Varie, 19 febbraio 2002
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GRIMALDI Carolina Monaco 23 gennaio 1957. «Primogenita di Ranieri e Grace Kelly [...] salutata da una goccia di champagne che papà le versò sulle labbra [
GRIMALDI Carolina Monaco 23 gennaio 1957. «Primogenita di Ranieri e Grace Kelly [...] salutata da una goccia di champagne che papà le versò sulle labbra [...] Oggi sposata con il principe Ernst August Hannover [...] ha molto amato. S’infiammò giovanissima per l’amico monegasco Julies Monserrat, poi per David de Rotschild, quindi per il tennista argentino Guillermo Vilas e per tanti altri. Invece mamma Grace sognava per lei la marcia nuziale a Westminster Abbey con Carlo d’Inghilterra o un legame con Carlo Gustavo di Svezia. Una volta soltanto però è stato amore vero. Quando la principessa, passata la burrasca per il colpo di testa per Philippe Junot (sposato a Montecarlo il 28 giugno 1978) e il ritorno di fiamma per Roberto Rossellini, figlio del grande regista e di Ingrid Bergman, trovò Stefano Casiraghi. Lei, nobile e bella, sempre volubile ma dopo la tragica fine di Grace non più capricciosa. Lui borghese, brianzolo, audace eppure timido. L’amore di Carolina per Stefano, tenuto lontano dalla Chiesa per via del precedente matrimonio con Junot e non ancora sciolto dalla sacra Rota (si pronuncerà solo nel 1992) ma consacrato civilmente nel 1983, ha dato calore al fuoco di tante passioni. Il fugace intermezzo di felicità della principessa accanto a Stefano è il fil rouge che lega e colora tutta la complicata vicenda umana di Carolina. Con i tanti amici-amori di gioventù aveva vissuto il “momento”, con Stefano invece aveva deciso di costruire una famiglia, il futuro. Da Stefano, il genero ideale per Ranieri che adorava la sua scaltrezza e la passione sportiva, sono nati i primi tre figli della principessa: Andrea, la splendida Charlotte e Pierre. Ma il sogno di una vita normale, di un amore solido e borghese inframezzato dai week-end nella campagna di Roc Angel o nella quiete di Fino Mornasco, s’è schiantato sulle onde che bagnano il porto di Ercole un giorno d’ottobre sul morire degli anni ’80. A consolare la principessa triste comparve nel suo eremo di solitudine, a Saint-Remy, prima l’attore Vincent Lindon e, infine, Ernst. la nobiltà, dopotutto» (Enrica Roddolo, “L’Europeo” novembre 2001). «È difficile raccontare la sfortuna dei grandi. La gente può capire il dolore dei potenti, anche le sconfitte. Ma la sfortuna no. Pure lei, se oggi qualcuno avesse la faccia tosta di chiederglielo, direbbe che non è vero, che non esiste. Solo papà Ranieri, dall’alto dei suoi capelli bianchi, ogni tanto si lasciava andare a qualche carezza, a qualche comprensione: “È una donna in gamba. Ma le sofferenze lasciano il segno”. L’aveva vista perdere in amore con il primo marito, Philip Junot, l’aveva vista piangere per la mamma morta in una curva della Turbie, disperarsi per Casiraghi, e poi cercare di tornare in piedi, logorarsi di malinconia, perdere capelli, patire in silenzio. L’aveva vista combattere.[...] C’è, in questo accanimento del destino, quasi una punizione pagana, perché la principessa prigioniera del suo ruolo, che ha sempre preteso di essere libera come tutte le donne del mondo, ha finito per pagare con la sofferenza degli ultimi questa impossibile ambizione di uguaglianza. Può darsi che la maledizione del dolore sia trasversale, come i colori della vita, come i traguardi che dobbiamo tagliare e le scale che dobbiamo salire, però è difficile lo stesso spiegare che anche la sfortuna può essere come un cielo nero tagliato dai fulmini, come una mattina grigia che ci tocca a tutti, come un albero piegato dal vento, e che non è una malattia, ma una parola scritta che sta sul nostro cammino. Nella storia dei Grimaldi, ci sono molti amori sbagliati e molti matrimoni finiti, ci sono tragedie e sconfitte come in tutte le famiglie. [...] Carolina è una principessa, ricca e famosa, una bella donna, un po’ ribelle, come tutti i Grimaldi, ma pure come mamma Grace che la guardava crescere e sospirava “io lo so, ha la testa dura. Anch’io ero così”. Ha una faccia d’angelo, così algida nei capelli bruni e negli occhi castani, e proprio in questo contrasto si nasconde il suo fascino. Ha lo sguardo duro del padre e la dolcezza impietosa della madre. Da ragazzina sognava solo di fare quello che pensava facessero tutte le altre ragazze della sua età: divertirsi. La prima cosa da capire è che non è vero che c’è chi nasce senza bisogno di sforzarsi per stare bene. Dopo le elementari a Monaco, l’avevano mandata in una pensione religiosa, ad Ascot, in Inghilterra. Il diploma e qualche studio in Francia, scienze politiche e psicologia. Ma come poteva rovinarsi sui libri? Viveva a Parigi in un albergo particolare che i Grimaldi avevano comprato in fondo all’avenue Foch, vicino alla porta Dauphine, zona di lusso e di bella gente. Fumava cigarillos, correva su una Fiat 500, esibiva trucchi pesanti e vestiva così scollata da inorridire il Times. Poi si innamorava di un cantante pop della Martinica, Philippe Lavil, che mamma Grace guardava con orrore scuotendo la testa e gli occhi: “Tu non hai capito bene, figlia mia. Sei troppo superficiale”. Carolina odiava i fotografi già allora. E quando qualcuno la incontrava e le chiedeva “Ma lei è la principessa di Monaco?”, rispondeva secco: “No, sono Ali McGraw”. Alla fine del 1975 incontra Philippe Junot, che ha 17 anni più di lei, e anche una laurea e un lavoro più di lei, ma che tutti conoscono come “l’imperatore della notte”. Grace lo viene a sapere e perde le staffe. Carolina va dritta per la sua strada. Lo vuol sposare. La mamma si sfoga con un’amica: ”Questo matrimonio potrà durare al massimo due anni”. Quando si dice la precisione: si sposano nel ’78 e divorziano nell’80. In verità, forse molto meno. “Già dopo una settimana ho capito che Junot aveva un’avventura con una donna sposata e madre di un bambino”, racconterà lei al biografo Bertrand Meyer Stabley. “Io mi sono sposata per ingenuità e per contraddire i miei genitori. Philippe, soltanto per fare una festa in più”. La storia lascia il segno solo su di lei. “Mia figlia era troppo innamorata”, spiegherà Ranieri. Carolina, per rimettersi in sesto, torna a far collezione: Roberto Rossellini, e Guillermo Vilas, il tennista argentino che le telefona da qualche angolo della Coppa Davis: “Querida mia, mi amor, non piangere”. Mamma e papà vanno su tutte le furie e questa volta la storia finisce: Junot a qualcosa è servito. Però, c’è la sfortuna in agguato. Prima muore la mamma nel settembre del 1982. Lei racconta di aver ritrovato nel dolore “l’affetto e l’unità della famiglia”. Per questo, lascia la villetta rosa e verde di Clos Saint Pierre e torna a vivere a Palazzo con padre, sorella e fratello. Un anno dopo incontra Casiraghi. È bello, ricco, e serio. Papà Grimaldi è felice. Nascono tre bambini, in fila, uno dietro l’altro. Il 3 ottobre del 1990 Carolina è a Parigi dal parrucchiere Chez Carita. È la sua amica Inès de la Fressange che le dà la notizia. Stefano è morto in una gara d’off-shore, la sua passione. Carolina si chiude in se stessa, trascorre sempre più tempo lontano da Montecarlo. Una volta, parlando con Jean Marie Rouart, disse: “Io ho avuto la stessa cifra di sofferenze degli altri. Tutti hanno dei dolori, in un momento o in un altro della vita. Bisogna solo cercare di essere degli uomini e delle donne degni di questi nome e accettare la sofferenza”. Legge libri “almeno due o tre ore al giorno”, cerca di andare avanti. Suo padre la capisce, sa bene quant’è duro dimenticare: “Si dice che il tempo guarisce tutte le ferite. Storie. Certe ferite non si rimarginano mai. Ci si abitua soltanto a pensare meno ai grandi dolori. Carolina si sforza di farlo, e fortunatamente ci riesce”. I suoi odiatissimi paparazzi la inseguono fra Vincent Lindon e qualche problema di alopecia. Una volta è ingrassata, un’altra sembra anoressica. Però, il tempo passa e ritorna da dov’era partito. Incontra Ernst-August di Hannover, un principe tedesco che già vent’anni prima era pazzamente innamorato di lei e sognava di sposarla. Lei lo presenta ufficialmente al bel mondo al Ballo della Rosa del 1998. Lui non aveva bisogno di presentarsi ai giornali. Si conoscevano già: motivi di sangue e di carattere. Ha una bella faccia da nibelungo, dai metodi un po’ barbari, ma non importa. Alto, lungo, e spalle larghe. La loro storia era appena diventata ufficiale che la battaglia con i rotocalchi rosa passò dalle carte bollate e dai consueti risarcimenti milionari a inedite inserzioni e controinserzioni pubblicate addirittura sul più autorevole quotidiano di Germania, la Frankfurten Allgemeine Zeitung, dove Carolina e Ernst comprarono un’intera pagina per attaccare l’editore Hubert Burda, colpevole di perseguire “un giornalismo poco serio” [...]» (Pierangelo Sapegno, “La Stampa” 9/4/2005).