Varie, 19 febbraio 2002
CAMILLERI
CAMILLERI Andrea Porto Empedocle (Agrigento) 6 settembre 1925. Scrittore • «Creatore del commissario Montalbano e di altre gioiose macchine da guerra editoriale con cui ha occupato manu militari le classifiche dei più venduti» (Maurizo Assalto). «I lettori e telespettatori italiani lo conoscono soprattutto come l’inventore del commissario Montalbano ma ha incominciato a lavorare come regista teatrale nel 1942. Da allora ha messo in scena più di cento opere, fra le quali molti testi di Pirandello. stato lui il primo a portare in Italia Beckett, mettendo in scena Finale di Partita nel 1958 al teatro dei Satiri di Roma. Ha rappresentato testi di Ionesco, Adamov, Strindberg, T.S. Eliot e Majakovskij. Numerose sono anche le regie di opere teatrali e di romanzi sceneggiati per la televisione. Fra esse si ricorda il ciclo Rai dedicato al teatro di Eduardo, oltre a due delle più note produzioni poliziesche della storia televisiva italiana: Il tenente Sheridan e Il commissario Maigret. Oltre che a svolgere il lavoro di autore, sceneggiatore e regista, ha insegnato al Centro di cinematografia sperimentale di Roma dal 1958 al 1965 e dal 1968 al 1970. Per vent’anni, dal 1977 al 1997 è stato titolare della cattedra di Regia all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico. Oltre ai corsi, le conferenze e gli stage sulla regia tenuti in Italia e all’estero, ha collaborato a diverse riviste specializzate, fra le quali: ”Ridotto”, ”Sipario”, ”Dramma”, ”Le théatre dans le monde”» (’Corriere della Sera”, 28/11/2001). «Potrebbe essere definito da chi ama le compiaciute reminiscenze scolastiche un ossimoro, e cioè un connubio di contrapposizioni e di opposti dato che è uno scrittore popolare e insieme colto, intelligente, raffinato e insieme supercommerciale. Più sbrigativamente potrebbe essere catalogato come un fenomeno, visto che riesce a trasformare la letteratura in un prodotto di largo consumo. Una vaga parentela con certi gufi saggi e amabili dei cartoni animati, un vocione fondo da tabagista [...] ”Quella di Camilleri è una narrativa da intrattenimento alto”, sentenziava Carlo Bo. Particolare non da poco: un tipo di narrativa quasi inesistente in Italia. [...] ”Spesso utilizzo come miniera un’inchiesta governativa del 1875 sulla Sicilia, un documento con trascrizione stenografica delle interviste della commissione. Mi basta una frase, uno spunto qualunque. Per esempio: per La stagione della caccia sono partito dal dialogo tra il senatore Cusa e un sindaco della provincia di Caltanissetta: ’Da queste parti avete fatti di sangue?’ , ’No, eccellenza, solo un delitto d’amore con sette morti’. Un’altra inchiesta di quegli anni, la Franchetti-Sannino, si limitava ad elencare una serie di conclusioni. Franchetti però scrisse un diario siciliano e in una sua pagina si parla di un ispettore di mulini che trovò un prete morente per una fucilata, diede l’allarme ma venne accusato dell’omicidio. Questo l’avvio de La mossa del cavallo. [...] Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l’italiano. Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché l’italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione ’la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa’: è diventata la base del mio scrivere [...] La mafia nei miei libri è presente, ma spesso come un rumore di fondo. Occuparsene direttamente non è compito degli scrittori, ma della polizia e dei carabinieri o dei sociologi. In effetti a me non interessa descrivere una realtà siciliana, ma una realtà di potere. [...] Ho cominciato a scrivere giovanissimo e delle mie antiche poesie restano tracce in un’antologia di Ungaretti. Poi uno stop lunghissimo: oltre trent’anni di teatro e di televisione. Quando nel ’68 ricominciai fu come riaprire una parentesi. Ma fino al ’92 un’altra pausa, il mio lungo addio al teatro”» (Donata Righetti, ”Corriere della Sera” 7/4/2003).