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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CACCIARI

CACCIARI Massimo Venezia 6 maggio 1954. Filosofo. Politico. Dall’85 professore ordinario di Estetica all’Università di Venezia, nel 2002 fondò la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Dal 1976 all’83 deputato del Pci, dal 1993 al 2000 e dal 2005 al 2010 sindaco di Venezia • «[...] Padre medico e madre figlia di una famiglia di artisti, Massimo Cacciari al ginnasio era il migliore. Di lui Toni Negri dice: ”Incredibile vedere un giovane destreggiarsi così con Walter Benjamin quando gli intellettuali dell’epoca non sapevano nemmeno dove stesse di casa”. [...] Sebbene vanitosissimo, Cacciari non è mai effimero. un uomo eminente, studi con il grande filologo Giorgio Pasquali e l’ellenista Carlo Diano. Se è mai stato comunista lo era in modo religioso, messianico, purista. Il suo pavé più celebre, ”Krisis”, negli anni Settanta spezzò la schiena al pensiero negativo. [...] [...]» (’Il Foglio” 7/4/2007) • «Sindaco della Serenissima, ex deputato comunista, barbuto cugino del musicologo d’estrema destra Piero Buscaroli, ha sdoganato nella cultura della sinistra italiana il ”pensiero negativo”, a cominciare da quello del sulfureo Nietzsche un tempo einaudicamente ostracizzato da un Delio Cantimori che diceva di non poter sopportare l’idea di uno scaffale in cui l’autore di Umano, troppo umano comparisse accanto al nome di Antonio Gramsci. Infine anche grazie al cacciariano Krisis pubblicato nel 1975, il nome di Nietzsche venne reimmesso prepotentemente nelle bibliografie politically correct. Nei suoi libri filosofici, ama molto le maiuscole e le parole fratturate che diano il senso della profondità (tipo ”de-cidere”, al posto di ”decidere”) ma nei suoi interventi politici il sindaco di Venezia abbandona le abissali oscurità e diventa incisivo e caustico. Celebre la risposta a chi gli chiedeva se non avesse per caso voglia di iscriversi al Psi: ”Non ne ho bisogno, sono già ricco di famiglia”. D’Alema lo stima assai, sebbene, in privato, al solo pronunciare il nome del sindaco-filosofo, il leader diessino ami abbandonarsi a imprecisate liturgie salvifiche. Molto amato dalla destra culturale, in deliquio per il suo radicale antirazionalismo, si reca ogni anno in un monastero in Toscana a meditare sull’indicibilità del senso della vita. Non guarda mai la tv, ma ha comunque indovinato la vera natura di Jovanotti: ”Ma chi è quello? l’Anticristo!”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). «A che cosa mira e dove approda la sua irrequieta ricerca? Che cosa ha rappresentato per la cultura italiana? Tutti ricordiamo le movimentate esperienze intellettuali e politiche attraverso cui il giovane Cacciari maturò il proprio inconfondibile stile di pensiero. Interveniva allora con stupefacente versatilità e incisività in molti campi: in filosofia, arte, letteratura, politica ed economia. Si era nei turbolenti anni Settanta, e più che alla costruzione di una filosofia Cacciari lavorava a un intrepido sfondamento dei blocchi compatti delle ortodossie attraverso una riconsiderazione delle esperienze più intriganti della modernità: la letteratura e le filosofie della crisi primonovecentesche (Musil, Hofmannsthal, Roth, Kraus, Loos, Spengler, Wittgenstein), la cultura di Weimar (in particolare Weber e Rathenau), il decisionismo di Schmitt ed Jünger, il pensiero ebraico (Rosenzweig). Un’operazione trasversale che ebbe il merito non solo di provocare scompiglio nell’autocomprensione della sinistra e di sollecitarne un rinnovamento, ma anche di riscoprire e sdoganare autori, testi e passaggi storico-concettuali dimenticati od ostracizzati. L’eclettismo delle sue ricerche non gli ha impedito peraltro di tracciare solchi profondi nel dibattito filosofico e politico. Ha lasciato il segno, per esempio, la sua individuazione e valorizzazione di quella corrente di ”pensiero negativo”, antidialettico e nichilistico, che attraversa il pensiero moderno, e che nella Distruzione della ragione Lukács aveva rabbiosamente bollato come irrazionalismo. Contro l’anatema marxista, e in parte contro la cultura einaudiana allora dominante in Italia, in Krisis (1976) Cacciari riabilitava tale pensiero come espressione di una intellettualità disincantata e come punta avanzata dell’autocoscienza borghese. E ciò gli consentiva di sfruttare per un’analisi critica del presente alcune intuizioni portanti del nichilismo europeo. Un altro solco profondo Cacciari lo ha tracciato con la sua prima produzione adelphiana: Dallo Steinhof (1980), Icone della Legge (1985), L’Angelo necessario (1986). Termine di confronto è qui la modernità letteraria, filosofica, artistica e musicale, che nella baldanzosa immagine delle avanguardie appare come la definitiva liquidazione dell’antico e della tradizione. Cacciari invece ha portato alla luce le ”erranti radici” del mondo moderno, le sue sfuggenze, i conflitti senza conciliazione, i sentieri interrotti, l’assenza di un nomos condiviso. Di qui l’esigenza di riattivare risorse simboliche ancora praticabili. Come quella del Politico, riconsiderata nell’importante dittico filosofico-politico adelphiano: Geofilosofia dell’Europa (1994) e L’Arcipelago (1997). Ma soprattutto quella del Sacro e del Religioso. Un’apertura che inizialmente, nel mezzo del dibattito sulla secolarizzazione, lo poneva decisamente in controtendenza. E spiazzava molti ”atei di principio”. Dell’Inizio (1990) ha costituito la coerente e coraggiosa elaborazione speculativa di quest’apertura: Dio, il Principio, l’Assoluto, nella sua abissale ineffabilità, è qui posto di nuovo al centro della filosofia. Non per finalità edificanti, per ricavarne un’omiletica o una morale, ma per ragioni squisitamente teoretiche: cioè per sviluppare un’analisi della struttura originaria, un discorso filosofico sull’Inizio, sull’evento della Trascendenza, e per mostrarne le tracce nel nostro mondo segnato dalla ”morte di Dio”. Cacciari insomma si propone qui, per così dire, di risalire all’indietro le tappe del disincanto e della decostruzione, per ritrovare - oltre il nichilismo - la religione e il mito, con le loro potenti immagini. Della cosa ultima riprende questo discorso, e lo spinge avanti. Qualcosa nell’atmosfera generale è nel frattempo cambiato. C’è nell’aria un bisogno di teoresi filosofica e teologica, che si è variamente manifestato. Come se il diffondersi del pensiero debole avesse generato un bisogno di discorsi forti. Tanto per indicare un esempio: una serata sull’Essere, a Milano, che riempie un teatro. Cacciari aveva visto giusto. La potenza del suo discorso non è però alimentata da soluzioni, ma piuttosto da aporie e da domande. Perché la filosofia è l’arte di formulare lucidamente problemi, e filosofo chi sa inventarsi ragioni per dubitare dell’evidente. Perché nell’oceano della filosofia si pesca meglio con la rete del dubbio. Soprattutto quando, come qui, il discorso risale fino all’Inizio o alla Cosa ultima. Cioè a quell’Invalicabile oltre cui l’anima umana, ragionando e credendo, non rimonta. Ma che cos’è e come può essere determinato questo Primo e Ultimo a cui tutto è appeso, e che dunque non tollera determinazioni? Nella forma di un serrato dialogo a tre voci – l’Intelletto, la Fede, l’Autore - Cacciari prepara e sviluppa il problema in un incalzante susseguirsi di spunti e controspunti, intuizioni, affondi, analisi, riflessioni, che impegnano e deliziano il lettore. Si prendano le pagine sul Conosci te stesso, l’enigmatica esortazione all’ingresso del tempio di Delfi, che invita alla cura dell’anima, dunque alla meditazione filosofica intesa come saggezza ed esercizio di vita, prima che come costruzione di edifici teorici difficili da abitare. Oppure quelle su Politica e profezia, dove, nel confronto con Kojève, si delinea la contrapposizione dialettica tra politica e sapienza, impegno pratico e teoresi. O, ancora, quelle che sciolgono la tradizionale ostilità di Preghiera e pensiero. E molte altre ancora, tutte convergenti verso la cosa ultima. Daccapo chiediamo: di che Cosa si tratta? Semplificando, potremmo dire che la teologia l’ha chiamata Dio, la filosofia occidentale Essere. Non c’è niente che stia più in alto di Dio: da Lui tutto è stato creato. A sua volta l’Essere è la determinazione più universale, che tutte le altre abbraccia: non c’è cosa di cui non si possa dire che non sia. Perfino del nulla diciamo che è, almeno in un certo debolissimo senso. Ebbene, per dare un nome alla cosa ultima, la tradizione speculativa occidentale ha congiunto l’una e l’altra determinazione, Dio e l’Essere. Essa si è costituita come onto-teo-logia. Ma così facendo, ha contaminato Dio con l’Essere: la potente idea ebraico-cristiana del Principio è stata attirata nell’orizzonte linguistico-concettuale della filosofia greca. Il Dio dell’Esodo è stato ellenizzato: ha fatto il suo trionfale ingresso in filosofia, ma in cambio è stato sottoposto al giogo dell’Essere. Da Dio-Padre si è trasformato in ente, sia pure summum ens. Ma entro l’orizzonte dell’onto-teologia Dio-Padre smette di parlare in prima persona e diventa il Dio dei filosofi: un Dio che può essere dimostrato e che non ha più bisogno di essere pregato. Cacciari si ribella contro questo esito onto-teo-logico della filosofia. Rifacendosi soprattutto alla tradizione platonica e neoplatonica, intende pensare la cosa ultima ”oltre l’Essere”. Il problema è: esiste alcunché che possa stare prima di questa che è la determinazione più universale di tutte? Se la tradizione dell’onto-teologia ha pensato l’Essere come la pienezza completa di tutte le determinazioni, ci può essere, oltre l’Essere, una totalità ancora più ricca? Per Cacciari è il Possibile, ovvero l’Infinito che, comprendendo tutte le possibilità, è ciò di cui nulla può essere negato (se non l’impossibile). L’Infinito come ciò che non è suscettibile di alcuna limitazione e che dunque tutto circomprende: l’Essere come il Non-essere. Con questo discorso, che per forza di cose si presenta qui schematico e contratto, ma che nel libro si fa vibrante e vertiginoso, Cacciari alimenta almeno una convinzione preziosa in tempi di bisogno come i nostri: tutto è banale, se l’universo non si impegna in un’avventura metafisica» (Franco Volpi, ”la Repubblica” 2/6/2004).