” 1/2/2006).