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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

Carosone Renato

• . Nato a Napoli il 3 gennaio 1920, morto a Roma il 20 maggio 2001. Cantante. Autore. Pianista. «Rivoluzionario della musica napoletana e partenopeo verace nato a Vico dei Tornieri: ”a due passi da piazza Mercato, cuore di una Napoli popolare, stracciona eppure nobilissima” [...] Un suo amichetto d’infanzia aveva in casa un pianoforte scassato che stregò il piccolo Renato. Il padre riuscì a fargli studiare musica tra mille sacrifici: a 14 anni fu assunto come pianista all’Opera dei Pupi e fu poi E.A. Mario (l’autore di Santa Lucia Luntana e del Piave) ad arruolarlo come ”ripassatore di canzoni” presso la sua casa editrice. Nel 1937 riuscì a diplomarsi al Conservatorio e poco dopo arrivò la scrittura che ne avrebbe segnato il percorso artistico: un contratto per andare a Massaua, a rallegrare le truppe italiane. Quando tornò, aveva acquisito padronanza della scena e quella capacità di intrattenimento frizzante e spensierato, impregnato però di una preparazione solidissima, che ne fecero il marchio di successo. Nel 1949 formò il primo trio con Peter Van Vood e l’impareggiabile batterista e perfomer Gegé Di Giacomo, nipote di Salvatore Di Giacomo, e sognando il jazz e il boogie cominciò a girare per i locali dell’Italia che cercava il benessere. Le sue canzoni per sempre famose nacquero quasi tutte insieme, a metà dei ’50. E’ del ’56 Maruzzella, di romanticismo raro perlui; seguono Pigliate ’na pastiglia, ’O Sarracino, Caravan Petrol, Torero, Tre numeri al lotto e molte altre. Ma Carosone frequenta volentieri anche il repertorio altrui, e inventa la commistione di generi [...] Si fa beffe della canzone italiana più strappalacrime nell’indimenticabile versione di un brano sanremese, E la barca tornò sola, che mette in ritmo con l’intercalare ”E a me che me ne importa”. Torero diventerà una hit negli Usa e gli guadagnerà un invito alla Carnegi Hall di New York. Arrivano il beat e il rock, e il maestro si ferma. Il 6 settembre 1960 annuncia il ritiro e terrà fede per 15 anni alla promessa, dedicandosi ancora allo studio del pianoforte e alla pittura. Sarà Sergio Bernardini a strapparlo all’esilio volontario con un memorabile concerto alla Bussola nel 1975» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 21/5/2001). «Maturai la decisione di ritirarmi durante una torunée in America. Tra un concerto e l’altro avevo capito che nell’aria c’era una rivoluzione musicale: mi sembrava di sentirla nelle voci dei Platters, ma dietro l’angolo c’era molto di più. Bill Haley aveva già inciso Rock around the clock e il mondo stava per eseere sconvolto dal bacino roteante di Elvis Presley [...] In questo panorama musicale temevo di ritrovarmi superato da un momento all’altro, di essere costretto a inseguire le tendenze, proprio io che avevo anticipato e lanciato tante mode. Ero anche stanco di una vita ingabbiata dalla routine» (Da Un americano a Napoli¸ Sperling&Kupfer).