Varie, 19 febbraio 2002
Tags : David Byrne
Byrne David
• Dumbarton (Gran Bretagna) 14 maggio 1952. Musicista • «Dinoccolato e sempre elegantissimo […] ex leader dei Talking Heads, si muove a trecentosessanta gradi, coniuga cultura e spettacolo, è unico nel panorama musicale degli ultimi venti anni. Curioso di tutte le forme d’arte» (Luca Dondoni, ”la Stampa” 15/4/2001) • «E dire che all’inizio era un punk, un tagliatore di teste musicali nella schiumante New York anni ”70. Capeggiava una band chiamata Talking Heads e il suo cavallo di battaglia era una filastrocca un po’ ebete e un po’ macabra, Psycho killer. Qualcuno li scambiò per una meteora ma si sbagliava di grosso. I Talking Heads sarebbero durati anni e avrebbero segnato profondamente il rock, combinando come mai prima punk e disco music, salsa e avanguardia. Ma di più ancora avrebbe fatto Byrne, un vulcano musicale dalle 100 bocche, capace di passare dalle amate canzoni brasiliane a musiche per teatro e balletti, da fosche sonorità ”industriali” a un film addirittura. E che film: True stories, un irresistibile docu-musical capace di elevare il gossip ai cieli dell’arte» (Riccardo Bertoncelli, ”Max” maggio 2001). «Ha scritto pagine memorabili del rock, tanto che con i Talking Heads è entrato anche nella Rock’n’Roll Hall Of Fame, al fianco di Jimi Hendrix e dei Beatles. [...] ”Ero troppo giovane per il rock nei Cinquanta, in seguito ho ascoltato soprattutto Chuck Berry e Hank Williams. Erano incredibili: leggeri, brillanti e divertenti. Naturalmente la mia musica non ha niente a che fare con la loro, ma nelle cose che scrivo c’è a volte uno humour tipico di quel periodo, e di questi due musicisti in particolare. Mi piacciono anche certe canzoni di Elvis Presley, ma, quando cominciai a rendermi conto della sua esistenza, era famoso per i suoi orribili film. Era un personaggio grottesco, un esempio di quello che non si doveva fare nel mondo della musica [...] Molti dischi dei Beatles rimandavano ad un’utopia, e dall’altra parte c’erano i Mothers of Invention di Frank Zappa o i Velvet Underground, che per me sono riconducibili ad una sorta di utopia negativa, legata al lato oscuro delle cose, ma forse perciò più realistica. Se dovessi scegliere un album, direi il primo album dei Velvet Underground, quello con Nico. Per me è stato fondamentale, incorporava elementi estranei alla musica, era pura avanguardia che si mescolava al linguaggio del pop. Con i Talking Heads abbiamo fatto lo stesso qualcosa di simile, dieci anni più tardi [...] la disco music. Prince ha cominciato nel 1978, ma la fine dei Settanta segna anche la nascita del movimento hip hop. In questi anni, poi, si sono diffusi i remix e ha preso piede l’idea che lo studio sia di per sé un mezzo creativo, idea che poi si è sviluppata nel decennio successivo. [...] Il pop era in un certo senso un’invenzione americana, ma negli Ottanta il resto del mondo ha superato gli Stati Uniti, con proposte più coraggiose e sperimentali: perfino i Duran Duran hanno inciso qualche canzone interessante. Allora noi americani ci siamo resi conto che anche nel resto del mondo c’era buona musica. Io, ad esempio, amo molto il Brasile e i ritmi latino americani. Però l’album che scelgo per questa decade è Creuza de Ma, di Fabrizio De Andrè: ho fatto di tutto per farlo conoscere fuori dall’Italia, ma purtroppo i risultati non sono stati entusiasmanti [...] Ultimamente ho ascoltato molto Outkast e Missy Elliot, nel mio iPod ci sono sempre decine delle loro canzoni. Il rock è cambiato per sempre quando è diventato consapevole di sé come una cultura a parte, con i suoi stili e le sue icone. successo verso la fine degli Anni Sessanta, e la perdita dell’innocenza ha portato con sé una maggiore capacità di incidere sulla società» (Bruno Ruffilli, ”La Stampa” 27/4/2004).