Varie, 19 febbraio 2002
CAPRIOLI
CAPRIOLI Anita Vercelli 11 novembre 1973. Attrice. Figlia d’arte (la madre era attrice in piccole compagnie teatrali), ha studiato recitazione tra Milano, Roma e Londra. Debutta sul grande schermo con Tutti giù per terra di Davide Ferrario (1997), Fuochi d’artificio di Leonardo Pieraccioni (1997), Un tè con Mussolini di Franco Zeffirelli (1999), Denti di Gabriele Salvatores (2000), Vajont di Renzo Martinelli (2001), Santa Maradona di Marco Ponti (2001), Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone (2003). Ha recitato nei film tv: La donna dei tre no di Carlo Lizzani, Tre addii di Mario Caiano e Domani di Ciarambino, prodotto da Ermanno Olmi. «Per il grande pubblico è la romantica e infelice Cathy di Cime tempestose che Emily Brontë scrisse nell’Inghilterra dell’ottocento e Fabrizio Costa ci ha fatto vedere [...] in televisione. Ma Anita Caprioli [...] è molte altre cose ancora. Tanto teatro, prima a scuola a Milano, poi a scuola a Roma, infine sul palcoscenico, e dopo l’incontro con Ermanno Olmi, anche tanto cinema italiano da Tutti giù per terra di Davide Ferrario [...] a Manuale d’amore di Veronesi. [...] ”Leggo attentamente i copioni e parlo a lungo con il regista. Cerco ruoli che non ho mai fatto prima perché un’attrice è questo che sogna. Poimi butto. E spero di non aver fatto un passo falso”» (Simonetta Robiony, ”La Stampa” 9/6/2005). «Lo sa che sembra francese? ”Me lo dicono tutti. Non sono di facile collocazione al cinema. Spero che non diventi un problema”. Sfugge a definizioni di comodo, le piace il lato nascosto delle cose, l’ineffabile, dar colore alle voci di dentro. Insomma non la vedrete mai nei film di Vanzina e nei calendari: ”Non sono il tipo”. entrata nel suo momento d’oro. [...] ”Mi piacciono i percorsi laterali, raccontare film che diventano progetti. Penso a L’ora di religione di Bellocchio, dove un sacerdote mette in discussione tutto quello che ci hanno fatto credere del cattolicesimo”. [...] Lei è figlia degli anni ”80. ”Una generazione fin troppo tranquilla. L’edonismo, il superfluo, la superficialità. Ero distaccata, ripiegata in me stessa, come ibernata. Mi sentivo svuotata, ci siamo trovati con l’iperconsumismo... l’iper tutto. Non c’erano griglie che filtravano. Più tardi mi sono costruita la mia scala di valori, senza fermarmi su verità acquisite. Ho studiato recitazione tra Milano, Roma, Londra. La mia ribellione era anche il mio nomadismo. Ho respirato teatro fin da piccola, mia madre recitava in piccole compagnie, la baby sitter non c’era e il suo camerino era la mia stanza da giochi. [...] Ho grande stima di Salvatores, con Denti ha fatto sperimentazione quando poteva già sedersi sugli allori. Con Verdone ero l’anoressica-bulimica in Ma che colpa abbiamo noi e ho scoperto che non è solo la malattia dei giovani. [...] Santa Maradona era una commedia. Sono attratta da personaggi non risolti, che hanno buchi dentro. Mi piace il cinema europeo. Non mi piace la vanità, mi difendo con la video art, ascoltando musiche diverse, Debussy e i New Order. Amo Isabelle Huppert, Vanessa Redgrave. In Italia Nanni Moretti, Calopresti, Martone. Cerco un’armonia tra i miei lati estremi: la passione e la voglia di vivere e dall’altra parte la solitudine, il distacco, la mia parte lunare. Una volta Ermanno Olmi mi disse:’Bisogna cercare le note dentro di noi’. Con quella frase ho scoperto il cinema”» (Valerio Cappelli, ”Corriere della Sera” 21/11/2003).