Varie, 19 febbraio 2002
Tags : Paolo Canè
CAN Paolo Bologna 9 aprile 1965. Ex tennista. Numero uno italiano nel 1987, 1989 e 1990, nel 1989 raggiunse il numero 26 nel mondo
CAN Paolo Bologna 9 aprile 1965. Ex tennista. Numero uno italiano nel 1987, 1989 e 1990, nel 1989 raggiunse il numero 26 nel mondo. Vinse il torneo di Bordeaux (1986), il torneo di Baastad (1989), quello di Bologna (1990). In coppa Davis ottenne 9 vittorie e 8 sconfitte • «Ricorda la racchettata assestata alle mani di un tifoso a Vienna: lui, dopo cinque ore e mezzo, stava soffrendo le pene dell’inferno e il tifoso, forse un parente dell’avversario, brindava a champagne. Gli sbriciolò la flute e un paio di falangi, prima di immolare se medesimo nella inevitabile sconfitta per squalifica. Ricorda anche gli insulti catartici al pubblico di Roma, qualche racchetta sfasciata (’Esagera chi dice duecento: saranno state quattro o cinque’), una lite a cielo aperto con Ocleppo, le discussioni avvelenate con Panatta. Dice: ”Sarò stato quel che sono stato, incazzoso e testa calda finché si vuole, però non mi sembra di aver mai ammazzato nessuno. Comunque sia, sto pagando con gli interessi il mio passato’. Ha i ricci lunghi, l’anellino all’orecchio sinistro, la memoria molto selettiva e una mezza dozzina di sassolini nelle scarpe. Stella stellina del nostro tennis, talento e levità, buon braccio, grinta da vendere, è il classico giocatore che quando giocav a accendeva discussioni infinite e che oggi, se ci fosse uno come lui, sarebbe soltanto manna. Erano gli Anni 80 e sembra trascorso un secolo. C’ è chi lo rimpiange, il segno che la traccia del tuo passaggio è rimasta. C’ è chi lo odia, idem come sopra. E rimangono, più o meno illuminati dagli spot della memoria, il passato, i ricordi, il sapore di una vita trascorsa tumultuosamente inseguendo con lo sguardo la pallina che andava, o sarebbe dovuta andare, oltre la rete e dentro le righe. Paolo i l caldo, Paolo l’irascibile, il rissoso, lo spericolato assaltatore del sistema centrale altrui. Per molti soltanto un maleducato, uno da evitare. Antipatico, forse, ma vivo. ”Certi giocatori di oggi - dice adesso Canè, intercettato in autostrada e placcato a Bergamo, la città dove ha vissuto per otto anni - vivono di puro tran-tran. Parlo dei nostri: c’è qualcuno che si ricorda di loro? Vedo cose strane e dolorose: Pozzi, il nostro miglior tennista, ha la mia età e non si preoccupa di perdere con giovani che non stanno nei primi 100 e che si permettono anche di prenderlo in giro. E Camporese? Camporese è stato numero 18 al mondo e adesso è lì che gioca challenge da 5.000 dollari, dove si fa battere e qualche volta strapazzare da sedicenni. Dico: ci vuole dignità in tutto, io spero di mettercela adesso che sono un tagliato fuori, un esiliato per demeriti pregressi, uno che sta pagando con gli interessi gli atteggiamenti di gioventù’. Primo sassolino che vola fuori dalla scarpa. Subito seguito dal secondo: Panatta. ”E’ stato un c.t. che mi assomigliava molto: un po’ dottor Jekyll e un po’ mister Hyde. Capace di farmi fuori dalla Davis nel 1989 e l’anno dopo di rincorrermi fino in Australia per riacchiapparmi e farmi giocare cont ro Wilander. Con Adriano adesso ho rapporti discreti: due anni fa l’ho anche chiamato dicendogli che, se voleva, ero a sua disposizione. Avrebbe potuto rispondermi di no, invece ha detto: va bene Paolo, ci penso e ti richiamo. Sto ancora aspettando. ..’. L’ idea che si è fatto è che in una federazione così, appena rinnovata nei ranghi, non del tutto assestata, in mezzo al guado del cambiamento, le qualità tecniche contino meno dell’affidabilità politica: ”Se temono che dia ancora di fuori, si s bagliano. L’ età mi ha maturato. Ho imparato, prima di sbottare, a contare fino a dieci e anche più. Ma ho l’impressione che mi vedano come un problema, uno difficile da sistemare. Non sono diventato un baciapile, ma nemmeno quello che, preso dall’ira, manda tutti a quel paese. Con Panatta, se mi chiamasse, sarei pronto a fare una scommessa: datemi da allenare un gruppo di giocatori che stanno tra il numero 200 e il 400, e vedrà che in un anno ne porto due o tre nei primi 100. Io ci so fare: oggi la mia professione è occuparmi di giovani, quando potrei guadagnare milioni allenando manager o bancari a botte di centomila lire all’ora’. Ha un’agenda ricca di progetti: con Francesco Trussardi, figlio dello stilista, vorrebbe organizzare tornei e stage. E domani partirà per l’Uruguay, dove lo aspetta un torneo over 35, la sua nuova dimensione. Il 5 febbraio 1990, a Cagliari, a Paolo Canè riuscì l’impossibile: batté Mats Wilander in Coppa Davis, al quinto set e con in mezzo un’interruzione per sopraggiunta oscurità. Fuori gioco gli svedesi che venivano da sette finali consecutive. Sulla ribalta il ribelle che, soltanto un anno prima, pareva perso alla causa italiana. Un giornale titolò brillantemente (’Canè si è ripreso l’accento’: fulminante), altri affibbiarono a Paolo il caldo l’ etichetta di salvatore della patria. ”Quello contro Wilander è stato il momento più emozionante della mia carriera: il più bello, il più sofferto. Certe partite hanno il potere di invecchiarti di qualche anno: è successo contro Wilander, o contro Oncins in Brasile, 40 gradi e mille di umidità. Non ho mai avuto un fisico possente: ero basso, 182 centimetri, anche per il tennis degli anni ”80, e ogni rovescio era una scudisciata alle spalle. Il conto finale delle operazioni chirurgiche è dieci, di cui tre alla schiena. Ho smesso definitivamente nel ”97 e forse avrei potuto andare avanti ancora qualche stagione: con i soldi guadagnati mi sono fatto la casa di Bologna dove adesso vivono i miei. Io sto a Como, viaggio molto, non ho basi fisse come quando stavo con la cantante Paola Turci: quella è una storia finita, ci sentiamo per telefono qualche volta. Però se penso ai soldi, mi viene il nervoso: a noi il passaggio di turno in Davis veniva premiato con quattro milioni, oggi si viaggia sui 60-70. E ben poco ha fruttato il bronzo olimpico di Los Angeles, nel 1984: sì, anche questo c’è nel mio curriculum, qualcuno forse non se lo ricorda. Il passato mi fa un po’ male: qualcosa ho dato, poco ho preso. Ma se tornassi indietro non cambierei nulla del mio carattere: starei soltanto più attento a costruirmi il futuro, magari diventando un rompiballe non solo in campo, ma anche fuori. Mi sono fidato di troppa gente: ero troppo ingenuo. Ho sbagliato anch’io, naturalmente. E ho anche commesso un grosso errore che non rifarei e che non voglio rivelare. Oggi è acqua passata’. Il suo tennis gli è rimasto dentro, ma crede che sia rimasto dentro anche agli appassionati di oggi: ”Connors, Lendl, Wilander, Cash McEnroe, Noah, Mecir, Becker, Stick, Leconte, Edberg, Nystroem, Agassi. Ecco i campioni del mio tennis. Vado avanti? Tranne Lendl e Becker, li ho battuti tutti, e sette o otto erano i numeri uno dell’ epoca. Nystroem, E dberg, Wilander: mi chiamavano l’ ammazza-svedesi. McEnroe e Leconte restano i miei esempi: il francese era discontinuo ma aveva colpi tecnici irraggiungibili. Adesso mi piace il cileno Rios, uno vecchia maniera, un mancino di talento. Ma predica nel deserto: oggi tutti picchiano forte, pochi sanno giocare a tennis’» (Claudio Colombo, ”Corriere della Sera” 19/1/2001).