Varie, 19 febbraio 2002
CAMMARIERE
CAMMARIERE Sergio Crotone 15 novembre 1960. Cantante. Autore. Terzo al Festival di Sanremo 2003, nel quale ha anche ottenuto il premio della critica • «[...] è un tipo anche buffo, un neofita dello starsystem che raccoglie a 44 anni, e con sorpresa, i primi segnali diretti che sì, ce l’ha fatta. [...] Con le sue musiche pianamente colte, con appena quel pizzico di manierismo da cui a tratti si lascia prendere alla tastiera, Cammariere è ora la voce della speranza per la musica in Italia. lui la prova provata che per piacere a un qualificato ma vasto pubblico non è necessario essere scemi e superficiali e scimiottare e copiare gli americani e scrivere canzonette di plastica. [...] Dietro la tremenda determinazione, e l’accanimento pianistico, s’intuiscono le fatiche di una lunga gavetta. La voce asciutta, quasi rauca, fa invece da curioso contraltare a tanta abbondanza strumentale. [...]» (’La Stampa” 16/1/2005) • «La ballata dell’eroe» è un rispettabile omaggio a De André «Se c’è un personaggio al quale si addice, fino in fondo, l’etichetta di cantautore, questo è lui. Non perché lo sia (e volendo essere rigorosi non lo è, visto che s’occupa principalmente della musica, lasciando ad altri, ed in questo caso a Roberto Kunstler, il compito di scrivere i testi) quanto perché il suo universo musicale di riferimento può essere completamente circoscritto alla canzone d’autore. ”Si, sono un cantautore, ma sono impuro”, dice lui, ”un po’ come lo era Battisti”, aggiunge ridendo. Ed ha ragione. Sa mescolare bene le carte che conosce meglio, il jazz, la canzone, ma soprattutto ha una straordinaria capacità nel proporre la sua musica dal vivo, frutto di una lunga gavetta fatta di centinaia di concerti in tutta Italia. […] ”Fare gavetta mi si addice. Ho lasciato Crotone che avevo 18 anni, ho fatto il barista, sono sopravvissuto mangiando alla mensa universitaria, non è stato facile fare musica, ma non mi è mai venuta voglia di mollare. Anche perché non sono mai stato da solo, in dieci anni dal vivo ho sempre suonato per un pubblico che mi ha seguito ed apprezzato […] Negli anni Novanta, quando io avevo pubblicato il primo disco, per i cantautori era finita, c’era da aspettare qualche decennio, dicevano i discografici. Oggi, invece, è cambiato il modo di pensare, e per noi c’è di nuovo spazio. La canzone d’autore oggi sta risorgendo, esiste ed è in buona salute […] Di grandi maestri ne ho tanti. Visto che il mio strumento è il pianoforte, molti sono pianisti. Nella musica classica, da Rubinstein a Gould, nel jazz da Bill Evans a Keith Jarrett. Poi i cantautori della scuola genovese, Tenco e Paoli, e poi i compositori come Carlo Alberto Rossi, Domenico Modugno, Bruno Martino. Ho avuto ascolti molto eterogenei, che hanno fatto sì che venissi fuori io”» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 19/11/2002) • «’All’età di 7 anni scoprii che riuscivo a suonare a orecchio al pianoforte qualsiasi musica. E questo ha condizionato tutta la mia vita”. Studia prima agraria e poi giurisprudenza a Firenze. ”In realtà suonavo, suonavo e basta. E mi mantenevo, e mi mantengo, suonando e cantando”. Il grande pubblico lo scopre quando, a Sanremo, firma con Kunstler un brano per Francesca Schiavo, Amore e guerra. Qualche anno dopo (1997) lo invitano al ”Premio Tenco”. Ha già uno zoccolo duro di fans fra il quali Pupella Maggio che, al teatro Flaiano di Roma, quando era in scena nel ”99 con lo spettacolo Oggetti smarriti, si commuoveva soprattutto per una canzone, Vita d’artista, riflessioni sul cognome del protagonista: ”Vivo d’artista quasi da sempre/con questo nome che non resta in mente/così difficile da ricordare/per uno che a casa non può più tornare”. ”Sì - ammette -, il cognome non aiuta. Finisce che non mi prendono sul serio. Ricordo quando Pippo Baudo, che mi presentava al ”Premio Crotone’, annunciò Cantautore piccolino come ”cantautore bambino’. Insomma, da Zecchino d’oro”. Tappe della sua carriera che ricorda di più? ”Una partecipazione a 11 anni al Festival di Castrocaro suonando la melodica soprano (tastierina da due ottave a fiato in una formazione diretta dal maestro Campagna,) un concerto di Branduardi visto a Crotone a 13 anni quando mescolava la sua musica ai versi delle Confessioni di un malandrino. Ora sono nella stessa casa discografica di Branduardi e Guccini, la Emi. Per me è già un punto d’arrivo”» (Mario Luzzato Fegiz, ”Corriere della Sera” 21/1/2001) • «Sono figlio di contadini, cugino di secondo grado di Rino Gaetano, pianista autodidatta. Ho cominciato a picchiare sui tasti a sette anni, semplicemente codificando geometrie armoniche nella mia mente. Appena diplomato, lasciai Crotone per Firenze. Per me era il centro del mondo. Lì aprii il Bogart. Facevo il barista e suonavo. E per ritardare il più possibile il servizio militare facevo un esame all’anno. Poi l’incontro decisivo con Roberto Kunstler. In una magica notte del 6 gennaio 1992 scrivemmo di getto sei canzoni. Ci sono voluti undici anni per chiudere il cerchio. Occasione dopo occasione. […] Tanto piano bar. Io non ho mai chiesto niente a nessuno, non ho mai bussato alle porte. Sono un incondizionato incondizionabile. Per sbarcare il lunario - per pagare l’affitto, lo pago ancora - ho fatto tutto, anche varietà televisivi con Arbore e I Tre Tre. E ascoltavo, ascoltavo, ascoltavo tutto. Poi mi chiamarono al Premio Tenco per un tributo a Sergio Endrigo. Non dimenticherò mai che Lauzi e Bindi venivano a congratularsi, mi hanno dato la forza di continuare. Ma sono state le colonne sonore a darmi il pane quotidiano. Insieme a quella borsa di studio vinta al Tenco. Cinquemila euro, un capitale per me. Ma sa che io ho suonato anche a casa di dell’Utri, quando Berluscononi non era ancora entrato in politica? Vent’anni fa. ”Silvio vuoi suonare?” Gli chiesero. E lui: ”No, no, fate suonare questo ragazzo, è molto più bravo di me”. […] Stavo per emigrare in Francia, o in Brasile. Poi in tre giorni facemmo questo album. Rispettando la grande tradizione italiana e inchinandomi di fronte al jazz e a Joni Mitchell. Sono un antroposofo: musica è vita, elevazione. Può diventare quasi scienza matematica, perfezione, comunicazione con Dio, un’orma dello spirito» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 9/3/2003) • «L’uomo piace, con quella sua aria un poco fané, il fisico da artista a digiuno, l’allure snob del debuttante in ritardo, la fama di autodidatta. Prima di lui solo Paolo Conte era esploso con tanta cautela ma i paragoni finiscono qui. Paolo Conte non è mai stato sospetto di ”pianobarismo”, che con tutto il rispetto per i pianisti da pianobar è una malattia preoccupante per uno che voglia invece far l’artista in proprio; su Cammariere un qualche dubbio continua ad aleggiare. […] Con i suoi baffetti da sparviero e l’aria un po’ dimessa (che più understatement di così non si può), se ne sta a un pianoforte a coda lungo un chilometro e suona con una tecnica tutta sua, che segue senza accademismi il filo dei pensieri. […] Si annusa nell’aria, fra il pubblico, una sana voglia di artigianato, una consapevolezza di élite che taglia fuori l’orridume propinato da tanta parte del pop in piena operazione harakiri» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 30/4/2003).