Varie, 19 febbraio 2002
CASIRAGHI Pierluigi
CASIRAGHI Pierluigi Monza 4 marzo 1969. Ex calciatore. Ex allenatore dell’Under 21 (2006-2010) • Attaccante, è cresciuto nel Monza. Nel 1989 è passato alla Juventus dove è rimasto sino al ’93 vincendo una coppa Italia e due coppe Uefa. Poi l’ha acquistato la Lazio e per cinque stagioni ha indossato la maglia biancoceleste vincendo un’altra coppa Italia nel 1998. Quindi, Vialli l’ha chiamato al Chelsea, ma in Inghilterra non ha avuto fortuna. Il tempo di giocare dieci partite e poi il grave incidente in uno scontro con il portiere del West Ham, Hislop, che lo ha travolto in uscita spezzandogli il ginocchio sinistro. Dopo una serie infinita di interventi, Casiraghi è costretto a lasciare il calcio. Nel suo curriculum ci sono anche 44 presenze e13 gol in Nazionale. Vicecampione del mondo nel 1994, due gol contro la Russia agli europei del 1996, un altro gol (decisivo) contro la Russia nello spareggio per l’accesso alla fase finale dei mondiali del 1998 • «Ha giocato quattro anni con la Juve e cinque con la Lazio. Quando era a Monza, in C1, dicevano: Gigi è fatto di ferro. Gigi si sfascia l’8 novembre 1998. Chelsea-West Ham, a Londra. Scontro con Shaka Hislop, portiere di origini giamaicane. Diranno: quello è un portieraccio. Gigi dirà: no, è stato un caso, è un giocatore corretto e sensibile. Gigi Casiraghi esce per sempre dal campo ed entra negli ospedali e nelle cliniche del Regno. Ginocchio frantumato. Il portiere Hislop, religioso e laureato alla Howard University di WashingtonD. C., lo chiama al telefono: “Ho pregato per te. Ho pregato perché tu tornassi a giocare, ma soprattutto per la tua serenità”. [...] Monza dei suoi tempi, “quella generazione”, Antonioli in porta, Costacurta al centro della difesa, lui centravanti. “Ho cominciato in B. Quando ho compiuto sedici anni mi hanno mandato in panchina. Sono sempre arrivato presto, io. In anticipo, forse troppo”. [...] Dieci interventi chirurgici, quattro a Londra, uno a Vienna, il resto in Italia, Bologna (quattro) e Milano. Dieci volte sotto i ferri, un calvario. Consulti, bisturi, interventi, terapie, cartelle, ancora bisturi. Racconta quella di Vienna: “Sono entrato in sala operatoria alle nove di sera, sono uscito alle sei di mattina. Undici ore filate [...] Poi una settimana dentro una stanza bianca con un televisore che trasmetteva solo Eurosport . Sport invernali, neve, hockey, curling. C’erano ragazze che scendevano sparate a centoventi chilometri l’ora e volavano e poi cadevano con gli sci accartocciati. E io lì con gli occhi sbarrati: Madonna, quella si è spaccata tutta. E invece si rialzava, barcollava un po’ e via sulle sue gambe. Io invece con il gambone di gesso e i cuscini sotto la testa a guardare Eurosport in tedesco. Non capivo una parola, capivo solo che non s’era fatta nulla. Come gli altri vigoroni. Gran botte, grandi scontri, rimbalzavano contro steccati e sui campi di ghiaccio e io ero lì per uno scontro con un portiere”. Chelsea, prima di Abramovich e Mourinho. “Sono arrivato con un attimo di anticipo, c’era un altro presidente. C’è stata anche una causa, ci siamo accordati. Ma quell’uomo non lo dimenticherò. Pensi, ero in ospedale a Londra, mi avevano operato già tre volte e lui è entrato chiassoso e allegro con una vassoio pieno di lasagne e una bottiglia di vinaccio urlando: amico, mio amico italiano...”. Dieci operazioni. Van Basten si è fermato a sette. Casiraghi sorride: “Almeno lì l’ho battuto, tre di scarto... Potevo superarlo solo nel campo clinico: nel resto, in tutto il resto Marco è il numero uno in assoluto”. Divaga, il Milan, la Juve. La sua Juve: “Sono arrivato troppo presto, ma ho fatto buoni anni. Poi, porca miseria, sono andato alla Lazio e alla Juve è cominciata l’era di Lippi. Eh, sempre in anticipo, tranne che a scuola. Beh, lì il tempo me lo prendevo. Mi leggevo la mia ‘Gazzetta’ e poi entravo, con comodo. Ma prima la leggevo tutta, o quasi. Serie C, la B, le storie della serie A, la Nazionale. [...] alzavo i gomiti. La battaglia non mi ha mai spaventato, in campo mi trasformavo. Giocavo ad alti livelli, era bellissimo, esaltante”. Di Casiraghi si diceva e scriveva: simpatico, dolcissimo fuori, una carogna in campo. Era così? “Diciamo che mi difendevo, gli avversari non erano mica dei dilettanti allo sbaraglio”. Gli avversari si chiamavano, un nome a caso, Paolo Maldini. “Già, è stato espulso due volte, le prime due con me. Prima a un Torneo Berlusconi. Poi in Lazio Milan: fallo da dietro, cartellino rosso. Abbiamo vinto quattro a zero. Era la Lazio di Zeman. Abbiamo vinto anche otto a due, sette a uno. Ho fatto diversi gol. Con Zeman [...] Era molto divertente, per tutti. Io nella Lazio sono stato molto bene. Abitavo alla collina Fleming, a due passi dai Parioli, giocavo in una squadra di grande spettacolo. Zeman era il massimo, piaceva a tutti. Poi qualcuno ha cominciato a dire prendiamo troppi gol, non siamo sicuri in difesa, forse sarebbe meglio chiudersi. I problemi sono cominciati quando i giocatori hanno voluto fare gli allenatori. Io ho sempre pensato al calcio bello. Io ho fatto questo lavoro per arrivare al massimo. Il mio obbiettivo è sempre stato molto chiaro: fare una cosa che ti piace e al livello più alto. Questo mi ha gratificato: ho giocato in grandi squadre. Ho fatto quello che dovevo fare, ho avuto tutto, non mi è mancato nulla [...] Da bambino tifavo Milan. Ecco lì, non sono stato fortunato: era il Milan di Farina. Sono arrivato un po’ prima di Berlusconi e di Sacchi [...] Io ho avuto altre fortune: di lavorare con Arrigo e Trap, hanno fatto la storia del calcio [...] Uno da una parte, l’altro dall’altra. Un abisso. In politica sarebbero stati un progressista e un conservatore. Diciamo pure due filosofie opposte, ma io mi sono divertito e ho lavorato con tutti e due. Sacchi l’innovatore, in Nazionale. Trapattoni, l’allenatore amico alla Juventus. Quando ti lasciava fuori, el Giuan , te lo diceva. Con me parlava in dialetto. Veniva in camera e mi spiegava il perché dell’esclusione. Poi lo spiegava anche a Di Canio e con lui era meno facile e non solo per il dialetto. Comunque il divertimento era assicurato”» (Germano Bovolenta, “La Gazzetta dello Sport” 24/4/2005).