Varie, 19 febbraio 2002
CARNEVALE
CARNEVALE Corrado Licata (Agrigento) 9 maggio 1930. Giudice. Presidente della Prima sezione della Cassazione. In magistratura dal 1953 (primo in tutti i concorsi). Presidente della Prima sezione della Cassazione, fu costretto ad andare in pensione in seguito a una condanna a 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (29 giugno 2001) annullata nel 2002 dalla Cassazione senza rinvio («il fatto non sussiste»). Presentata nel 2004 domanda al Csm per tornare in magistratura avvalendosi della legge ribattezzata con il suo nome (stabilisce il diritto di reintegro di tutti i dipendenti pubblici, magistrati compresi, che siano stati sospesi o che siano andati anticipatamente in pensione in conseguenza di un procedimento penale che si è concluso con un’assoluzione), vide respinta la richiesta per poi ottenere ragione dalla Corte Costituzionale (14 luglio 2005). Bocciata dalla IV commissione del consiglio la sua istanza (28 settembre 2005, 3 voti contro 2), ottenne nuovamente ragione dal Tar del Lazio, che rispedì la questione al Csm (23 aprile 2006) dove il 7 marzo 2007 vide infine accolta la sua richiesta di lavorare per altri sei anni, sei mesi e 24 giorni (la votazione finì 11 a 10 con quattro astenuti) • «La persecuzione subita da Corrado Carnevale è stata la più violenta aggressione nel mondo occidentale contro l’indipendenza del giudice. Il più giovane e il più preparato dei giudici italiani: laureato a 21 anni, ha vinto il concorso in magistratura a 23, ha bruciato tutte le tappe, giudice di tribunale, giudice di corte d’appello, giudice di Cassazione, a 53 anni presidente di sezione, a 55 anni il più giovane presidente titolare della Cassazione. La sua colpa: ”Aveva formato in Cassazione un proprio partito circondandosi di magistrati con un orientamento spiccatamente ed esasperatamente garantista”. Il linciaggio del giudice garantista, mentre impazzavano i giustizialisti di Mani pulite e i professionisti dell’antimafia, è durato una ventina d’anni, da quando Luciano Violante, il nostro piccolo Vishinskj, come lo chiama Francesco Cossiga, presentò in Parlamento un’interpellanza in cui sosteneva che Carnevale, nelle sue sentenze, avrebbe commesso ”nove errori di fatto”. Il ministro della Giustizia Giuliano Vassalli concluse che non era vero, che gli errori li avevano fatti i giudici nelle sentenze che Carnevale aveva cassato. Carnevale divenne ugualmente l’’ammazzasentenze”. Violante, diventato presidente della commissione Antimafia, lo coinvolse nel processo a Giulio Andreotti: Carnevale avrebbe ”aggiustato” i processi dei mafiosi raccomandati dal senatore. L’indagine della procura di Palermo durò cinque anni, il processo di primo grado due anni. Carnevale fu assolto con formula piena. Per il processo d’appello fu creata per lui una ”sezione speciale”. Il processo durò solo cinque udienze e Carnevale fu condannato a sei anni di reclusione. La Cassazione cestinò la condanna. Era il 30 ottobre 2001. Tre anni dopo il Parlamento approvò la legge che dispone il reintegro dei pubblici dipendenti sospesi e poi assolti. Il Csm è ricorso a tutti i pretesti per ritardare l’ammissione in servizio di Carnevale, finché [...] con una combattuta votazione (11 sì, 10 no e 4 astensioni), il Csm ha dovuto cedere. [...]» (Lino Jannuzzi, ”Panorama” 22/3/2007) • «Gli chiesero una volta un paio di giornalisti un po’ irriverenti: presidente, quante sentenze ha ”ammazzato”? Lui, infastidito, non rispose. Erano allora quasi 500. Aveva già annullato gli ergastoli contro i Greco dei Ciaculli per l’omicidio del consigliere istruttore Rocco Chinnici, aveva ordinato un nuovo processo per la strage del rapido 904 Napoli-Milano, aveva assolto Licio Gelli dall’accusa di sovversione e banda armata, aveva graziato i tre sicari del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, aveva azzerato 134 condanne al carcere a vita per Mommo Piromalli e per i suoi scagnozzi delle ”ndrangheta, aveva trasferito da Milano a Roma il procedimento sui ”fondi neri” dell’Iri. Gli chiesero ancora, qualche anno dopo: ce lo dica presidente, quante sentenze ha ”ammazzato”. Questa volta sibilò: ”Per ammazzare qualcosa, bisogna che quel qualcosa sia vivo”. Siciliano. Di Licata, terra agrigentina. Corteggiatissimo da certi principi del foro del Sud, temutissimo dai procuratori dei pool antimafia che tremavano quando le loro istruttorie approdavano nella sua sezione. E venerato da alcuni imputati dei maxiprocessi, come quello che quindici anni fa si celebrò a Palermo per volere di Giovanni Falcone. Per i soliti cavilli un bel numero di boss però uscirono dall’Ucciardone prima della sentenza, era un pomeriggio di sole quando uno di loro disse: ”Per me Carnevale è un uomo giusto come Papa Giovanni”. Amato e odiato. Verbosissimo. E con una memoria formidabile. La leggenda racconta che ricordi ogni parola che è dentro ogni sentenza che ha giudicato. Famoso è diventato alla fine del 1985, quando venne nominato presidente della prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione. Famosissimo è diventato quando una microspia registrò cosa pensava del suo collega saltato in aria a Capaci il 23 maggio del 1992: ”Per me Falcone è un cretino, io i morti li rispetto ma certi morti no...”. Fu più o meno in quei mesi - quando nel salotto della sua casa alcuni agenti della Dia avevano nascosto una ”cimice” - che cominciarono i suoi guai giudiziari veri. Dopo le stragi arrivarono pentiti di mafia (Gaspare Mutolo e Leonardo Messina soprattutto) che parlavano di lui e che dicevano che ”era la massima garanzia” per i picciotti sotto processo, che alla Cassazione c’era una sorta di ”mercato” dove si compravano e si vendevano sentenze di assoluzione. A Palermo aprirono un procedimento contro il collega che detestava i ”giudici sceriffi”, quasi in contemporanea con l’inchiesta su Giulio Andreotti. Era il marzo del 1993. Nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa finì anche l’eccellentissima toga che andava ripetendo a tutti: La Costituzione vuole il magistrato in toga e non in divisa, io sono un giudice e mi rifiuto di essere un combattente anche cotro la mafia”. E’ quell’indagine su Carnevale che fece scoprire ai magistrati di Palermo anche un vero e proprio ”partito” dentro le aule austere della Cassazione. Si difese attaccando il siciliano di Licata, scatenato contro ”i comunisti che vogliono una giustizia sommaria”, sparlò di alcuni suoi colleghi romani che disprezzava, non mollò mai neanche per un momento. Sussurrava in una delle sue chiacchierate captate dalle microspie: ”Passerà la bufera giudiziaria, passerà e ne uscirò indenne”. Venne rinviato a giudizio nell’aprile del 1998. Si abbandonò sconsolato: ”Sembriamo tutti in libertà provvisoria”. Poi il primo processo di Palermo, il Pubblico ministero che chiese 8 anni, poi Carnevale che per i giudici risultò innocente. La formula era la stessa della sentenza Andreotti, secondo comma dell’articolo 530, assolto per non aver commesso il fatto. Era sicuro di farcela anche in Appello l’eccellentissima toga, era spavaldo, quando il suo processo andava per le lunghe lui si rivolse al Tribunale così: ”Fate in fretta con la sentenza perché io ho presentato domanda per il posto di primo presidente della Cassazione, sono il primo per anzianità e per titoli”. Due settimane dopo fu condannato a sei anni di reclusione. ”Papà, papà, hanno ribaltato la sentenza”, gli comunicò suo genero Giuseppe Mondello al telefono. ”E’ incredibile”, sbuffò lui più sorpreso che furioso la sera del 29 giugno del 2001. Altri quindici mesi di sofferenza e di silenzio, un’altra mazzata che però non ha spezzato il piccolo siciliano di Licata. E’ rimasto in silenzio Corrado Carnevale, è rimasto in silenzio aspettando il verdetto finale l’eccellentissima toga che ha sempre considerato la Cupola solo una favola» (Attilio Bolzoni, ”la Repubblica” 31/10/2002) • «All’età di 76 anni e mezzo Corrado Carnevale, il giudice noto come ”ammazzasentenze”, potrà lasciare la pensione e tornare finalmente a presiedere una sezione della Cassazione fino a luglio del 2013. questo il definitivo verdetto emesso dalla quarta sezione del Consiglio di Stato a conclusione di una lunghissima battaglia giudiziaria, passata anche attraverso la Corte Costituzionale e un conflitto tra Csm e Parlamento. I supremi giudici amministrativi di Palazzo Spada hanno infatti confermato integralmente la sentenza con cui nell’aprile scorso il Tar del Lazio aveva accolto il ricorso dell’ex magistrato contro il Csm disponendo la sua riassunzione in servizio per altri 6 anni 6 mesi e 24 giorni. A tanto ammonta il periodo di sospensione dal servizio attivo al ”Palazzaccio” di piazza Cavour, essendo stato Carnevale coinvolto in due processi penali a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e a Napoli nell’ambito del crack della flotta Lauro. Ma da entrambe le pesanti accuse era stato poi definitivamente prosciolto con formula piena dalla Cassazione. Di qui la sua richiesta di reintegro in servizio in base alla legge Berlusconi n. 116 del 2004, che consente ad un pubblico dipendente di poter recuperare il periodo non lavorato per effetto di procedimenti penali poi conclusi con l’assoluzione» (’La Stampa” 12/12/2006).