Varie, 19 febbraio 2002
CALASSO
CALASSO Roberto Firenze 30 maggio 1941. Scrittore. Saggista. Editore. Presidente e amministratore delegato dell’Adelphi (dove fu chiamato nel ”62, a 21 anni, da Bobi Bazlen) • «Raffinato editore e mediocre scrittore, si è laureato con Mario Praz presentando una tesi sulla teoria ermetica del geroglifico in Sir Thomas Browne, erudito e occultista secentesco. Infatuatosi poi del filosofo Theodor W. Adorno, che ne apprezzò la solerzia bibliografica (’Ha letto tutti i miei libri e anche quelli che non ho avuto ancora il tempo di scrivere” disse di quel ventenne incontrato nel salotto di Elena Croce), si riprese dalla sbandata francofortese grazie a Bobi Bazlen, lettore onnivoro e fondatore dell’Adelphi, che gli spiegò come ”l’io illuministico non andava salvato ma condotto a naufragio definitivo” e gli dischiuse le porte della cultura mitteleuropea che avrebbe segnato il suo destino di editore eclettico e esoterico ”estraneo sia al bigottismo della sinistra sia al buzzurrismo della destra”. Tocca la perfezione nelle quarte di copertina. Ha il grande merito di aver rifiutato la pubblicazione del libro di Scalfari dopo averglielo fatto riscrivere per due anni. Ha imposto norme redazionali ascetico-maniacali, senza restare sordo alle lusinghe mondane. Ama veleggiare, quando può, ospite degli Agnelli sullo Stealth. Ciononostante, continua a fumare le puzzolentissime Gauloises sans filtre. Sua moglie, la scrittrice svizzera Fleur Jaeggy, è bella, diafana e ama offrire i propri versi a Franco Battiato che poi ne fa canzoni» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). «Luciano Foà aveva lasciato l’Einaudi e insieme a Roberto Olivetti aveva fondato questa nuova casa editrice, il cui programma era in gran parte nella mente di Roberto Bazlen. Foà era amico di Bazlen, e voleva fare con lui certi libri che altrimenti non si riuscivano a fare. Quanto a me, venni coinvolto nel 1962, quando il nome Adelphi non era ancora stato trovato. [...] Forse a distanza di tanto tempo vale la pena di dire certe cose, anche in modo un po’ drastico. Negli anni Cinquanta in Italia, paese di civiltà editoriale ottima ma gracile, per via del periodo fascista e della precedente pochezza intellettuale, vi erano tre aggregazioni: quella marxista, quella laico-liberale e quella cattolica. I marxisti, se erano intelligenti, leggevano i libri Einaudi, o comunque Il contemporaneo. I laici-liberali leggevano Il Mondo e i cattolici, tendenzialmente, leggevano assai poco. I democristiani erano appagati dalla pura gestione del potere e avevano capito che la cosa più accorta era quella di lasciare la cultura alla sinistra. In questo quadro Adelphi si affacciò come un corpo estraneo. [...] Allora però i libri che a noi sembravano più importanti per tre quarti mancavano. [...] Per quel che riguarda la letteratura, il vuoto era enorme. Si era in un’epoca in cui perfino la categoria del fantastico suonava sospetta, non so se mi spiego. Per questo facemmo subito L’altra parte di Kubin e il Manoscritto trovato a Saragozza di Potocki. C’era solo l’imbarazzo della scelta. [...] Einaudi è stata la forma più alta che abbia raggiunto in Europa nel dopoguerra quello che chiamerei il sovietismo illuminato... [...] Anche Il Mondo, se lo si apre oggi, fa riflettere. Persone degnissime, come sappiamo, ma sui libri, a parte gli estri del giovane Arbasino e di Wilcock, offrivano ben poco. Quanto alla politica, l’orizzonte più vasto erano le ”riforme senza spesa” di Ernesto Rossi e le diatribe sul Concordato e i padroni del vapore. Intanto nel mondo succedeva qualcos’altro... E poi erano signori in doppiopetto con una gran soggezione per il doppiopetto di Togliatti. Ovvio che incontrammo difficoltà. Ma all’inizio non fummo attaccati, fummo ignorati. Fa ridere, ma quando uscirono i primi volumi dell’edizione critica di Nietzsche, che prevedeva 3000 pagine totalmente inedite, ci fu un silenzio assoluto. [...] Aurora è del ”64. E la voga di Nietzsche cominciò solo dopo il ”68, di rimbalzo dalla Francia. Solo perché c’erano Deleuze o Foucault, o Derrida per i quali ovviamente Nietzsche era essenziale. [...] Un contributo decisivo fu dato in un momento critico da Carlo Caracciolo, che aveva in testa un progetto lungimirante: una costellazione di case editrici di alta qualità con programmi molto diversi. Così diede un sostegno distributivo a noi e a Boringhieri. Poi lui aveva l’Etas Kompass. Perdemmo, perdemmo. Una volta un croupier mi disse che per essere veri giocatori bisogna perdere l’equivalente di un grande tavolo da roulette, con tutti gli ammennicoli. Poi si comincia a giocare davvero. [...] Venne il ”68, e di letteratura era vietato parlare. Noi, in quell’anno, pubblicammo il libro più frivolo della nostra storia, Le sorelle Brontë, di Bernard de Zogheb, scritto nel linguaggio delle cameriere di Alessandria d’Egitto. Però facevamo anche i veri libri del momento, cioè Alce Nero parla, Il Monte Analogo di Daumal, Il libro dell’Es.... [...] A parte Foà, c’erano Nino Cappelletti all’ufficio tecnico, Piero Bertolucci in redazione, la contabile Ermanna Fontanesi e la segretaria di Foà, Gilda Granzotto. [...] Ogni giorno, di pomeriggio, vedevo Foà e parlavamo di tutto. Tornando alla storia, dopo il ”68 insistemmo nel fare proprio ciò che secondo lo spirito corrente non andava fatto. Ricordo che quando pubblicammo Karl Kraus, nel 1972, Erich Linder - uno dei pochi che lo conoscevano - mi disse con il suo tono di sicurezza assoluta: ”Ne venderete venti copie”. Non fu così, ma ci volle un po’ di tempo. Ricordo le 3000 copie con cui partimmo per la Cripta dei Cappuccini, di Joseph Roth. Era allora un ignoto, poi diventò la passione dei giovani dell’ultrasinistra. [...] Già nel ”78, la prima tiratura del Profeta muto di Roth fu di 30 mila copie. Quanto a Siddharta, dilagò dopo l’edizione nella Piccola Biblioteca, che è del ”75. Fino a oggi ha venduto due milioni e 100 mila copie. Fu intorno agli anni Settanta che cominciammo a percepire la presenza di un misterioso pubblico, che stava diventando molto vasto... [...] Non furono le grandi opere ad affossare l’Einaudi, ma legioni di professori universitari politically correct prima ancora che l’espressione esistesse. Del resto, è un fatto: l’Einaudi poteva anche pubblicare Proust e Musil, ma il suo tono era sempre prescrittivo, e dietro sentivi la presenza dell’asse Gramsci-Lukàcs. Così come dietro a noi si avverte la presenza di Nietzsche. La distanza rimaneva notevole. [...] I singoli successi non erano mancati da subito. Ho già accennato a Potocki e a Groddeck, ma c’erano anche Lorenz o Milarepa... Solo che all’inizio la collana che li ospitava, la Biblioteca, sconcertava non poco, perché accoglieva libri di ogni genere ed epoca. Poi qualcuno cominciò a cogliere i nessi fra questi libri. E così nacque la fortuna e la forza del marchio. Ne avemmo conferma quando avviammo la Piccola Biblioteca, nel 1973. Allora il senso dell’impresa fu colto al volo. [...] Schnitzler, con Doppio sogno, partì bene già nel ”77. Oggi siamo alla trentunesima edizione. Di Hesse e Roth ho già detto. Poi c’è il fenomeno Simenon, che è enorme, più forte che in qualsiasi paese al mondo, inclusa la Francia. I romanzi non-Maigret nella Biblioteca vendono come minimo 70 mila copie. Quanto a Marai, finora ha venduto nell’insieme più di 800 mila copie. [...] Ovviamente Sciascia. Il Gödel, Escher, Bach di Hofstadter; o Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, o Oliver Sacks, che cominciammo a pubblicare allora... [...] Il marketing, una disciplina che non abbiamo mai praticato. Ogni tanto ne incontro un rappresentante e mi dice che ci considerano un esempio da imitare. Ma non so bene a che cosa si riferisca... [...] Pensi che - salvo nei primissimi mesi - non abbiamo mai avuto un grafico. Vizi e virtù son tutti nostri. E, se mai, di Aubrey Beardsley: l’impianto della Biblioteca riprende una gabbia ideata da lui. vero comunque che, sin dall’inizio, Foà e io concordavamo nel dare molta importanza sia alla qualità delle traduzioni, sia all’aspetto fisico, tattile del libro. [...] All’epoca imperava l’eccellente grafica dell’Einaudi, che era tutta basata sul bianco e sulle carte lucide. Prendemmo la strada opposta. [...] I risvolti? Mi sarebbe costato più tempo e fatica spiegare a qualcun altro quello che volevamo. E poi probabilmente ci avrei rimesso le mani. [...] Ricordo il primo risvolto, quello per l’Erewhon di Samuel Butler. Ero a Londra, e c’era una gran fretta. Fin dall’inizio mi ha divertito la scommessa di questo genere letterario. Provare a dire il massimo con il minimo di parole. Certo, con un risvolto si cerca la complicità del lettore. Ma quale scrittore non lo fa? [...] Ci sono vari gradi di insoddisfazione. Ma non c’è nessun libro su cui abbia cambiato radicalmente parere. [...] Dietro l’Adelphi c’è il progetto di una casa editrice come forma. un punto che stabilisce una divisione netta nell’editoria. Kurt Wolff, la Insel, Gallimard, Einaudi, Suhrkamp sono applicazioni ogni volta diverse di quell’idea... La casa editrice come forma è una somma di oggetti cartacei che messi insieme possono anche essere considerati come un unico libro. [...] Snobismo è una parola di vastissima oscillazione: va dalla penosità alla santità. E comunque mi sembra arduo applicarla a un catalogo dove, seguendo l’ordine alfabetico, si va da Artaud a Simone Weil. [...] Ci sono state varie strategie d’opposizione a quel corpo estraneo che Adelphi era e, per molti versi è tuttora. [...] Tanti grandi scrittori hanno detto sciocchezze, di destra o di sinistra. Il fatto di aver scritto buoni libri non è sufficiente a rendere le persone buone. Ma i libri rimangono. [...] Ai nostri autori non chiediamo il passaporto. Comunque se un viaggiatore scendesse in Italia da un qualche luogo remoto e avesse in mano soltanto il catalogo Adelphi, ci trovrebbe Manganelli, la Ortese, Sciascia, Savinio, Satta, Morselli, Arbasino, Ceronetti, Landolfi, Praz, Solmi, Flaiano, la Campo e altri ancora. Autori diversissimi, ma credo che quel viaggiatore ne trarrebbe una visione molto attraente di quello che la lingua italiana ha dato negli ultimi cento anni... [...] Abbiamo continuamente a che fare con ignoti, in arrivo dall’Italia e dall’estero. Un caso recente è quello che mi sembra uno dei più notevoli romanzi dell’anno: Ritorno a casa di Natasha Radojcic-Kane. Ci arrivò come manoscritto di una giovane donna serba che doveva essere pubblicata da un piccolo editore americano. vero però che, se un anno non troviamo esordienti che ci convincono, non ne pubblichiamo. [...] A volte passano decenni di ibernazione, come Braci di Marai. Quando uscì In Patagonia il libro fu accolto con indifferenza. Chi è questo Chatwin? un romanzo? E perché la Patagonia? Non possiamo però lamentarci di quel che è seguito. E poi questi periodi di latenza hanno un certo fascino. Se i libri non avessero una vita imprevedibile, sarebbe meglio occuparsi d’altro» (Enrico Regazzoni, ”la Repubblica” 19/9/2003).