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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CAPELLO

CAPELLO Fabio Pieris (Gorizia) 18 giugno 1946. Allenatore. Dal 2008 ct dell’Inghilterra. Col Milan vinse quattro scudetti (1992, 1993, 1994, 1996) e una Champions League (1994, sconfitto in finale nel 1993 e 1995). Con la Roma vinse lo scudetto del 2001, con la Juve quelli del 2005 e 2006 (poi revocati), col Real Madrid i campionati spagnoli 1996/1997 e 2006/2007. Da calciatore giocò con Spal, Roma, Juventus, Milan: con i bianconeri vinse tre scudetti (1972, 1973, 1975), con i rossoneri uno (1979, quello della Stella). In nazionale segnò un gol storico, quello con cui l’Italia nel 1973 ottenne il suo primo successo in Inghilterra (nello stesso anno segnò anche un gol nella prima vittoria degli azzurri in casa contro gli inglesi) e partecipò alla fase finale dei mondiali 1974 (in gol contro la Polonia) • «Cresce nella Spal di Paolo Mazza e arriva giovanissimo alla Roma. Carrello basso, impettito e un po’ compassato, organizza il centrocampo. Le virtù di regista gli valgono l’appellativo di ”geometra”. Italo Allodi lo preleva nel 1970, all’alba del ciclo bonipertiano. Capello è un radar, abile nello snellire il traffico, lesto nell’anticiparne lo sviluppo. In campionato, raccoglie 165 presenze e 27 gol. [...] Nel ”76, lascia la Juve e, in cambio di Romeo Benetti, approda al Milan [...]. In Nazionale, 32 presenze e 8 reti [...]» (’La Stampa” 26/1/2004) • «’Mio padre era maestro elementare e giocava nel Pieris, il più piccolo paese (1200 abitanti) mai arrivato in serie C. Faceva l’allenatore, puliva gli spogliatoi, tagliava l’erba del campo: passione pura. La guerra l’abbiamo sempre avuta vicino, essendo a 7 km dal confine. Da piccolo si parlava spesso della possibilità di finire dall’altra parte. Mio padre è stato prigioniero nei campi di concentramento tedeschi, ne cambiò 6 o 7 e si salvò per il rotto della cuffia. I suoi racconti sono ricordi indelebili”. La politica. ”Ho votato Lega una volta, era una voto di protesta. Ho votato anche per Craxi, per la Dc e il Pri. Voto per gli uomini. Alle ultime elezioni ho votato per il centrodestra ma sono deluso. Non gliene frega niente di chi li ha votati. Purtroppo pensano solo al loro orticello senza sacrificarsi per il bene nazionale. Se Berlusconi mi proponesse un posto al governo? Direi di no. Ho un grande rapporto con lui ma faccio l’allenatore: no al 100%. [...] Se non avessi fatto il calciatore avrei voluto fare il pilota di aerei. Mi piace volare, sono sempre rilassato: nessuna turbolenza mi fa paura. [...] A volte rispondo volutamente in maniera non consona. Mi dà fastidio essere etichettato da persone che non mi conoscono. Non sopporto che nelle domande si dicano falsità con tanta indifferenza. Ho la fortuna di non leggere i giornali e non vedere le trasmissioni tv, salvo quando vi partecipo per dovere. Se tutti facessero come la Gazzetta quando licenziò Mosca per un’intervista inventata, lavorereste in pochi. Meglio la pay tv di quei radiocronisti che inventavano azioni che non c’erano» (Emilio Marrese, ”la Repubblica” 23/11/2003) • «Ricordi madridisti? La meraviglia di una galoppata irresistibile, la costruzione di un gruppo fantastico, allestito con una pesca geniale (Seedorf, Panucci e altri ancora) e fondato su quella che ancora chiamano la ”Quinta di don Fabio”: Hierro, Roberto Carlos, Raul, Guti e Del Bosque, il tecnico baffuto che - specie agli inizi - gli fece da rompighiaccio, in ”un ambiente che è straordinariamente intrigante, ma va affrontato con grande personalità. Perché a Madrid, al Real e in generale in Spagna, vincere può essere importante ma non fondamentale. Lì vogliono dominare. E divertirsi”. Magari con lui non si divertirono neppure tantissimo, ma ora lo rimpiangono. Una sola temporada, ”96-’97, a restituire al Real lo scudetto di Liga clamorosamente strappatogli dall’Atlético di Jesus Gil. Toccata e fuga, il tempo di lasciare un segno indelebile: ”La capacità di creare solidarietà tra le stelle, di far impegnare tutti con la stessa intensità”, come disse Luis Del Sol. ”Forse”, la replica di don Fabio, che poco ama guardarsi indietro. ”Il passato conta poco, almeno per me. Ma quello del Real è vera leggenda”» (’Corriere della Sera”, 6/3/2002). E ancora: «Era il Real di Lorenzo Sanz. Una società in bolletta dura, ai limiti del fallimento. Ancora un po’ e ci pignoravano le coppe. Se non si fida, chieda a Florentino Perez... Ha presente i cinquanta miliardi sborsati da Moratti per Ronaldo? Bene: noi, all’epoca, facemmo il mercato più o meno con quella cifra. Tutto il mercato. Giuro. Illgner, Seedorf, Secretario, Roberto Carlos, Panucci, Mijatovic, Suker. Mi ci misi di buzzo buono, creai una squadra, non dico una squadra imbattibile, ma un gruppo capace di migliorarsi sempre, di partita in partita. Ogni spogliatoio ha il suo zoccolo. Quel Real, il ”mio” Real, si basava su Hierro, Redondo, Raul, Roberto Carlos. Cercai di tirare fuori il loro orgoglio. Ci riuscii. Fondamentale risultò la cinghia di trasmissione fra gli spagnoli e gli stranieri. E di spagnoli, per fortuna e per scelta, ne avevo tanti, e tutti importanti: Raul, Hierro, Alkorta, Sanchis, Amavisca, Canizares, Milla. Depositari del mito, sì, ma anche e soprattutto messaggeri, trombettieri. E’ chiaro che con Raul fu un colpo di fulmine. Un ragazzo squisito, tecnica raffinata, fiuto del gol. Completo, moderno, devastante. Altro che Owen... E le raccomando l’umiltà, la dedizione. Pur essendo ”nato” nell’Atletico, sull’altra sponda di Madrid, ha subito afferrato lo spirito del Real e se ne è fatto interprete, di più: missionario. Il più testone? Clarence Seedorf. Parlava sempre. Una volta lo sostituii per eccesso di spiegazioni. Avevamo preso un gol, non ricordo dove e contro chi. Colpa sua, naturalmente, ma lui ce l’aveva con Redondo, l’aveva preso di petto, gliene stava dicendo di cotte e di crude. Non le dico la faccia che fece quando il quarto uomo espose il cartello con il suo numero... Un anno splendido. Allenare il Real è una carica che ti porti anche al Prado. Rispetto totale, assoluto. E poi i musei, le corride, gli amici. Bastava guardarsi attorno per capire che già allora la Spagna ci avrebbe superati. Il modo di vivere, le infrastrutture, tutto: un’accelerazione formidabile» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 7/3/2002). «Pieris. ”Che vuol dire Pietre. Un paese di 1200 abitanti che ha dato 15 giocatori alla serie A. Mio padre Guerrino, maestro elementare, insegnava calcio. Stop e tiro, stop e tiro. Pieris era il campo oltre la strada, la caccia subacquea nell’Isonzo con l’elastico e le stecche degli ombrelli, qualche cavedano si tirava su, ma io e il mio amico Berto li chiamavamo squali. Pieris è il ricordo della bora, che veniva forte specie a febbraio, e allora si cercava il riparo dell’argine, sempre con le fionde. A 14 anni sono partito”. Ferrara. ”Brutto cambio, dal vento alla nebbia fitta, al caldo senza un filo d’aria. Città bellissima, e non solo perché ho conosciuto mia moglie Laura. Prendevamo lo stesso autobus, lei andava alle magistrali, io studiavo da geometra. Un anno, il primo, vivevo nel pensionato della Spal, poi a casa di due sorelle zitelle che cucinavano divinamente. In quegli anni è nata l’amicizia con Edy Reja, che dura ancora. Ma è stato un passaggio traumatico, a casa mia non c’era il telefono, ai miei scrivevo due lettere a settimana. Quando mio padre capiva che ero giù, veniva a trovarmi [...] C’erano state altre richieste. Una del Marzotto in B, lo allenava Vycpalek. Quando mio padre aveva già dato la sua parola a Paolo Mazza, presidente della Spal, s’era fatto sotto il Milan, con Gipo Viani. Viani diceva che avevo un compasso al posto dei piedi, e offriva il doppio. Ma la parola è parola, si figuri a quei tempi. E per me quello che decideva mio padre andava bene. Ricordo di quando avevo quattro anni, andammo in gita a Duino, lui mi aiutò a salire sulla scogliera e poi scese in acqua e mi disse di buttarmi. Saranno stati dieci metri e mi buttai, anche se come nuotatore ero scarso”. Roma uno. ”Abbagliante, non trovo un altro aggettivo. L’ho girata a piedi, guidato da un amico, Rubens Ricci, non romano ma innamorato di Roma. E come si faceva a non innamorarsi? Trastevere era ancora un posto vero, non per turisti. Si andava in trattoria da Brozzi, alla Balduina, gente splendida. Ed è in questo periodo che ho cominciato ad appassionarmi di politica”. [...] Torino uno. ”Come passare da un film a colori a un film in bianco e nero, non c’erano molte attrattive. Città scura, tetra, per fortuna ho trovato amici anche qui, e abbiamo riannodato i rapporti con Torino due. Il ristorante di Ilio era un rifugio. E Italo Allodi, appassionato d’arte, mi ha contagiato”. Arte astratta, risulta agli archivi: Klee, Mondrian. Come mai? ”Perché il figurativo si fa da sempre e a me interessavano di più quelli che cercavano un altro modo, un altro linguaggio”. Milano. ”Adesso che ci penso è la città dove ho vissuto di più, dai 30 ai 50 grossomodo. Ero preoccupato dalla nebbia [...] Avevo chiesto a Ciccio Cordova, napoletano. Starai troppo bene per accorgerti della nebbia, mi disse. Aveva ragione. Milano è una città splendida, aperta, dove trovi davvero di tutto di più [...] Ne ho studiato la storia, lo faccio sempre quando viaggio. Il bello dei mondiali in Corea è stato poter visitare la Cambogia, il Vietnam. [...] Madrid. Straordinaria, è la città europea dove vivere, adesso. Al di là dei musei, poco, ma che musei. I ”neri’ di Goya, che bellezza. In città c’è una luce netta, da mezza montagna, la gente è aperta e, a differenza di noi, sono molto nazionalisti [...] ho amici che allevano tori e amici toreri, è un mondo affascinante, con le sue regole, e dove a volte capita di sentir fischiare chi sta rischiando la vita [...] Non sono uno che dà molta confidenza, credo nel rispetto dei ruoli, in tv cerco di sorridere, ma non ci sto a farmi tirare in una polemica al giorno [...] io la gavetta l´ho fatta, prima di allenare in A: due anni agli Allievi del Milan, due alla Berretti, due alla Primavera. Non so se tutti i miei colleghi possono dire altrettanto. Magari, insegnerebbero più calcio e meno tattica [...] Liedholm. A trent’anni pensavo di non poter migliorare tecnicamente, eppure con lui sono migliorato. Ho imparato molto da lui” [...] Roma due. ”Diverso il mio ruolo. Trastevere improponibile. Riscopro San Lorenzo, faccio base da Pommidoro. Qualcosa di buono si combina”. Partenza un po´ brusca. ”Mi sono lasciato bene con quelli che mi erano vicini, famiglia Sensi compresa. Non è stata una fuga. Avevo programmato di andare in Spagna”. Mai pentito di aver dichiarato che non sarebbe mai andato alla Juve? ”Le cose valgono nel contesto in cui si dicono. Che so, potrei dire che non mi piace quel tale cantante e lui fra due anni fa una canzone stupenda. Non avrei mai pensato a una chiamata della Juve, questo sì. C’è una cosa a Roma che mi era rimasta sul gozzo, al penultimo anno. Gli striscioni esposti a San Siro, nel ritorno di Coppa Italia col Milan. Dimissioni, Capello vattene e cose del genere. Non pensavo di meritarli”. Però è rimasto un altro anno. ”Sì, per farlo al massimo, ma sempre con quella contestazione sul gozzo”. E arriviamo a Torino due. ”Grande fermento, cantiere aperto, i lavoro nel centro storico sono stati fatti bene. Di Torino mi piacciono il cioccolato, le librerie e i bar, anche quelli un po´ vecchiotti per non dire decadenti. Tutti pieni di specchi. Mai visti tanti specchi nei bar come a Torino”. [...]» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 20/1/2005).