19 febbraio 2002
Tags : Uri Caine
Caine Uri
• . Nato a Philadelphia (Stati Uniti) l’8 giugno 1956. Pianista. Compositore. «Geniale pianista di Philadelphia, salito alla ribalta per la sua rilettura originalissima di Schumann, Wagner e Mahler» (Paolo De Bernardin, ”la Repubblica” 22/7/2001). «Improvvisare, in musica, è come visitare il suk di Marrakesh: sai benissimo da dove cominci, ma non hai la minima idea se, e quando, ne uscirai. proprio su questo ”smarrimento del tempo” che affina le unghie, da sempre, l’ars improvvisandi di Uri Caine: un tema, un accordo, un ritmo vengono dilatati e stirati oppure accorciati e raddensati in modo assolutamente imprevedibile. Un gioco fine, e a volte un po’ cinico [...]» (Guido Barbieri, ”la Repubblica” 12/9/2005). «Nato a Filadelfia (’crescervi è stata una formidabile esperienza musicale. Sono venuto su suonando jazz, soul, funk, classica e libera improvvisazione: questa formazione mi ha instillato un indistruttibile senso di avventura e divertimento nella musica”), pianista e compositore fra i più geniali d’oggi, capace di prestare il suo talento e la sua originalità a Schumann e Mahler come al funky o al klezmer, agli standard di Tin Pan Alley e alle pagine di Zorn, applaudito tanto nei festival jazz quanto a Salisburgo. [...] ”Molte musiche stimolanti convivono nella contemporaneità e con qualche ricerca uno può intercettare tradizioni di molte epoche e luoghi. Il computer inoltre ha spalancato nuovi mondi. Le scelte dei materiali diventano così un fatto individuale. Ovviamente quando uno vede che il proprio sentiero è bloccato spesso deve trasformarsi nell’organizzatore dei propri progetti: buona parte della produzione attuale d’interesse vive ai margini delle burocrazie culturali consolidate. [...] La musica è simbolo di libertà, espressione individuale e anticonformismo: per me è stimolante e vitale scavare nelle diversità e nel funzionamento dei tanti generi e stili di oggi, mettendoli a confronto e sovrapponendoli. [...] Sono cresciuto in una famiglia non religiosa, l’ebraico è stata la mia prima lingua, così come parecchie dei miei iniziali ricordi musicali sono la voce del cantore in sinagoga, le canzoni ebraiche del venerdì notte, i dischi askenaziti e sefarditi che sentivo a casa. Ma quando mi sono imbattuto in Miles, Coltrane, Stravinsky e James Brown ho realizzato che c’era dell’altro là fuori che avevo voglia di scoprire, e che il mio essere ebreo era solo una parte della mia personalità musicale”» (Paolo Russo, ”la Repubblica” 12/9/2003). «Iperproduttivo e vulcanico paladino della trasversalità degli stili. [...] ”Oggi succedono tante cose, non c’è solo un modo o una filosofia di fare musica, ma una varietà di segnali. Da Berio e Stockhausen si arriva ai deejay elettronici più stimolanti senza traumi. Io continuo a sentirmi felice come musicista, ma sono grato all’Italia di offrirmi le opportunità che negli Stati Uniti nessuno mi darebbe"» (Giacomo Pellicciotti, ”la Repubblica” 17/6/2003).