Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CAPRIOGLIO

CAPRIOGLIO Deborah Venezia 3 maggio 1968. Attrice. Diplomatasi a Roma, al liceo classico, ha iniziato a lavorare con il film Paganini a cui sono seguiti Nosferatu a Venezia, Saint Tropez Saint Tropez, Paprika, Storie d’amore con i crampi, Con gli occhi chiusi, Albergo Roma ecc. «Nonostante l’aria innocente e lo sguardo vago, Debora Caprioglio lavora già da vent’anni. Ha cominciato a diciotto con Klaus Kinski, il tenebroso attore di Herzog di cui era innamorata. Il lancio con Tinto Brass sembrava averla relegata a ruoli di signorina tutta tette e niente cervello finché Francesca Archibugi non la volle protagonista di Con gli occhi chiusi. Era l’inizio di una nuova carriera, ma la Caprioglio, sorprendendo di nuovo, si mette a fare teatro con il suo compagno Geppy Glejieses, alternando le lunghe tournée a qualche apparizione televisiva. Finito il legame con Glejieses molti pensavano che sarebbe finita anche la passione per il teatro. E invece no. Al teatro Debora Caprioglio, anche da sola, non rinuncia: ”Mi piace trovarmi davanti al pubblico, girare da una città all’altra, imparare un testo a memoria”. [...] Facile recitare senza aver mai studiato recitazione? ”Mah. Ho imparato facendolo. Ho frequentato qualche stage. Ho seguito un corso di dizione. Dicevano che si sentiva troppo l’accento veneto, poi però spesso mi hanno chiesto di rifarlo. E anche qua, adesso, sono una donna dell’Italia del nord, con la mia bella cadenza settentrionale”» (’La Stampa” 16/2/2004) • «Appetitosa, procace, giunonica, con un corpo tutto curve fin da quando aveva dodici anni. Un corpo che all’inizio la metteva a disagio: il classico imbarazzo di una ragazzina che all’improvviso si ritrova con le forme di una donna e, senza troppi risultati, si infila in vestiti larghissimi che nascondano seno, fianchi e sedere. Da allora, ha attraversato con disinvoltura le mode delle ragazze anoressiche, tutte crisi e spigoli, e giura che alla sua procacità si è poi abituata; che, anzi, le è stata pure d’aiuto, perché ha riscattato il suo viso ingenuo e innocente. Vedeva gli sguardi degli uomini, se li sentiva sulla pelle, ed erano sguardi di ammirazione, di compiacimento, che, piano piano, cominciarono a darle sicurezza, orgoglio. Tanto da indurla a partecipare, nell’estate dei suoi diciassette anni, a uno dei soliti concorsi per miss. Fu una decisione presa così, per uscire dalla solita routine. E invece vinse. Fu eletta ”Un volto nuovo per il cinema”, anche se al cinema non aveva mai pensato seriamente: lei, come la maggior parte delle bambine che studiano danza classica, sognava di fare la ballerina. E invece, si ritrovò attrice. Nella giuria di quel concorso c’era infatti Klaus Kinski, l’uomo diabolico e misterioso che, già oltre i cinquant’anni, si interessò subito alla bella ragazza veneziana e la scritturò per il suo film Paganini. Un interesse che dal professionale passò presto al personale, dando vita a una storia d’amore intensa. [...] Dopo Kinski arrivò Tinto Brass, che la scelse per Paprika. [...] La critica naturalmente la fece a pezzi, ma la ragazza non si scompose più di tanto: ”Sapevo che poteva servirmi per catturare attenzione, e così fu. Ci sono moltissime attrici che, all’inizio, hanno fatto cose orrende, e poi si sono riscattate con scelte di qualità e prove migliori... per me è stato lo stesso. [...] Poi è arrivata Francesca Archibugi che mi ha voluta per Con gli occhi chiusi, in una parte drammatica, sofferta, in cui era convinta che sarei riuscita bene. Per fortuna, se ne è convinta anche la critica, e da lì è stato tutto più facile”. [...]» (Lucia Castagna, ”Sette” n. 38/1997).